Focus CentroAmerica. In El Salvador ha rivinto Nayib Bukele

Il rappresentante della millennial generation, un po' stravagante e postadolescenziale, il paladino mondiale della 'mano dura' ha dunque ottenuto un successo con netto vantaggio sui rivali

Il leader salvadoregno Bukele

Ha scritto Marcos Gonzáles Díaz, corrispondente di BBC News Mundo il 5 febbraio:

‘Era tan grande la ventaja que Nayib Bukele ni siquiera esperó resultados oficiales para proclamar su esperado y contundente triunfo en las elecciones que le permitirá ser Presidente de El Salvador cinco años más. Horas después y ya con el 70% del escrutinio, el candidato del gobernante Partido Nuevas Ideas se confirmó que cuenta con un aplastante apoyo de más de 1,6 millones de votos. La oposición no pudo hacer nada frente a la aplastante popularidad del mandatario, que en su primer gobierno logró que El Salvador pasara a ser uno de los países más seguros de América, aunque también recibió acusaciones de graves abusos contra los derechos humanos’.

L’elezione presidenziale in El Salvador del 4 febbraio 2024 è stata la nona dalla promulgazione della Costituzione del 1983 (1.6.2024-1.6.2029). La votazione si è sviluppata simultaneamente ai comizi legislativi e municipali. Elettori sul territorio: 6.214.399; residenti all’estero: 906.462. Nayib Bukele, Presidente uscente, in base allo Scrutinio Preliminare del 70,25% dei suffragi, confermato dal TSE, ha ottenuto l’83,13% (1.662.313), precedendo, ad una enorme ed incolmabile distanza, Manuel Flores (6,95%) del FLMN, di sinistra, e Joel Sánchez (6.15%) dell’ARENA, di destra. Gli altri tre candidati si sono ripartiti tra il 3 ed il 4%.

Il rappresentante della millennial generation, un po’ stravagante e postadolescenziale, il paladino mondiale della ‘mano dura’ ha dunque vinto con netto vantaggio. Da marzo 2022 El Salvador ha adottato un Régimen de Excepción, che limita garanzie costituzionali ed abiliterebbe, per i suoi detrattori, ‘arresti arbitrari, torture e morte di reclusi’, como ripetutamente denunciato, in una orgia censoria, da Amnesty International, dall’Alto Commissario delle NU per i Diritti Umani, Human Rights Watch e da tutti i loro corifei statunitensi, europei, latinoamericani; da media liberal e progressisti, sedicenti ‘teste d’uovo’ d’ogni sinistrume più o meno woke, una miriade di ONG, Parlamento Europeo, Democratici USA ecc. Strenui difensori di garanzie ampie ed infinite per guerriglieri, anarchici violenti, vandali e teppisti ribattezzati luchadores sociales:  della aproristica condanna per le loro vittime o per chi rivendica un destino che non sia di sottomissione alla prepotenza ed all’arbitrio Politically Correct, sempre giustificati dalla CNN, dal NYT, Guardian, El País di Madrid, La Repubblica di casa nostra ecc. Alti e vani risuonano i loro guaiti, dopo aver subìto l’elezione di Andrei Milei in Argentina ed ora la rielezione di Bukele (e scongiurando che non torni Trump a completare la frittatona). Seguaci di ogni giustificazionista ribellismo e “populismo penale”, attraverso strampalate letture BLM, radical femministe, guevariane, mai come ora scarsamente fondate. Félix Ulloa, Vice Presidente rieletto, ha dichiarato al Times che stanno eliminando ‘un sistema democratico che solo ha beneficiato i corrotti e lasciato il Paese con decine di migliaia di persone assassinate’. In una conferenza stampa dopo il trionfo, Bukele ha ribadito superbo: “Noi non stiamo sostituendo la la democrazia, perchè El Salvador non ha mai avuto democrazia. Questa è la prima volta nella sua storia’.

