La storia. Il 1953, il sangue per Trieste italiana e il ruolo di Giuseppe Pella

Quando il 5-6 novembre 1953, la polizia del Governo Militare Alleato, retto dal generale inglese Winterton, uccide sei italiani che si battono per la italianità Trieste nessuno immagina quanto potrà avvenire di lì ad un anno

Trieste italiana

Quando il 5 e 6 novembre 1953, la polizia del Governo Militare Alleato, retto dal generale inglese Winterton, uccide sei italiani che si battono per la italianità Trieste nessuno immagina quanto potrà avvenire di lì ad un anno. I caduti sono Pierino Addobbati, dalmata, 14 anni; Francesco Paglia, triestino, reduce di guerra, universitario, 24 anni; Nardino Manzi, esule da Fiume, studente di 15 anni; Saverio Montano, di Bari, 50 anni; Ermino Bassa, triestino, 51 anni; Antonio Zavadil, triestino 64 anni.

Il ruolo di Pella

La presente analisi tratta la vicenda relazionata ad un personaggio che, per quanto all’Italia smarrita di oggi non dica nulla, all’epoca risultò fondamentale ai fini della riconsacrazione di Trieste all’Italia: Giuseppe Pella, capo del governo italiano in quel drammatico novembre 1953. Il sangue versato dai martiri italiani, sacrificio di un nuovo irredentismo dalle antiche ma sempre vive radici, deve essere custodito per far valere le ragioni dell’Italia, nazione sconfitta, che ha tutto il mondo contro. Inserita, ai sensi della “logica” di Yalta, nello scacchiere delle alleanze occidentali, l’Italia non conta nulla. Del resto, quale credibilità può avere un’alleanza stipulata, poco dopo la conclusione di un conflitto, fra vincitori e vinti? E vincitore e sconfitto, possono avere pari dignità nell’alleanza?

Le elezioni politiche del giugno 1953 hanno decretato la triplice sconfitta di De Gasperi: politica, elettorale – per poco non è scattato il premio di maggioranza sancito dalla nuova legislazione da più parti definita “legge truffa” – e parlamentare. Quest’ultima materializzatasi nel mese di luglio quando la Camera nega la fiducia al suo VIII Governo. Il leader Dc, che di lì a poco riconquisterà la segreteria del partito, dà l’addio alla Presidenza del Consiglio. Proprio la Balena Bianca ha visto crescere considerevolmente, alla propria destra, una robusta opposizione anticomunista, quella monarchica e missina, che ha avuto i prodromi nelle amministrative del maggio 1952. Una fetta non trascurabile di elettorato che nel 1948 ha votato massicciamente Dc, visto il debole anticomunismo propagandato dal Biancofiore, ha riversato il proprio consenso sulle citate forze di Destra. L’incarico di formare il nuovo governo viene affidato dal capo dello Stato Luigi Einaudi, al democristiano Giuseppe Pella.

Nato nella biellese Valdengo nel 1902, economista, più volte ministro delle Finanze con De Gasperi premier nei difficili anni della ricostruzione, rispettoso del dettato parlamentare, Pella, persona pregna di valori in primo luogo cristiani, è un europeista convinto; nulla a che vedere con gli “europeismi” e l’Europa di questo nostro tempo. Rigidamente centrista, a differenza di De Gasperi che, essendo antifascista ma non anticomunista, ha fatto della Dc un partito di centro che guarda a sinistra non disdegnando alleanze anche con le formazioni totalitarie di quell’area (Pci e Psi) contribuendo non poco alla crescita del comunismo in Italia; Pella non è fautore di accordi o aperture a sinistra. Una precisazione è doverosa: la crescita del comunismo in Italia dovuta anche a De Gasperi non deve sminuire gli indiscutibili meriti del Pci che, capace di costruirsi un ampio consenso, è riuscito a diventare un grande partito di massa.

