L’intervista. Mario Arpino: “In Ucraina non ci sarà una guerra: si arriverà a una mediazione”

arpino“I colloqui di Ginevra diverranno semi permanenti e la crisi si esaurirà solo nel medio-lungo termine e su posizioni di fatto”. Non ha dubbi il generale Mario Arpino (ex CSM dell’Aeronautica Militare Italiana, ora apprezzato analista): la crisi ucraina non sfocerà in una Terza Guerra Mondiale, bensì in una soluzione che, di fatto, non accontenterà nessuno.

Nel corso degli incontri di Ginevra Kerry ha tenuto a precisare che non verranno applicate nuove sanzioni a Mosca, qualora la Russia si adoperasse al ritiro delle milizie paramilitare dall’Ucraina. Cosa ne pensa?

Negli incontri di Ginevra, tanto attesi quanto sofferti, i quattro non hanno ottenuto un gran risultato, ma hanno comunque dato alla Russia l’opportunità di dimostrare al mondo di aver accettato di sedersi al tavolo. Al momento, i successi sono due: il primo è il tavolo stesso, e appartiene a tutti, mentre il secondo, l’essersi seduta al tavolo, mediaticamente appartiene solo alla Russia. Putin ora è libero, se vuole, di gestire comunque gli avvenimenti, lasciando ogni responsabilità del probabile insuccesso alle inadempienze di Kiev e dei rivoltosi di entrambe le parti. Kerry ha minacciato un inasprimento delle sanzioni nel caso la Russia non riesca o non voglia far abbassare i toni ai propri protetti. Ognuno usa le armi che ha: l’Occidente, di usabile, ha solo le sanzioni, altrimenti davanti all’opinione pubblica mondiale passerebbe immediatamente dalla parte del torto. Nella panoplia, sono comunque un’arma spuntata. Questo lo si sa. Sotto decenni di sanzioni assai più pesanti, la Corea del Nord ha continuato ad armarsi affamando il popolo e l’Iran – con l’accortezza di lasciare sempre una porta aperta – dopo lustri ha continuato imperterrito verso il nucleare. La Libia ha ceduto, purtroppo sostituendo il regime con il caos, solo quando è stata sopraffatta dall’azione militare ed è stato ucciso il rais. Della Crimea non se ne parla più, l’annessione sembra ormai un dato di fatto, scontato. A Ginevra si tratta solo per l’Ucraina, ma la situazione sembra ormai stia sfuggendo di mano anche alla Russia.

Il fatto che un segretario di stato Usa chieda che i beni immobili confiscati dai ribelli filo russi siano restituiti a Kiev secondo lei potrebbe evidenziare, magari indirettamente, la debolezza del governo ucraino?

Il nuovo governo ucraino, risultato di una rivoluzione parziale, localizzata, favorita e ideologicamente appoggiata dall’Unione Europea, è comunque debole e non è certo necessario che Kerry, involontariamente, lo metta in evidenza. Nessun governo può essere forte quando è frutto di un consenso interno solamente parziale. L’Ucraina, pur nella sua suddivisione tra aree russofone e di lingua ucraina (più altre minoranze), non è la Crimea, e non vuol essere né suddivisa, né annessa a chicchessia. E’ uno stato unitario, con ambizioni federali che sono sempre esistite e che solo le attuali condizioni vanno accentuando. Chi pensa il contrario, non solo sbaglia, ma è anche fuori dalla prospettiva storica. La Russia di Kiev, con la sua cultura e i suoi palazzi, esisteva e prosperava da qualche centinaio d’anni, quando la Russia di Mosca – un insieme di pastori, cacciatori, contadini e baracche di legno – ha cominciato ad apparire sulla scena con un minimo di rilievo politico e militare. I russofoni si sentono ucraini, non russi, e quello che desiderano è una forte autonomia nell’ambito di una stato federale. Che la Russia, dopo i bocconi amari che ha dovuto inghiottire per mano della Nato e dell’ Ue dopo lo smembramento dell’Urss, cerchi con mezzi palesi ed occulti di impedire che anche l’Ucraina cambi campo sembra abbastanza plausibile; probabilmente si accontenterebbe di una soluzione federale, neutra. E’ difficile, a questo punto, che possa adoperarsi perché i palazzi istituzionali delle aree russofone ritornino nelle mani delle nuove autorità di Kiev. La stessa popolazione non lo gradisce, come ha dimostrato il penoso insuccesso della spedizione punitiva kieviana.

Il reporter John Vandiver di Stars & Stripes scrive di 12 F-16 decollati da Aviano e diretti in Polonia, nonché di addestramenti congiunti tra le special forces americane e quelle polacche. Questo stato di cose non rischia di destabilizzare i colloqui di Ginevra?