All’inizio del 2005, mentre ero a capo del Consolato Generale di Rosario, in Argentina, ormai prossimo alla scadenza del canonico quadriennio, mi giunse da Roma l’offerta di essere designato Ambasciatore a San Salvador. Difficilmente si possono rifiutare tali ‘offerte’, anche se non era proprio una destinazione ambitissima, anzi era ‘particolarmente disagiata’, ma la mia difficile situazione familiare, con mia moglie assai ammalata da anni, non mi consentivano di pensare ad un rientro alla Farnesina per ‘preparami’ una sede migliore. Accettai, quindi, pur se un colpo di telefono al predecessore in partenza non fu certo incoraggiante. C’erano beghe di personale (al solito…), la Residenza non esisteva più, in quanto essendo la casa in locazione, alla

scadenza del contratto il proprietario l’aveva rivoluta indietro per farla demolire. Quindi, lui avrebbe fatto portare a giorni i mobili (pochi e di non grande qualità, i divani deteriorati, constatai poi) in una rimessa della Cancelleria (quella sì demaniale), ad alcuni chilometri di distanza, nella zona bassa della capitale e per vari mesi all’anno immersa in un caldo soffocante. Peraltro, non c’era in dotazione neppure un’auto di rappresentanza ‘usabile’ e lui aveva fatto di necessità virtù, adoperando la propria auto, sempre. Almeno quella l’ottenni dal Ministero, una BMW 523i nuova di zecca (auto italiane non erano importate), assieme alla promessa di valutare rapidamente e positivamente la proposta di una nuova casa in locazione, adatta all’importanza (eufemismo) della nostra Rappresentanza, che avrei inviato al MAE una volta giunto a San Salvador. Approdando provvisoriamente ad una suite dell’Hotel Sheraton Presidente.

Arrivato a luglio, nel pieno della stagione umida, con pioggia quasi tutte le notti, capii presto il perchè del ‘particolarmente disagiato’ burocraticamente assegnato a quella capitale. I muri di cinta delle case erano tutti protetti da rotoli di filo spinato (elettrificato), i negozi da guardie armate di fucili a pompa. L’educato poliziotto assegnatomi graziosamente dal Governo locale come Bodyguard, mi raccomandò subito di non avventurarmi a piedi in nessuna zona, neppure attorno all’hotel. E meglio sarebbe stato evitare del tutto di circolare la notte. Lui, comunque, sarebbe stato il mio angelo custode… Le facce patibolari che scorgevo dal finestrino dell’auto, di giovani maschi tatuatissimi (quando i tatuaggi non erano diffusi come ora) corroboravano ampiamente il suggerimento. Non essendo un golfista, durante oltre due anni, vacanze a parte, le uniche mie passeggiate furono praticamente limitate ai centri commerciali, di tipo americano, dove spiccavano alcuni grandi negozi di giocattoli con juguetes cinesi (di Taiwan) enormi, mai visti altrove, specialmente dinosauri ed armi. Mi spiegarono che erano soprattutto per i bambini dei mareros diventati ricchi attuando l’intero repertorio delinquenziale…

L’auto misteriosa ‘inusabile’ era una Lancia Thema (l’unica del Paese, credo), blindata, giunta usata dall’Irak nel 2000, con freni inadeguati al gran peso del corpo vettura, con vetri spessi 6 cm. Il parabrezza, immagino a causa del torrido caldo irakeno, risultava pesantemente, irrimediabilmente deteriorato dal collante dei cristalli a strati, che ne riducevano di molto la visibilità. Il mio predecessore, appena assunto, recandosi all’Aeroporto Internazionale di Comalapa, ad una quarantina di chilometri, con tanto di autista alla guida, aveva messo sotto un poveraccio che attraversava l’autostrada, un emigrante hondureño che vi morì all’istante. Ebbene l’assicurazione risarcì poi la famiglia con il rimborso di un sobrio funerale e ben… cento dollari, a dimostrazione del poco valore che lì aveva la vita umana. Ovviamente egli non l’usò più, mai ottenendo, peraltro, la sostituzione. Mi dovetti occupare pure della sua non facile rottamazione, de visu. L’auto blindata era stata assegnata da Roma a causa del ferimento del Consigliere dell’Ambasciata del Canada, presumibilmente per errore del cecchino o per una pallottola vagante. Non essendoci più stati ‘attacchi’ al Corpo Diplomatico era venuta meno la ragione dell’armored car, non quella di abbassare la testa percependo spari. Mentre era rimasto un pacioso sottoufficiale dei Carabinieri, assai devoto al mansionario e, quindi, di ben scarsa utilità pratica.