Proprio Pella, nel 1962, non farà salti di gioia quando Fanfani, nel presiedere il suo IV governo, aprirà al Psi. Nel 1976, quando è ormai nell’area il Compromesso Storico, la granitica alleanza Dc-Pci, decide di non ricandidarsi alle elezioni politiche per la seconda volta anticipate. Inoltre, in un partito come la DC in cui non sono di casa gli ideali risorgimentali Pella, al contrario, crede profondamente in quei valori, intrisi di sangue, dai quali è nato lo Stato Unitario. Uscita dilaniata dal Secondo Conflitto, quella del 1953 è un’Italia che crede nei valori dello Stato Unitario; di conseguenza anche gli organismi statali e chi ne fa parte, si uniformano ai detti principi.

Nell’agosto 1953 Pella forma un Governo monocolore Dc da più parti definito di affari, perché chiamato ad approvare la Legge di Bilancio. In realtà, si tratta di un Esecutivo politico che, però, deve andarsi a cercare in Parlamento i voti necessari per ottenere la fiducia. Da capo del governo Pella tiene per sé i dicasteri degli Affari Esteri e del Bilancio; gli Esteri perché percepisce che, proprio in campo internazionale l’Italia deve misurarsi, fra le tante, con la drammatica questione orientale riguardante la italianità di Trieste, peraltro minacciata dal Comunismo titino. Per quanto il Trattato di Pace del 10 febbraio 1947 abbia determinato la costituzione di un Territorio Libero di Trieste suddiviso in una Zona A, sotto amministrazione militare anglo-americana (sostanzialmente Trieste e provincia), ed una Zona B, sotto amministrazione militare jugoslava (i distretti di Capodistria e di Buie), nessun effetto pratico ha sortito la Dichiarazione Tripartita del 20 marzo 1948 attraverso la quale i Governi americano, britannico e francese si sono espressi per il ritorno di Trieste all’Italia.

Alla Camera, il 19 agosto 1953, quando parla da capo del governo, rimarcando la “difesa degli interessi nazionali”, Pella sottolinea che, “se l’Italia deve essere, come vuole essere, un membro consapevolmente attivo dell’alleanza atlantica e della comunità europea, essa ha diritto di venire debitamente e previamente consultata in tutte le questioni di comune interesse; diritto a cui essa non intende in nessun modo ed in nessuna occasione di rinunziare”. Quello di Pella è un richiamo agli alleati dell’Italia visto che, il languire della situazione, agevola le mire annessionistiche di Tito su Trieste. Infatti, Usa e Gran Bretagna, alleati al Comunismo stalinista nel Secondo Conflitto Mondiale, in pieno stato confusionale appoggiano – nel 1953 – il Comunismo titino a sua volta smarcatosi da Stalin. Il PCI resta fedele a Mosca anche se soffre per il contrasto Stalin-Tito. L’ammiccamento anglo-americano a Tito elude la Dichiarazione Tripartita del 1948. Votano a favore del Governo Pella, che ottiene la fiducia, DC, liberali, monarchici, repubblicani; si astengono missini e socialdemocratici; votano contro Pci e Psi. Pella manda dei chiari messaggi anche a chi, come il comunista Tito, pensa di approfittare della debolezza italiana per annettersi Trieste.

Il 28 agosto le agenzie di stampa della Jugoslavia annunciano per il 6 settembre un comizio di Tito a ridosso di Gorizia, nel corso del quale il Maresciallo rivendicherà Trieste. Pella, che intende ribaltare la fragile posizione diplomatica italiana, corre ai ripari. Il 29 agosto convoca una riunione con il ministro della Difesa Taviani, il Capo di Stato Maggiore della Difesa, Marras ed altri stretti collaboratori nella quale prende una decisione che ha dell’incredibile per una Nazione sconfitta: l’invio di truppe italiane a ridosso del confine con la Jugoslavia.