Va innanzi tutto ricordato che quando il popolo iridato dei “No F-16” del Veneto e del pordenonese marciava compatto per impedire l’ampliamento della base “amerikana” di Vicenza e chiedeva a gran voce l’allontanamento delle forze statunitensi da Aviano, la Polonia si era immediatamente fatta avanti per offrire piena ospitalità non solo agli aerei, ma anche ai missili dello “scudo spaziale”. Gli Usa, naturalmente, non fecero una piega e si dichiararono disponibili. Mentre il nostro governo, pur vincolato ad un accordo sempre rinnovato ed aggiornato a partire dal 1954, sembrava paralizzato ed in attesa di giudizio, la situazione veniva salvata dalle autorità locali, spaventate per l’imminente crisi economico-occupazionale. Da allora, tuttavia, i rischieramenti addestrativi degli F-16 di Aviano in Polonia sono assai frequenti, come pure le esercitazioni in comune. I temi esercitativi sono legati alla Difesa Aerea, al controllo degli spazi aerei e dei movimenti lungo i confini, operazione cui i velivoli radar della Nato, gli Awacs, danno il principale contributo. Tutto ciò avviene di frequente, a prescindere  dalla crisi ucraina e da molto tempo prima. Non così per le esercitazioni russe su vasta scala ai confini del territorio ucraino, che sono una novità. In politica si può dire tutto e di tutto, e certamente gli F-16 in Polonia si prestano anche a questo. E’ ovvio che non potranno essere una dozzina di intercettori a destabilizzare Ginevra. Le pressioni, semmai, vengono da tutt’altra parte.

Stars & Stripes riporta anche l’episodio di ebrei ucraini cui sarebbe stato chiesto di identificarsi. Ammesso che questi episodi si siano verificati, i casi di intolleranza religiosa in Ucraina appartengono all’ambito della casualità o hanno radici più profonde?

Come al solito, i pericoli per le minoranze, non solo per quella ebraica, vengono dagli estremisti. I quali, si badi bene, sono presenti sia tra i kieviani, sia tra i filo-russi. Questi ultimi, al momento, sarebbero i più attivi. Oltre a Stars & Stripes, anche il Corriere della Sera ed altri riportavano che, in particolare a Donetsk, gli ebrei della città avrebbero ricevuto un avviso d’obbligo a registrarsi entro pochi giorni e a dichiarare tutti i loro averi. L’editto porterebbe la firma del capo del sedicente governo provvisorio locale, e sarebbe una ritorsione per l’appoggio che la locale comunità ebraica avrebbe dato (ma in tempi lontani, dopo la guerra) alle bande nazionaliste ucraine. I casi di intolleranza religiosa in Ucraina comunque non sono nuovi, e non riguardano solamente gli ebrei. Con la caduta del regime comunista anche il monopolio della chiesa ortodossa era stato messo in discussione, trovandosi questa a fronteggiare nemici vecchi e nuovi. Principale obiettivo furono il cattolicesimo latino (uniate) in Ucraina e in Bielorussia e la chiesa greco-ortodossa di Occidente, da sempre critica verso il Patriarcato di Mosca. E’ di questo periodo anche lo “scontro” – se così si può chiamare – tra la Chiesa di Roma e quella di Mosca. Ritornando agli ebrei, erano circa due milioni e mezzo quelli che vivevano all’interno dell’Unione Sovietica verso la metà degli anni ottanta, dei quali 950 mila in Ucraina. Con la politica di Gorbacev, che ne aveva favorito l’emigrazione, circa 300 mila raggiungevano Israele, spinti dalla ricomparsa, anche in Ucraina, del nazionalismo slavo e dai dissidi interetnici. Se sono andati, è ovvio che non si trovavano più a loro agio. Quindi, oggi nulla di nuovo sotto le stelle, e nulla di casuale. Le radici del disagio sono profonde, e riemergono nei momenti di crisi.

Da analista ed ex Capo di Stato Maggiore, di fronte a un quadro generale da piena guerra fredda, come pensa possa evolversi la crisi russo-ucraina?

Risposta brevissima: i colloqui di Ginevra diverranno semipermanenti, e la crisi si esaurirà solo nel medio-lungo termine e su posizioni di fatto. Non ci sarà una terza guerra mondiale per l’Ucraina, ma si troverà una non-soluzione concordata che lascerà tutti insoddisfatti. Putin un po’ di meno degli altri, perché è ormai difficile che l’Ucraina, almeno in un ragionevole futuro, possa entrare nell’Unione Europea e nella Nato.

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