“Israele è condannata a vincere, perché non può permettersi di perdere. Mai. Quando si tratta della propria identità, dell’integrità territoriale e della sicurezza dei suoi cittadini, va dritta allo scopo e non sta a sentire nessuno”. Secco il commento del generale ed ex Capo di Stato Maggiore della Difesa Mario Arpino sulla nuova escalation militare che interessa la Striscia di Gaza. Israele è nato combattendo e non può riporre troppa fiducia, secondo il militare, nelle risoluzioni ONU e nell’intervento del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama.
Ma lo scontro tra Tel Aviv e Hamas fornisce anche spunto per alcuni approfondimenti su ciò che sta accadendo in seno al mondo islamico, in particolare in Irak con il Califfato del Levante in azione. Esiste una strategia sunnita di destabilizzazione dell’area medio orientale? Se sì, quali rapporti intercorrono tra i sunniti palestinesi e quelli iracheni?
Cosa ne pensa di questa nuova escalation militare nei Territori?
“E’ solo una conferma che, ogni qualvolta si percepisce qualche sia pur flebile segnale di faticoso avvicinamento di posizioni di fatto inconciliabili, un nuovo evento dirompente riporta tutto a zero. Una sorta di tragico gioco dell’oca, ripetuto all’infinito. La realtà è che Israele è nata con una guerra, e con le guerre – o guerriglie sul territorio o i confini – ha dovuto convivere in questi suoi sessantacinque anni di vita come Stato indipendente. Le circostanze, la collocazione geografica, i problemi etnici, i diversi tassi di natalità, tutto, dico tutto, concorre a far si che la politica e la strategia militare di questo Paese non possano che riassumersi in un “must” non eludibile: Israele è condannata a vincere, perché non può permettersi di perdere. Mai. Quando si tratta della propria identità, dell’integrità territoriale e della sicurezza dei suoi cittadini, va dritta allo scopo e non sta a sentire nessuno. A chi dovrebbe dar retta, all’Onu? Innumerevoli, negli anni, sono le ipocrite risoluzioni unilaterali a suo sfavore. A Obama? Meglio non commentare. Ecco perché Israele, pur avendo riorganizzato le proprie forze armate per far fronte non più alle divisioni corazzate degli eserciti arabi uniti – che comunque ha sempre sconfitto – ma a più nuove e più subdole minacce, mantiene le caratteristiche di uno Stato mobilitato. Il suo problema, semplicemente, è di natura esistenziale, e il suo popolo lo sa. Ecco perché, quando si tratta di Israele, concetti o parole come diritto di autodifesa, reazione sproporzionata (la critica più ricorrente), attacco preventivo, portare la guerra nel territorio nemico, ecc., assumono un significato diverso, perché non commensurabili alle logiche comuni, qui non applicabili. L’Occidente critica, ma non ha proposte che non si figurino come chiacchere vacue: nessuno Stato occidentale ha veri problemi esistenziali. Israele, invece, li ha sempre avuti”.
Hamas in Palestina e Califfato del Levante in Iraq: esiste una strategia sunnita di destabilizzazione dell’area?
“Non credo, in Medioriente ormai non c’è più nulla da destabilizzare. Una certa stabilità la davano i dittatori, ma l’Occidente, con furore iconoclastico che ha calpestato i suoi stessi interessi, tra stabilità e democrazia – operando discutibili scelte in casa altrui – li ha defenestrati tutti (resiste solo Bashar al-Assad), con i risultati che abbiamo ogni giorno sotto gli occhi. Ha optato per quella improbabile democrazia a propria immagine e somiglianza che ha il dolce fascino dell’utopia. Dimenticando, probabilmente, che in Medioriente stabilità e democrazia sono concetti antitetici. Liquidato subito l’effimero Califfato, o la Umma globale, altra utopia perseguita da 1.500 anni e sepolta per legge nel 1923 da Kemal Ataturk, resta il dissidio atavico tra le monarchie sunnite del Golfo, al momento tutte stabili, ed il mondo sciita ideologicamente guidato dagli ayatollah iraniani. La vera manovra destabilizzante, fatta di reciproci colpi bassi e spesso giocando con il coinvolgimento degli interessi occidentali, è quella in atto tra mondo sciita e mondo sunnita. L’iniziativa, in questo momento, sembrerebbe essere nelle mani dell’Arabia Saudita e della più piccola “grande potenza” del mondo, l’emirato del Qatar. Ma anche in questo caso, inutile dirlo, i disallineamenti sono di prammatica”.
In un suo articolo parla di razzi di produzione siriana: perché Assad, vicino al mondo sciita, dovrebbe appoggiare Hamas, formazione sunnita?
“In questo momento nessuno dei contendenti, in tutt’altro affaccendati, ha interesse a una nuova guerra, ma le provocazioni degli estremisti (palestinesi, jihad internazionale, hetzbollah, coloni e religiosi israeliani) stanno creando una situazione dalla quale nessuno ha il coraggio di tirarsi indietro. Una sorta di Danzica del Medioriente. Collaborazione tra sciiti e sunniti per i missili di Hamas? Ricordiamo che Khaled Meshal, il capo politico della Striscia, è stato per diversi anni ospite (non si sa quanto gradito) del regime di Damasco. E’ qui che si rende evidente come il comune sentimento di odio verso Israele possa essere, in determinate occasioni, l’unico collante in grado di unire strumentalmente mondo sciita e mondo sunnita”.
*Analista di IAI (Istituto Affari Internazionali) e opinionista de Il Resto del Carlino
@marco_petrelli