La destra e l’eredità difficile di Silvio Berlusconi

Giuseppe Del Ninno: "Aldilà della retorica, rischia di proiettare ancora un’ombra divisiva, anche sul popolo della destra”

Silvio Berlusconi
Silvio Berlusconi

Con Silvio Berlusconi, a pochi mesi dalla scomparsa della regina Elisabetta, se n’è andato un altro “grande vecchio” che – proprio come la sovrana – ci aveva illuso, emanando un’illusoria aura d’immortalità in vita. Come già per la monarchia britannica, anche sul partito fondato dal Cavaliere e, più in generale, sulla politica italiana, fioriscono gli interrogativi sul futuro, per forza di cose privi di risposte certe. Qui però vorrei soffermarmi brevemente sul passato, sui profondi mutamenti innestati da Silvio sul tronco della politica italiana, rinsecchito dopo Tangentopoli.

 

Cominciamo col dire che, già prima della famigerata “discesa in campo”, Berlusconi, con le sue televisioni, aveva avviato un vasto e profondo cambiamento nei costumi e nella mentalità degli italiani, propedeutico all’inattesa vittoria elettorale del 1994. Sotto questo profilo, il Cavaliere è stato forse l’unico uomo politico ad aver messo in pratica la metapolitica, ovvero l’arte di predisporre il terreno culturale per raccogliere i consensi elettorali. Basti ricordare alcune sue esternazioni alla vigilia delle elezioni del ’94, quando confessava di fare affidamento sul voto delle massaie, alle quali, con le sue tv, aveva regalato le telenovelas, e su quello dei milanisti – e, in generale, di chi seguiva il calcio – con le imprese del Milan.

 

Nel campo più strettamente politico, il suo successo si è basato su di un paradosso: fattosi alfiere dell’antipolitica, è diventato il Principe della politica; critico del “teatrino” dei politicanti, ne ha ben presto appreso e sviluppato gli insegnamenti. Fra i suoi meriti riconosciuti anche dagli avversari, figura l’aver introdotto il bipolarismo, che oggi, specie dopo il declino dei cinquestelle e il loro accodarsi al carro del centrosinistra, appare irreversibile.

 

A questo proposito, dopo aver sottolineato che una tale innovazione, almeno nella nostra Italia, era figlia anche della crisi della Prima Repubblica e, in generale,  del tramonto delle ideologie, non appare fuor di luogo qualche riflessione sulle conseguenze di tali fenomeni. Venute meno le appartenenze ideali e il loro corollario della militanza, delle scuole di partito e della partecipazione massiccia al dibattito pubblico, sono apparse in primo piano le personalità carismatiche vere o presunte, che hanno messo in ombra i simboli di partito e lasciato che vigoreggiasse la malapianta dell’astensionismo.

 

In parallelo, sono venuti allo scoperto i cosiddetti “poteri forti”, la cui influenza era certo preesistente all’avvento del berlusconismo, ma veniva tenuta a freno dalla forza della politica e dei suoi protagonisti, e parliamo soprattutto della magistratura – e non solo nella smaccata persecuzione antiberlusconiana – in campo nazionale e dei soggetti finanziari e militari in quello internazionale (FMI, Unione Europea, NATO e così via).

 

A questo punto, non ci si può esimere dal valutare l’influenza del berlusconismo sul mondo della destra, anche in prospettiva futura. Si è detto e ripetuto dello “sdoganamento” di quella missina, avviato dall’endorsement  di Silvio per Gianfranco Fini, in occasione delle elezioni del 1993 per il  sindaco di Roma e della successiva designazione di alcuni esponenti del MSI quali ministri dell’inatteso primo governo Berlusconi del 1994.

 

Quell’operazione, che dette luogo alla nascita del centrodestra – creatura cresciuta fino a diventare stabile forza di governo e che ora, sotto la guida di Giorgia Meloni, fa invertire la denominazione della coalizione in “destracentro” – non è stata immune dal pagamento di pesanti prezzi sul terreno dei valori, anche se ha portato frutti su quello dei consensi elettorali e del sia pur cauto e intermittente appoggio dei citati “poteri forti”.

 

Tutto parte dalla proclamata volontà di Berlusconi di dare il via ad una rivoluzione liberale, che avrebbe dovuto comportare profonde riforme principalmente della giustizia, della cultura fiscale, del mondo del lavoro (ricordate le tre “i”, di internet, impresa e inglese?). E’ di tutta evidenza la distanza che separava – e separa – questo mondo da quello che si riconosceva – si riconosce? – nella triade valoriale “Dio, Patria e Famiglia”.

 

Politique d’abord, si diceva una volta, dimenticando però che al centro della “grande politica” sta l’incessante tentativo di conciliare le permanenti identità che connotano un popolo o una parte di esso con le esigenze della realpolitik e, in generale, con gli inevitabili mutamenti della storia e dei costumi pubblici e privati. Sotto il peso politico di Forza Italia, che – pur con la contrazione dei consensi, parallelo all’invecchiamento e al decadimento fisico del suo leader e fondatore – il soggetto che è in prima linea a rappresentare le istanze della “destra”, Fratelli d’Italia, non sta evitando mutazioni che rischiano, alla lunga di stravolgerne la natura, con imprevedibili conseguenze sugli esiti elettorali e sulle stesse alleanze, soprattutto in campo europeo.

 

L’obbedienza prona e acritica all’Alleanza Atlantica in occasione della guerra in Ucraina è soltanto l’esempio più visibile e dà luogo ad un altro paradosso: proprio su questo terreno scivoloso, Fratelli d’Italia si emancipa dagli influssi berlusconiani: non è un mistero che il Cavaliere, come fu evidente negli incontri di Pratica di Mare, mirava ad includere la Russia di Putin nella galassia che stava nascendo su basi multipolari, senza che questo implicasse ribaltamento e tradimento di alleanze. Purtroppo, a destra si pecca di miopia e di pigrizia mentale – senza contare il difetto di coraggio e di fantasia, nella rinuncia a scelte lungimiranti – come già dimostrarono i casi De Gaulle che uscì dalla NATO (ma la “nuova destra” francese lo ha da tempo rivalutato, malgrado l’Algeria) e di Craxi, con l’episodio di Sigonella e le monetine missine lanciategli contro, all’uscita dall’hotel Raphael, in appoggio alla Procura che avviò Tangentopoli.

 

Insomma, anche con la sua uscita di scena, Berlusconi, aldilà della retorica funeraria, rischia di proiettare ancora un’ombra divisiva, forse anche sul “popolo della destra”, combattuto fra la Scilla delle sirene del popolarismo europeo e la Cariddi dell’ancestrale richiamo nazional-conservatore. E si taccia sui miserabili che, nel web e sulla carta stampata, ignorano il motto della misericordia classica, parce sepulto.

Giuseppe Del Ninno

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