Una volta trovata una dimora in locazione adatta quale nuova Residenza, dopo un paio di comodi mesi allo Sheraton, mi dovetti sobbarcare parecchie rogne contingenti. Per giunta quasi sempre senza consorte, rimasta in Argentina con i figli all’Università. Seccature accentuate da alcuni particolari: il Governo salvadoreño mi assegnava per sicurezza una custodia armata 24/7 sia all’ingresso sia nel giardino, ma di fatto negandomi la possibilità di stare qualche sera piacevolmente all’aperto; nel giardino s’infilavano a volte serpenti velenosi, piccoli e letali (dovetti anche dotarmi di un gatto, quale deterrente, fornito dal predetto baldo sottoufficiale, che risultò presto essere una gatta femmina, con conseguenti nuovi grattacapi). Più difficile era poi la lotta agli scorpioni, che essendo sottili s’infilavano sotto le porte. Quando ne trovai un paio vicino al letto mi preoccupai ed a ben poco servivano le assicurazioni dei locali: trattarsi cioè di un aracnide, più simbolico che malvagio, la cui eventuale puntura di rado risultava mortale…

Preoccupanti erano, altresì, le frequenti scosse di terremoto. Quando succedeva in ufficio, o in residenza, si correva all’aperto e si aspettava una ventina di minuti prima di rientrare. Ma una sera ci fu un formalissimo pranzo offerto dall’Ambasciatore del Giappone, in occasione della visita di un principe della Famiglia Imperiale, con tanto di principessa e di ambasciatrice col tradizionale kimono. Quella notte la scossa fu forte. Ci guardammo in faccia tra colleghi, aspettando un cenno dell’anfitrione che però rimase assolutamente impassibile, senza che un suo muscolo facciale tradisse emozioni di sorta. Tutti rimanemmo seduti in silenzio, sperando che una scossa successiva non significasse il crollo del soffitto sulle nostre teste…

La percezione dell’insicurezza quotidiana, a causa delle onnipresenti maras, era incessante, asfissiante. Alcune gentili signore della Cooperazione allo Sviluppo un fine settimana vollero viaggiare da sole, in un’auto senza autista – ma con grandi decalcomanie della loro ONG, pensando fosse un simbolo rispettato – e contro ogni saggio consiglio, da San Salvador a Ciudad de Guatemala, a 235 chilometri. Smarrirono la strada ad una svolta, chiesero consiglio alla persona sbagliata… insomma, vennero derubate e ripetutamente violentate da molti maschietti, attratti come le api dal miele, e per loro fortuna alla fine non ne ebbero la gola tagliata.

Come se già non ce ne fossero in abbondanza, ogni settimana un aereo statunitense scaricava a Comalapa altri mareros espulsi dagli States, facendo a volte tappa anche a Tegucigalpa e Ciudad de Guatemala, rimpinguando la categoria. All’inizio del III millennio El Salvador era già il Paese più violento della regione. Le maras (pandillas) erano costituite da giovani ed adulti, all’inizio solo maschi; i ragazzini reclutati tra gli orfani e per la strada, usati per lo spaccio al minuto di droghe. Al principio le maras fiorirono nelle zone rurali, le più povere, però col tempo arrivarono alle zone urbane ed alla capitale. Tra il 1979 ed il ’92, la guerra civile provocò una emigrazione massiccia di salvadoreños agli USA, circa 90 mila, la maggioranza dei quali finì per risiedere nei quartieri pericolosi di Los Angeles, dove nacquero le due principali dell’America Centrale, la Mara Salvatrucha y la Mara Barrio 18. La prima fondata da salvadoreños, la seconda da messicani. La crescita fu rapida e Washington decise la deportazione dei mareros, anche in mancanza di processi. I deportati formarono allora cellule criminali nei loro Paesi di origine o dove furono scaricati. Negli anni ’90 il loro sviluppo divenne incontrollabile.  El Salvador transitava per il duro postconflitto, concentrato nella ricostruzione civile, e non fu che dopo il 2000 che i governi cominciarono a rendersi conto dell’entità della situazione. All’inizio pensarono trattarsi di jóvenes rebeldes, strascico della guerra. Le operazioni della polizia si concentrarono sulla delinquenza comune, mentre le maras erano sottovalutate. Solo il 23 luglio 2003 iniziò la guerra contra las pandillas MS-13 y Barrio 18, con il ‘Plan Mano Dura’ del Presidente Francisco Flores. Due anni più tardi il nuovo Presidente, Antonio Saca, sempre dell’ARENA, varò il ‘Plan Súper Mano Dura’ per profondizzare ed estendere la lotta, tra varie critiche di giuristi ed ‘anime belle’, giacchè la base legale delle catture si basava a volte su stereotipi, la forma di vestire, il gergo, i tatuaggi, il luogo dove i giovani vivevano ecc. Il numero di pandilleros in El Salvador era di circa 20 mila (nel 2022 ormai oltre 90 mila, con il controllo pressoché assoluto dell’85% del territorio statale).

