Nell’oceano giallo di Parigi, ostile agli italiani da quando un pirata romagnolo predò sogni e gloria dei suoi avversari, è toccato in questi giorni a uno squalo attaccare e mordere onde di asfalto e sudore. E non a uno squalo qualsiasi, ma a quello dello stretto, Vincenzo Nibali da Messina.
Il trentenne siciliano ha riportato la maglia gialla in Italia sedici anni dopo Marco Pantani, per di più da campione italiano in carica, aggiungendo il Tour de France alla sua bacheca personale di trionfi, in cui spiccano anche le conquiste della Vuelta del 2010 e del Giro del 2013 che gli permettono insieme all’ultimo successo di diventare il sesto ciclista nella storia ad aver conquistato la tripla corona, primeggiando almeno una volta nelle classifiche generali dei tre grandi giri.
Come lui solo Merckx, Hinault, Anquetil, Contador e Gimondi, corridori che hanno fatto la storia di uno degli sport più discussi e affascinanti. Una storia in cui da ieri è iscritto con merito anche Nibali, dominatore del Tour 2014 dall’inizio alla fine: 19 giorni su 21 in maglia gialla, sfilata al velocista tedesco Kittel il secondo giorno e lasciata solo per ventiquattro ore dopo la nona tappa sulle spalle del francese Gallopin più per far riposare i compagni che per pecche personali di sorta. E poco importa che sui Campi Elisi in giallo non potessero arrivarci causa ritiro gli altri due favoriti della vigilia Froome (vincitore nel 2013) e Contador. La loro assenza non può macchiare infatti il successo del campione italiano, maturato soprattutto laddove il britannico e lo spagnolo hanno fallito, sul pavè della quinta tappa, corsa da Ypres ad Arenberg Porte du Hainaut, che ha visto il primo cadere due volte e ritirarsi ed il secondo arrancare e perdere 2’ 35’’ dal messinese, mai abbastanza in difficoltà da lì alla fine da far pensare che sarebbe stata una lacuna colmabile per il pistolero di Madrid, anche senza la caduta in discesa con conseguente frattura alla tibia che l’ha costretto ad abbandonare la competizione durante la decima tappa.
Nibali ha corso anche negli ultimi dieci giorni come se quei due ci fossero, sfidando se stesso e i rivali rimasti fino allo stremo, senza risparmiarsi mai. Ha trionfato a Sheffield, prima ancora che il Tour arrivasse in Francia, per poi mettere una bandierina sui Vosgi, una sui Pirenei ed una sulle Alpi, ad Hautacam, al termine di una diciottesima tappa eroica che gli ha di fatto consegnato la vittoria finale.
Sarebbe troppo facile dire che sui suoi pedali si è alzato un Paese intero, sempre sotto esame ed alle prese con una crisi che consente poche gioie al suo popolo. Ma in realtà c’è forse qualcosa di più elitario nell’impresa dello Squalo, una felicità davvero comprensibile solo per chi ama il ciclismo e ha sofferto a vederlo sporcare da mezzi uomini più inclini al magheggio che ai valori dello sport.
Nibali non è solo un italiano vincente, è soprattutto un italiano capace di far innamorare della bicicletta grandi e piccini del Belpaese, orfano per troppo tempo di un eroe sui pedali di cui seguire e raccontare le gesta. Lo squalo è atteso adesso da due nuove e affascinanti sfide: il mondiale di settembre a Ponferrada e il tentativo di accoppiata Giro-Tour nel 2015. Il mare di passione che aveva perso il suo pirata dieci anni fa ha finalmente un nuovo grande padrone.