Una parte della Dc non approva la decisione di Pella, ma sconfessare il Presidente del Consiglio equivarrebbe ad una vera propria pugnalata alle spalle in primo luogo alla città di Trieste. L’invio delle truppe italiane verso il confine jugoslavo suscita entusiasmo ed emozioni negli italiani di quei luoghi. Quando il 6 settembre, ad Ogroklica, Tito parla ad oltre 200 mila partigiani jugoslavi, usa un linguaggio minaccioso rivendicando l’annessione di tutto il Territorio di Trieste.

Il presidente del Consiglio italiano escogita un’altra mossa che sorprende alleati, titini e comunità internazionale. In una giornata alquanto significativa per l’Italia, domenica 13 settembre, a Roma, in Campidoglio, nella ricorrenza del Ventennale della battaglia di Roma seguita all’armistizio dell’8 settembre 1943, Pella propone la indizione di un plebiscito da tenersi in tutto il Territorio Libero di Trieste: sia il popolo di quella martoriata area geografica a decidere se la detta importante zona debba essere italiana o jugoslava. Quale esercizio migliore, se non il pronunciamento del popolo, può porre fine ad una situazione ormai insostenibile? Nella stessa giornata a Spalato, dinanzi ad una folla oceanica Tito conferma le sue mire su tutto il Territorio Libero di Trieste. La maggioranza del popolo italiano ansima per le sorti della Italianissima Trieste. Se Tito reagisce movimentando varie truppe, Pella rafforza l’apparato militare.

Al Capo del Governo italiano, che dimostra di avere un’ampia visione della situazione, non sfugge l’azione del Movimento Indipendentista che si batte per la creazione di un Territorio Libero di Trieste indipendente da Italia e Jugoslavia. Pella non cade nella trappola in quanto fiuta la natura slava del citato fronte. Usa, Gb e Francia chiedono al Capo del Governo italiano di evitare tensioni e conflitti. Pella assicura che non vuole spargimenti di sangue, ma pretende dagli alleati una decisione che non scontenti Trieste e l’Italia. Il presidente del Consiglio si spinge ben oltre: informa i rappresentanti di Stati Uniti e Gran Bretagna che l’Italia è pronta a subentrare agli anglo-americani nell’amministrazione della zona A e di Trieste, ma considera il plebiscito il mezzo più idoneo per una soluzione definitiva.

Incalzati dal premier italiano, che afferma essere l’Italia nelle condizioni di respingere le armate titine in caso di conflitto, il 16 e 17 ottobre i ministri degli Esteri di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia si incontrano a Londra per discutere di Trieste. Dal vertice non emerge nulla di positivo per l’Italia se non le solite dichiarazioni di principio che, il più delle volte, in diplomazia contribuiscono a rinviare – aggravandoli – i problemi e non a risolverli.

Pella ordina un ulteriore ammassamento dell’Esercito sulla frontiera orientale con l’impiego di Brigate alpine e Divisioni di Fanteria in Veneto, Trentino e Friuli. Avverte gli alleati che la mancata risoluzione della questione di Trieste potrebbe compromettere l’adesione dell’Italia alla Comunità Europea di Difesa, nonché l’utilizzo delle basi italiane da parte delle forze anglo-americane.

Si avvicina il 4 novembre, XXXV Anniversario della Vittoria dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale e, il giorno 2, Pella inoltra una decisa protesta ad USA e Gran Bretagna esprimendo la sfiducia italiana nei confronti dei due alleati. L’atto irrita i destinatari della lagnanza.

Il 3 novembre Trieste festeggia il suo Patrono, San Giusto, e si accinge a celebrare la Vittoria. Appoggiato dal Governo italiano, il Sindaco Gianni Bartoli chiede al generale Winterton l’autorizzazione ad esporre il Tricolore italiano sul Municipio. Il no inglese raggela Roma e gli italiani di Trieste. Sostenuto dalla maggioranza della città, il Sindaco Bartoli espone il Tricolore sul Municipio immediatamente rimosso dagli inglesi. Si registrano i primi scontri.

