Ogni sette anni, celebriamo il rito dell’elezione del Presidente della Repubblica e assistiamo a scene che suscitano allo stesso tempo ilarità e commiserazione, e raccontano in chiave nazional-popolare una commediola tutta italiana. E così in cambio del misero piatto di lenticchie di una apparizione televisiva ogni peones, financo l’ultimo consigliere comunale della più sperduta provincia, rovescia frasi fatte e luoghi comuni.
Partecipi di una narrazione che si concluderà mestamente dopo sette anni esatti con frasi sempre identiche, ognuno si sente in dovere di ripetere il solito refrain: “E’ stato un grande Presidente”, “Se non ci fosse stato lui…”, “E’ stato un padre che ci ha accompagnato nella bufera”, “E’ stato garante dei principi costituzionali”.
Insomma, una noia mortale. Sempre la stessa fuffa. Una messa laica in cui si ripete il medesimo formulario liturgico, che metabolizziamo grazie ad una onnipervasiva melassa buonista che insaporisce ogni pietanza e a cui danno il loro contributo scaltri editorialisti sempre pronti ad attraversare tutte le stagioni politiche.
Qualunque cosa abbia fatto o non fatto, detto o non detto, – statene certi -, vi saranno lodi inemendabili per il vecchio Presidente. E perciò, almeno su questo punto, si sbagliava Flaiano quando insisteva nel dire che per gli italiani “la linea più breve fra due punti è l’arabesco”. Perché di sicuro questo stile non viene utilizzato per la più alta carica dello Stato. Lì si va dritti al punto. Guai a dire male di lui, a muovergli la più innocente critica tanto che slogan martellanti sono pronti a ripulire le biografie da ogni piccolo intoppo. E quindi guai a ricordare che nei precedenti incarichi di Governo uno di essi ci devastò di tasse (Ciampi); che da moralista integrale un altro è stato l’ultimo pm a chiedere la pena di morte per un condannato (Scalfaro); che il più recente fu migliorista ma anche colui il quale, nel 1956, affermò che <<in Ungheria l’Urss porta la pace>> (Napolitano).
Ovvio, sono cose antiche… che non hanno più alcun senso. Bisogna sbarazzarsi di biografie arrugginite. Tant’è che al vorticare policromo di varie amenità che accompagna il vecchio settennato si sostituisce un campionario compiutamente identico di affermazioni scialbe e banali che sempre aprono il nuovo: “Bisogna stabilire prima il metodo”, “Serve una personalità di esperienza”, “Un uomo al di sopra delle parti”, “E’ il momento di una donna”, “Uno che abbia spessore internazionale”.
Insomma, uno scenario da commediola di quart’ordine, intimamente italiana, dove l’inizio e la fine del settennato circoscrivono il nulla della politica.