La Mara Salvatrucha (MS-13), dall’etimologia incerta, è la maggiore e più letale, ormai una organizzazione terrorista internazionale di gangs criminali, le cui attività spaziano dal narcotraffico all’estorsione capillare, contrabbando di armi, secuestri di persone, furti ed omicidi su commissione, sfruttamento della prostituzione, del gioco, dell’emigrazione illegale verso gli USA ecc. I Paesi oggi più colpiti sono El Salvador, Guatemala, Belice, Honduras, in minor misura Stati Uniti e Messico. La Salvatrucha dispone di differenti clicas (cellule) per il controllo del territorio. I suoi integranti sono brutalmente aggressivi con chi rifiuta di pagare le estorsioni imposte o si introduce in una ‘loro zona’. I mareros sono facilmente riconoscibili, perchè non fan nulla per dissimulare la propria identità, dalla gesticolazione al linguaggio. I tatuaggi (spesso dell’intero corpo, dalla fronte ai piedi) esprimono esplicitamente l’orgoglio dell’appartenenza e la lealtà assoluta alla mara (che non di rado sostituisce la famiglia naturale), ed è anche un modo imposto dai capi per controllare i sottoposti, sempre riconoscibili. Il rivale più noto della mara Salvatrucha è la mara Barrio 18, con la quale ha spesso mortali scontri, caratterizzati quasi sempre dallo squartamento dei cadaveri, come segno di disprezzo e per rendere impossibili onoranze funebri. Per appartenere ad una mara è necessario commettere cruenti atti criminali, a partire dai rituali di iniziazione per uomini – ed ora sempre più donne – crescentemente crudeli. I mareros non possono mai uscire dalla banda, essendo la morte l’unica via. Anche solo parlare con un poliziotto è un crimine che si paga con la vita, così come cancellare un tatuaggio (per non parlare delle indicibili torture previe all’esecuzione in caso di supposto tradimento).

Durante la mia missione, un collega dell’Ue organizzò un riservato incontro di ambasciatori europei con tre mareros incappucciati. Mi colpì una risposta alla domanda se non fosse preferibile una vita sicura, con famiglia, al posto di quell’esistenza assai pericolosa: ‘Tutti noi sappiamo che difficilmente vivremo più di 30 anni. Ma non importa. Non desideriamo nulla di quello che hanno altri. Noi vogliamo essere rispettati dalla società, avere denaro, donne, auto… Non sappiamo che farcene di lavoro, famiglia, figli a scuola. Lo abbiamo deciso e finiremo en nuestra ley‘. 