Giunge il 4 novembre e Pella celebra la Vittoria dell’Italia a pochi passi da Trieste: a Redipuglia il Capo del Governo, accolto da 100 mila persone rende omaggio ai caduti. Nel pomeriggio, in una Venezia tricolore, in 60 mila acclamano Pella, il cui nome è ormai accumunato a quello di Trieste. “Opereremo con serena fermezza perché siano riconosciuti i nostri diritti; siatene certi: per Trieste faremo buona guardia”, assicura Pella, che ha dalla sua parte la maggioranza degli italiani. Spontaneamente è nato e si è aggregato, ben oltre i confini geografici di Trieste, un arco vasto ed unitario di forze patriottiche, nazionali, popolari, nazionaliste, ma prive di venature imperialistiche.

La tragedia giuliana

A Trieste intanto sta per consumarsi la tragedia. Il 5 novembre nella città scorre sangue italiano. Anziani, giovani e giovanissimi scendono in piazza per scioperare ed avvengono nuovi scontri. Un ufficiale inglese apre il fuoco seguito dai suoi sottoposti: vengono uccisi Piero Addobbati ed Antonio Zavadil, decine sono i feriti. Il 6 novembre una folla immensa attacca le forze inglesi, la sede del Movimento Indipendentista, la Prefettura, sede della Polizia Civile. Gli agenti sparano uccidendo Francesco Paglia, Nardino Manzi, Saverio Montano ed Erminio Bassa; oltre ottanta sono i feriti.

I luttuosi avvenimenti provocano la sdegnata reazione di Roma che presenta ai governi americano e britannico una nota di protesta. Claire Boothe Luce, neo ambasciatrice americana in Italia, per quanto nel pomeriggio incontrerà Pella in un evento programmato nella Capitale, si precipita al Viminale per manifestare solidarietà al Capo del Governo italiano. Stringendosi intorno ai caduti ed ai loro famigliari, il Governo manifesta solidarietà ai triestini. Ma Pella escogita una mossa che qualcuno oggi potrebbe definire “sgarbo istituzionale”.

Per il pomeriggio è prevista la partecipazione del Capo del Governo alla inaugurazione del «Centro studi per la riconciliazione internazionale», presente l’ambasciatrice americana. Pella spiazza tutti recandosi a Napoli per informare il Capo dello Stato Einaudi, in visita nel capoluogo campano.

Nonostante abbia il consenso maggioritario degli italiani, qualcuno ha deciso che Pella non può restare al proprio posto. Patriottismo, senso dello Stato, fermezza nelle decisioni, urtano con un sistema facilmente adeguatosi alla remissione. Temendo una svolta a destra, l’epilogo si consuma fra il dicembre 1953 ed il gennaio 1954 quando settori della Dc, invocano un… rimpasto di Governo per un Esecutivo che ha poco più di tre mesi di vita. Pella è disposto a dialogare, ma quando si rende conto che le manovre delle correnti interne alla Dc minerebbero la sua autonomia, toglie il disturbo dimettendosi il 5 gennaio 1954.

I moti ed il sangue versato dai patrioti italiani caduti per Trieste italiana nel novembre 1953, l’azione decisa del Presidente del Consiglio Giuseppe Pella, costringeranno la comunità internazionale a trovare una soluzione immediata. Con il Memorandum sottoscritto a Londra il 5 ottobre 1954 fra Italia, Regno Unito, Stati Uniti e Jugoslavia, Trieste tornerà all’Italia il 25 ottobre.

La Storia si era messa in moto e, con le sue imprevedibili ed improvvise accelerazioni, aveva trovato i suoi fedeli interpreti nei caduti italiani del novembre 1953, nella città di Trieste ed in un Presidente del Consiglio, Giuseppe Pella, che per un attimo aveva fatto dimenticare all’Italia di essere una Nazione sconfitta.

Nel 1960, in vista del Centenario dell’Unità d’Italia in programma l’anno successivo, fu istituito un apposito Comitato per le Celebrazioni composto da 42 membri. A presiedere quel Comitato fu chiamato, ma guarda il caso…proprio Giuseppe Pella; chi, allora, se non lui?

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Michele Salomone

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