Quando nel mese di luglio Conte abbandonava la nave e al timone veniva chiamato Massimiliano Allegri, era impossibile trovare uno juventino che fosse felice della situazione, anzi, fioccavano sentenze sull’operato di Marotta e Paratici (due che hanno portato a Torino Pogba, Pirlo e Llorente a costo zero, oltre a Tevez e Vidal per delle noccioline) e sull’incompetenza del tecnico toscano.
IL GATTO NERO. Senza dubbio il passato al Milan non ha aiutato, con l’apice arrivato al gol non convalidato a Muntari, come del resto le prestazioni tutt’altro che convincenti che hanno portato al suo esonero, nonostante i risultati di Seedorf e Inzaghi, però, siano tutt’altro che brillanti. Arrivato a Vinovo, Allegri è subito stato etichettato come “gatto nero”, visto che in un brevissimo lasso di tempo ha dovuto fare a meno di Barzagli, Vidal, Morata e soprattutto di Pirlo, la pietra dello scandalo Allegri a Milanello: pare infatti che il genio bresciano fosse andato via dal Milan per colpa del tecnico livornese, e questi erano ulteriori dubbi che aleggiavano tra tifosi e commentatori nel mese di luglio. Allegri, intanto, stava zitto. E lavorava. Con l’intelligenza e l’umiltà di chi sa riconoscere l’efficacia del lavoro altrui, non ha snaturato il modulo bianconero dell’era Conte, mantenendo vivo il 3-5-2 che era così solido in Italia quanto fragile e deleterio in Europa. I risultati arrivano, ma il gioco comunque stenta, la Juve vince sempre di misura e spesso faticando, con gare risolte solo grazie a magie individuali, ma senza convincere fino in fondo.
L’ARTE DI ARRANGIARSI. Eppure, a ben guardare, da settembre la Juve non ha mai potuto schierare i suoi 11 titolari effettivi, ma qualcuno se n’è mai accorto? Giocare settembre e ottobre senza Pirlo, con Vidal a mezzo servizio, senza Barzagli e Caceres, e con Pogba non sempre al meglio per la Juve di Conte sarebbe stato un dramma, perché senza il bresciano la sua macchina perfetta (il primo anno) scricchiolava, come dimostra la sua mediocre attuale Italia. Allegri sta zitto. Lavora. E cambia gioco a Marchisio, rendendolo più efficace come vice-Pirlo, oltre a rigenerare Ogbonna, che sforna prestazioni mai viste a Torino lo scorso anno, cui va aggiunto il merito a Marotta di aver preso un giocatore duttile e tecnicamente ottimo come Pereyra. Se è vero che le prestazioni non sono delle migliori, altrettanto vero è che negli ultimi due anni di Conte le partite entusiasmanti si contano sulle dita di una mano, ma arrivano i primi stop in Champions e allora Allegri intuisce che è tempo di cambiare qualcosa, fino al momento della rottura totale: l’1-0 beffa subito a Marassi al ’94, al termine di una partita brutta ma su cui i bianconeri possono recriminare per un palo di Llorente, un clamoroso incrocio dei pali di Ogbonna e un miracolo di Perin su Morata.
IL CORAGGIO DI CAMBIARE. Ed ecco l’asso nella manica del tecnico livornese, che finalmente, dopo aver vissuto di rendita dell’epoca contiana, vuole fare sua la Juve, regalandole nuova linfa vitale con un 4-3-2-1 molto più europeo, e non è un caso che da quel momento, la squadra di Allegri in 4 gare abbia segnato 15 reti (in cui va contato il clamoroso 7-0 rifilato al Parma), vedendo Pirlo, quello che non avrebbe mai dovuto vedere il campo per ostracismo dell’allenatore, decisivo in 2 occasioni (Empoli e Olympiacos) oltre agli attaccanti in ottima forma fisica, con il sogno dei tifosi di poterli vedere un giorno tutti e tre contemporaneamente in campo. Senza dubbio la Juve quest’anno ha un Vucinic in meno e un Morata in più, oltre al già citato Pereyra, jolly di alto livello, ma non ci si può fermare a questo. Il primo momento chiave: la Champions. Obbligati a vincere, i bianconeri si trovano sotto 2-1 (e fuori dalla coppa) a mezz’ora dalla fine, situazione che avrebbe abbattuto chiunque, e chi accusava Allegri di avere una squadra senza carattere tra il 65’ e il 66’ ha dovuto ricredersi. Il secondo è stato sabato sera: la Juventus si presentava allo stadio Olimpico orfana di Asamoah (e dei potenziali sostituti Ogbonna, Caceres ed Evra), di Vidal e con Pirlo e Marchisio non al top della forma, eppure la squadra ha dominato in lungo e in largo e lo 0-3 finale, ottenuto grazie ad uno strepitoso Pogba e al solito Carlitos Tevez è un altro premio all’intelligenza e all’umiltà di Allegri, che sta zitto. Lavora. E, con più gol fatti e meno subiti, ha gli stessi punti di Antonio Conte.
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