El Salvador è un Paese bello, tragico, piccolo (el pulgarcito de América), affacciato sul Pacifico, con vulcani micidiali in attività, sovrappopolato, di oltre sei milioni di abitanti. Dilaniato da una guerra civile durata dal 1980 al 1992, ad opera della guerriglia castrista e sandinista (terminata solo col crollo del Muro di Berlino e dell’URSS) contro i governi militari e civili, innescata dal crollo dei prezzi del caffè a livello mondiale, convertitosi in una delle frontiere della Guerra Fredda, nonostante una tardiva Riforma Agraria, che, come quasi tutte le riforme agrarie, praticamente fallì. Il conflitto è costato infinite nefandezze reciproche (a differenza del Nicaragua) e circa centomila morti. Una celeberrima. Quella di monsignor Óscar Arnulfo Romero, a sorpresa nominato da Paolo VI arcivescovo di San Salvador nel 1977, prossimo alla Teologia della Liberazione ed al Frente Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale, assassinato durante la celebrazione della Messa nella cappella dell’ Ospedale della Divina Provvidenza della capitale, il 24 marzo 1980. L’ordine di sparargli pare venne dato ad un cecchino dell’Esercito dal maggiore Roberto d’Aubuisson, ufficiale dei Servizi d’Intelligenza, fondatore nel 1981 dell’ARENA (Alianza Republicana Nacionalista), al governo ininterrottamente con 4 Presidenti dal 1989 al 2009 (egli perse nel 1984 per l’appoggio di Washington all’incapace democristiano José Napoleón Duarte, in un’ottica centrista). Pure accusato di organizzare gli Squadroni della Morte, deceduto per cancro nel ’92, a 47 anni. Omicidio negato enfaticamente dai suoi correligionari, di fatto impossibile da verificare. Ricordo che, nel 2006, fui invitato dall’allora Presidente Antonio Saca (dell’ARENA) all’inaugurazione di un monumento in onore di d’Aubuisson. Saca era di origine cristiano-palestinese, alla pari del leader del suo storico oppositore del FMLN, Schafik Hándal (1930-2006), già Segretario Generale del locale Partito Comunista. Così come ora Bukele, che proprio da Hándal venne introdotto alla politica.

L’assassinio dell’arcivescovo provocò una vibrante protesta internazionale per il rispetto dei diritti umani in El Salvador. In quella Chiesa, ove pure egli aveva parecchi oppositori, e che non era certo prevalentemente collocata a sinistra in termini politici, era considerato un presule che aveva difeso ‘l’opzione preferenziale per i poveri’, sancita dalla II Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano, a Medellín, nel 1968. Romero scelse padre Ignacio Ellacuría (anch’egli poi assassinato con altri 5 gesuiti seguaci della Teologia della Liberazione, nel 1989, presso il campus dell’UCA, l’Università Centroamericana della Compagnia di Gesù a San Salvador) e Jon Sobrino come suoi consiglieri. Divenne presto mondialmente noto e nel 1979 fu proposto per il Nobel della Pace dal Parlamento del Regno Unito (poi assegnato a Madre Teresa

di Calcutta). Nel 1990 iniziò la causa per la sua canonizzazione. Nel 2015 fu riconosciuto dalla Chiesa di Papa Francesco martire «por odio alla Fede». Martire semmai della politica, non certo della Fede, secondo la destra salvadoreña, ai tempi miei e presumo ancor oggi. Per l’assistenza logistica fornita da monsignor Romero alla guerriglia e sedizione armata, non per le omelie domenicali circa ‘la misión de la Iglesia es identificarse con los pobres’…

Nayib Armando Bukele Ortez prima di arrivare alla Presidenza nel 2019 (succedendo a Salvador Sánchez Cerén) era stato sindaco di Nuevo Cuscatlán nel 2012 e poi sindaco di San Salvador, nel marzo 2015, per il Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional.​ Le discrepanze ed i conflitti provocarono nel 2017 la sua espulsione dal Frente. Nel 2018 fondó il suo proprio partido, ‘Nuevas Ideas’, che vinse al primo turno (53.10 %), le presidenziali del 2019. Era il primo presidente, dalla fine della guerra civile, che non rappresentava i due partiti principali (ARENA e FMLN) che avevano governato dal 1989. Il 20 giugno 2019, Bukele lanciò il Plan Control Territorial con la finalità di combattere gli alti tassi di criminalità e le maras. Il 27 marzo 2022, l’Assemblea Legislativa, sollecitata dall’Esecutivo, dichiarò poi un Régimen de Excepción, in risposta all’ondata crescente di omicidi, la cosiddetta Guerra contra las pandillas.

