Malgieri: “Nei miei colloqui le radici dell’opposizione a pensiero unico e decadenza”

L'intervista all'intellettuale e scrittore che ha curato un prezioso volume nel quale sono raccolti i dialoghi con autori come Massimo Fini, Maurice Bardeche, Alain de Benoist e Ernst Junger

Gennaro Malgieri, scrittore e giornalista, già direttore del Secolo d’Italia e de L’Indipendente, fondatore della rivista di cultura Percorsi

Gennaro Malgieri è un intellettuale e scrittore che non certo ha bisogno di presentazioni. Ha scritto numerosi saggi e  libri, ha diretto riviste (Percorsi) e quotidiani come il Secolo d’Italia e l’Indipendente. Qui dialogheremo sulla pubblicazione “Colloqui (1974-1991). Attraversando il bosco”, curata per Solfanelli. 

Il volume riporta veri e propri dialoghi fra Malgieri e varie personalità della cultura anticonformista  come de Tejada, Vettori, Gregor, Horia, Freund, Bardéche, Paratore, padre Raimondo Spiazzi, Jünger, Massimo Fini, Sinjavskij, De Benoist, Stefano Zecchi.

Confinati nel recinto dei reprobi perché portatori di un pensiero scomodo e di un’etica anticonformista, i battitori liberi  intervistati da Malgieri, sebbene silenziati dalla “cultura ufficiale”, nel condannarla, hanno anticipato l’approdo della modernità: politicamente corretto, pensiero unico, cancel culture.  

Direttore Malgieri, in base a quali criteri scelse, a partire dal 1974, i personaggi dei  Colloqui?

“Sono quelli che reputavo più significativi al momento ed erano alla mia portata, nel senso che potevo intervistarli senza particolari difficoltà. Rispondevano al quesito che mi ero posto e che attraversa tutto il libro: dove ci porterà la modernità? Le risposte le considero ancora oggi soddisfacenti e preveggenti”.

Buona parte dei protagonisti del suo libro sono intellettuali collocati culturalmente a destra, ma non organici. Quanto ha inciso tale peculiarità nella emarginazione della cultura di destra, da sempre combattuta dall’establishment?  

“Niente, assolutamente. La Destra non è o non è mai stata una caserma. Arruolare gli intellettuali come faceva il PCI lo considerava detestabile. Naturalmente gli uomini di cultura erano vicini al Msi, ed erano tanti, ma la maggior parte non organici alle strutture di partito. La cultura di destra non è stata emarginata per questo ma per un pregiudizio totalitario, orchestrato dalla sinistra, che arrivò ad immaginare la realizzazione di un ‘cordone sanitario’ intorno alla destra intellettuale. I tempi non erano propizi, eppure, come dimostro nel mio libro, molto si faceva in ambiti di altissimo livello culturale. Che poi il tutto non avesse rispondenza sui mezzi di informazione faceva parte di quella congiura del silenzio che un becero antifascismo aveva messo in piedi conformandosi alle logiche comuniste ed azioniste”.

Provò soggezione nel colloquiare con personaggi di un certo calibro culturale?

“Nessuna soggezione. Avevo molto rispetto per i miei interlocutori, ma non m’intimidivano. Provavo ammirazione per i vari Sinjavskij, Horia, de Tejada, Bardéche, Paratore, de Benoist ed altri, ma nessuna soggezione. Il merito era loro: capaci, da galantuomini umili e straordinariamente colti, di mettere a suo agio chi gli poneva domande come gliele ponevo io”.

Nel 1986 e nel 1991, incontrò due personaggi all’epoca poco noti, ma successivamente detentori di un vasto pubblico, per di più trasversale: Massimo Fini e Stefano Zecchi. 

“Avevo letto i loro libri. Ne ero rimasto affascinato. Avvertivo una sintonia con entrambi, per quanto provenienti da ambienti diversi ed appartenenti a mondi tutt’altro che affini. Le dissacrazioni dell’illuminismo e del razionalismo giacobino da parte di Fini m’incantarono, tanto che il suo libro La ragione aveva torto, non solo lo recensii, ma lo presentai in molte città. Il culto della Bellezza ispiratomi da Zecchi resta ancora oggi, a tanti anni di distanza, un riferimento culturale e spirituale”.

Non poche intellettualità della cultura di destra da sempre muovono critiche alla Destra politica, incapace di un progetto culturale alternativo alla sinistra. Come stanno le cose?

“Non parlerei di timore, ma di indifferenza politico-culturale. Il mutamento tattico e strategico del Msi in An avrebbe dovuto favorire un maggiore avvicinamento, soprattutto istituzionale, laddove era possibile, al mondo intellettuale. Invece, come sappiamo si scelse un’altra strada che portò al nulla. Da qualche tempo fioriscono iniziative intellettuali ‘fai da te’, avendo soprattutto le giovani generazioni acquisito la consapevolezza che il primato della cultura è prodromico all’affermazione della soggettività politica, riviste, centri culturali, piccole case editrici fioriscono a dimostrazione che dal pensiero e dalle idee nasce non tanto un partito, ma una visione del mondo e della vita che è il fondamento di tutto, a cominciare proprio dalla militanza politica. Il Msi non va assolto, seppure in maniera non organica nel suo ambito nacquero strepitose iniziative che soltanto grazie ad esse si è potuto parlare della cultura di destra, per quanto demonizzata dalla sinistra. Nel mio libro Colloqui, tutto questo, nella prima e nella terza parte è accuratamente ricordato”.

Essere liberi è arduo, proclamarsi democratici è facile. Visto l’attuale contesto, che messaggio dei protagonisti del suo libro resta di maggiore attualità?

“Il dovere di opporsi al pensiero unico ed al politicamente corretto, alla cancel culture e a quello strambo pasticcio chiamato cultura woke. Alla decadenza, insomma. E alla salvaguardia dell’identità europea ed occidentale di fronte alla colonizzazione di potenze che portatrici di un altro verbo”.

@barbadilloit

Michele Salomone

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