Buttafuoco ricorda l’ex Msi Nino Strano: “Era perfetto per l’impresa di Fiume”

LO scrittore siciliano racconta la poliedricità del politico recentemente scomparso a Annalisa Terranova sul Secolo

Nino Strano

Pietrangelo Buttafuoco

Il gesto della mortadella? “Era tutto dadaista. Perché lui non amava i codici di volgarità e aggressività verso l’avversario. Si divertì da pazzi, quel giorno, ad avere individuato un pullover che era intonato al colore della mortadella che addentò platealmente. Per lui la politica era anche estetica, era soprattutto estetica. Il suo maestro, non dimentichiamolo, era Franco Zeffirelli. Quando Zeffirelli presentò a Catania la prima del film Storia di una capinera e nei titoli di coda apparve la dedica a Nino, ci fu un boato. I suoi orizzonti erano Taormina, Ravello, Cannes. Per lui la politica era melodramma non tragedia. Si divertiva a stupire. Nino era la conferma che il mondo della destra è fatto di uomini e donne tutti diversi tra loro ma che fanno la stessa battaglia. Non c’era omologazione”. Così Pietrangelo Buttafuoco, scrittore e intellettuale non conformista ha ricordato, intervistato da Annalisa Terranova per il Secolo, il politico catanese Nino Strano, esponente di rilievo del Msi prima e poi della destra etnea nel complesso. Il parlamentare siciliano si definiva “buttafuochista”…

La bara di Nino Strano portata a spalla dai suoi “camarades”

“Era una figura di riferimento della Giovane Italia e del Fuan, era un gruppo il suo che aveva riferimenti in Peppe Tricoli e Paolo Borsellino, era legato a Franco Petronio e Alfredo Mantica. Erano tutti molto eleganti. Fu messo alla prova in Sicilia come assessore regionale allo spettacolo e al turismo, e non c’era festival dove non ci fosse lui. Colpiva anche per il suo colorato codazzo che manco un Almodovar si poteva sognare. Le sue segreterie elettorali erano coloratissime, erano tutti trans, molto pittoreschi…  ma lì non albergava la lagna dell’arcobaleno. Era un devoto cultore di tutte le libertà. Quando Fini disse che un omosessuale non poteva fare il maestro lui commentò: “Ha detto maestro mica assessore”. Ma quello di ammiccare all’omosessualità era un gioco, il suo vero desiderio erano le donne”, racconta ancora Buttafuoco.

Nel 2017, ricorda la Terranova, pubblicò un libro, “Je ne regrette rien, la libertà è un hula hoop“. La chiosa di Buttafuoco: “Tu lo guardavi e lo vedevi già perfetto per l’impresa di Fiume, non a caso il suo orizzonte finale è stata Taormina. Come a sinistra hanno avuto Renato Nicolini lui a destra fu quello che primo tra tutti capì l’importanza di costruire l’immaginario. Già la sua città era una sorta di vanity fair, aveva capacità di sorrisi e vizi sublimi, era proprio guascone”.

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Antonio Fiore

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