Bukele nacque a San Salvador il 24 luglio 1981. Su padre era il perito chimico Armando Bukele Kattán, di ascendenza palestinese cristiana, convertitosi all’Islam, imán e leader della comunità araba di San Salvador; sua madre Olga Marina Ortez, cattolica. I suoi antenati paterni erano palestinesi che emigrarono a El Salvador all’inizio del XX secolo con passaporto ottomano.​

Najib ha dichiarato di essere cristiano. Armando Bukele Kattán divenne un imprenditore benestante negli anni ’70,​ tra l’altro presidente della importatrice Yamaha Motors e di varie agenzie pubblicitarie. Tali imprese curarono per 12 anni la propaganda politica del FMLN. Uno dei primi lavori del giovane Nayib, ottenuto attraverso il padre, fu la campagna pubblicitaria della candidatura di Schafik Hándal nel 2004. Nayib Bukele assunse la Presidenza della Repubblica il 1 giugno 2019, come 46.º Presidente. Nel settembre 2019, dopo 100 giorni di mandato, Bukele sottolineò, tra l’altro, la riduzione degli omicidi ed il rafforzamento delle relazioni con il governo statunitense guidato da Trump. Nel 2021, Bukele annunciò l’introduzione del bitcoin () come moneta di corso legale, accanto al dollaro USA ed al colón salvadoreño (fuori circolazione, ma vigente legalmente). Il tasso degli omicidi di El Salvador è assai diminuito dal 2015, quando era il Paese più violento del continente americano; nel 2023 ha raggiunto il livello più basso. ​Stanchi della violenza delle bande, delle chiacchiere a vuoto dei politici, la maggior parte dei salvadoregni

ha applaudito senza riserve la repressione. Nayib Bukele considera dictadores i presidenti del

Venezuela (Nicolás Maduro), Nicaragua (Daniel Ortega), Honduras (Juan Orlando Hernández).​

Ha espulso l’ambasciatore venezuelano.​ Dopo il ravvicinamento con Trump, nel febbraio 2021  arrivò a Washington per riunirsi con il nuovo Presidente Joe Biden, ma quest’ultimo non volle riceverlo.​ Bukele non assistette alla ‘IX Cumbre de las Américas’ del giugno 2022, a Los Angeles, ripudiando le denunce dell’Amministrazione Biden su corruzione ed abusi dei diritti umani.

Bukele è percepito come un giovane politico millennial assai popolare, carismatico, ma anche accusato di praticare un ‘populismo antisistema’, con uno stile demagogico di leadership. Descritto da alcuni come un autocrate, un caudillo​, e di autoproclamarsi ironicamente come il dictador de El Salvador,​ il dictador más cool del mundo​, l’ emperador de El Salvador,​ egli ha mantenuto e rafforzato un alto indice di approvazione durante il suo mandato, divenendo il presidente più popolare nella storia del suo Paese.​ Il ‘bukelismo’ o ‘movimiento social Nuevas Ideas’ si autodescrive come democratico, decentralizzatore, pluralista, laico​ ed inclusivo; ha per obiettivi la libertà di mercato, la economia sociale di mercato e la libertà di espressione.​ Definito di ‘sinistra radicale’ quando era alcalde di Nuevo Cuscatlán, la posizione ideologica di Bukele ha cambiato drasticamente quale alcalde di San Salvador, adottando uno stile pragmatico e tendenze liberali. È stato catalogato pure come ‘populista di destra’​.​ Analisti di sinistra lo hanno collocato nella ‘destra alternativa’ di Donald Trump e Jair Bolsonaro, o direttamente d’essere di ‘estrema destra’, con un linguaggio di governo ‘antidemocratico’, ‘populista’, ‘militarista’, ‘autocratico’, ‘fascista’. Hanno altresì criticato la sua politica socioeconomica como ‘neoliberale’ e ‘prooligarchica’ (alcuni sembrano ancora identificare El Salvador con le famose 14 Famiglie…). Bukele ha espresso una netta opposizione all’aborto, secondo una visione tradizionale assai diffusa nel Paese. Così come al ‘matrimonio egualitario’ ed all’eutanasia. Concetti applauditi da José Luis Escobar Alas, arcivescovo di San Salvador, sostenitore dell’idea di ‘una agenda straniera’ per esercitare pressioni su questi temi. Nel 2014 Nayib Bukele ha contratto matrimonio con Gabriela Rodríguez. La primera figlia, Layla, è nata nell’agosto 2019. Durante una visita a Gerusalemme per la ’32.ª Conferenza Internazionale dei Sindaci’, Bukele aveva rivelato che il nonno della moglie era un ebreo sefardita. Aminah è la sua seconda figlia, nata nel 2023. 

Il simbolo massimo del Plan Control Territorial e della crociata contro le pandillas è il ‘Centro de Internamiento de Terroristas (CECOT)’, a Tecoluca, 74 km. al sudest di San Salvador, costruito in sette mesi, ad un costo non rivelato dal governo, inaugurato il 24 febbraio 2023. Considerato il carcere piu grande d’America, con capacità fino a 40.000 detenuti, il Cecot è la prigione más criticada del mundo, secondo il proprio Bukele, ma rappresenta per molti il cammino obbligato verso la fine di un fenomeno criminale intollerabile. Una prigione simile sarà replicata in Ecuador, secondo l’annuncio del Presidente Daniel Noboa. Il Plan Control ha provocato finora oltre 75.000 detenzioni per presunta appartenenza alle pandillas; 7.000 sono poi stati liberati, secondo cifre fornite dal governo. El Salvador si è convertito nel Paese con la percentuale più elevata al mondo di prigionieri. Il carcere ospita al momento 12.500 membri delle maras MS-13 e Barrio 18, detenuti secondo il Régimen de Excepción. I social media del governo salvadoregno hanno pubblicato i video del trasferimento nel 2023, ove si vedono i detenuti, scalzi e con indosso pantaloncini bianchi, tutti rasati, mentre vengono raggruppati prima di salire sugli autobus. Non esistono aree ricreative, né sale per le visite. I reclusi solo escono dalla cella comune per ricevere cure mediche; l’esercizio fisico (?) è limitato ad un corridoio interno. La nuova infrastruttura carceraria di Tecoluca si erge su di uno spazio equivalente a quello di 33 campi di calcio ed è la più grande dell’America centrale. Dispone di un dispositivo di sicurezza con 19 torri di guardia e recinzioni elettrificate a 15.000 volt, integrato da 600 uomini dell’esercito e 250 della polizia nazionale. Occupa 166 ettari con otto padiglioni. Ogni padiglione, con tetto curvo per la ventilazione naturale (!), di 6.000 m2, ha 32 celle con spesse sbarre d’acciaio per un centinaio di detenuti. Tra i 7 anelli di sicurezza dello stabilimento penale, un muro di cemento armato alto 11 metri, lungo 2,1 chilometri, protetto da filo spinato elettrificato. I detenuti dormono su brande d’acciaio senza materassi o cuscini, nulla. In ogni cella di circa 100 m2, due lavelli con acqua corrente per la pulizia personale e due WC. Inoltre, due bidoni con agua da bere. Il penale dispone di pozzi, un impianto di fornitura di 600 m3 di acqua, 4 cisterne, 8 sottostazioni per l’energia elettrica. Conta con generatori di emergenza a combustibile ed un impianto per il trattamento delle acque residuali. Le attività dei reclusi sono costantemente vigilate da telecamere di sorveglianza, con un centro con decine di schermi. Rigorose le misure di ingresso allo stabilimento penale, anche per il personale di sicurezza ed amministrativo. Ogni recluso all’arrivo è fotografato ed esaminato con Body Scanner. Più duro, difficile oggi da immaginare…

(Da https://elcomercio.pe/mundo/centroamerica/nayib-bukele-como-es-la-megacarcel-el-simbolo-de-la)

Molti logicamente si chiedono che fine faranno migliaia di persone ora detenute,  per le quali sarebbe del tutto utopistico immaginare un processo o un reinserimento sociale. “Mantendrá el Régimen de Excepción porque ha dejado de ser una herramienta para pasar a ser la propia política de seguridad”, affermano alcuni osservatori. Bukele ha fatto non poco, ad ogni livello, per proiettare un’immagine di Make El Salvador Great Again, come lo slogan di Trump. Non pochi credono che questo nuovo mandato dovrà dare priorità ai diritti umani e ristabilire le garanzie costituzionali, essendosi di fatto rotto lo Stato di Diritto. Nayib Bukele appare, però, poco sensibile alle critiche internazionali.”El Salvador sta rinascendo”, proclama ambizioso. “Dobbiamo credere nella nostra capacità, come fanno altri Paesi. Molti all’estero già lo credono e dobbiamo sentirci orgogliosi di quello che abbiamo conseguito in così poco tempo”.

Gianni Marocco

Gianni Marocco su Barbadillo.it

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