La pietas di Craxi per Mussolini (eredità politica da Nenni)

la pietas craxiana derivasse anche da una confidenza ricevuta da Pietro Nenni, personaggio di dubbia intelligenza politica

Bettino Craxi

Craxi (cinematografico) vicino un carro armato inglese in Hammamet

Ho letto con molto interesse l’articolo di Gerardo Adami sulla “pietas” di Craxi per Mussolini raccontata dalla figlia, anche se in realtà sia l’articolo sia l’intervista non hanno rivelato per me nulla di nuovo. Il rispetto del padre per la memoria del duce mi fu riferita da Stefania Craxi nell’agosto del 2008 dopo un incontro alla Versiliana che avevo organizzato con Romano Battaglia. Avevo una febbre altissima domata malamente con l’aspirina e ciò nonostante rimasi “stoicamente” dopo l’incontro per non lasciarla sola a cena. Soffrii, ma ne fui ripagato dalla sua conversazione piacevolissima e dalle sue confidenze.

Il ruolo di Pietro Nenni

A quanto ricordato da Adami vorrei aggiungere però un particolare. Credo che la pietas craxiana derivasse anche da una confidenza ricevuta da Pietro Nenni, personaggio di dubbia intelligenza politica (pose in posizione subalterna il partito socialista entrando col Pci nel Fronte popolare), ma di grande umanità, pregio raro e di conseguenza ancor più apprezzabile fra i politici. Nenni, com’è noto, era stato amico e compagno di cella di Mussolini, al tempo dell’opposizione alla campagna di Libia, lui repubblicano, il futuro duce socialista; era stato interventista come lui e aveva aderito al primo fascismo, il fascismo socialsteggiante e pasticcione di Sansepolcro. Ma soprattutto era convinto di dovere a Mussolini la vita. L’8 febbraio 1943 era stato arrestato in Francia dai nazisti, che avevano occupato anche la zona di Vichy, e con ogni probabilità avrebbe fatto la fine della figlia Vittoria e del genero, catturati dalla Gestapo e morti ad Auschwitz, se l’Italia non avesse rivendicato per sé il prigioniero. Tradotto in Italia, dopo una breve permanenza in carcere Nenni fu inviato al confino a Ponza, dove avrebbe intravisto un anno dopo Mussolini deportato nell’isola dopo il 25 luglio.
Sapevo già che Nenni fosse convinto che a salvarlo fosse stato l’intervento del suo ex amico, che come lui aveva “sangue romagnolo”, ma ne ho trovato conferma alla voce dedicatagli dal Dizionario biografico degli italiani; avevo saputo pure che il leader socialista provasse rimorso per non avere chiesto per vie traverse a Mussolini di intercedere anche per la figlia, condannandola a morte. Niente di più probabile di conseguenza che Craxi avesse assimilato il rispetto per il fucilato di Dongo dalle parole del suo vecchio amico-nemico.

Lo statista

Quanto alla figura di Craxi come statista, vorrei aggiungere che aveva due grandi meriti per un politico: l’amore per la cultura e il senso del potere, caratteristiche che non vanno necessariamente disgiunte. Fiuggi fu un’operazione essenzialmente mediatica, prova ne sia che il suo grande ideatore, Domenico Fisichella, lasciò An e si candidò con la Margherita, decisione discutibile ma indice di un indubbio disagio. Del resto anche le odierne difficoltà della classe dirigente di FdI nell’affrontare il tema fascismo lo confermano. La svolta del Midas – con la contrapposizione di Proudhon a Marx – aveva una base culturale più profonda e riviste come “Mondo Operaio” costituirono un fecondo laboratorio ideologico, favorendo un’osmosi fra politica e cultura.
Quanto al senso del potere, con un numero di voti non superiore a quelli che avrebbe ottenuto Alleanza Nazionale nei suoi momenti migliori, Craxi riuscì a inserire i suoi uomini in posti chiave, nel giornalismo, nell’università, nella dirigenza pubblica, cosa che il partito di Fini non ha mai saputo e voluto fare, nonostante qualche rodomontesca minaccia di epurazione. Politica delle mani nette? Non credo, visto che poi qualche scandaletto ha coinvolto anche uomini di An; piuttosto – parafrasando quello che si disse di Benedetto Cairoli al congresso di Berlino – delle mani inette.
Certo, nel leader socialista non mancavano manifestazioni di sfrontatezza, tanto che a volte non si capiva bene se fosse Forattini a fare la caricatura di Craxi o quest’ultimo a ispirarsi alle sue vignette. Ma il vero problema – un po’ come è avvenuto con tanti “berluschini” – fu costituito dalla arroganza di molti socialisti entrati nel partito per opportunismo e che, come spesso succede, imitarono il capo nei suoi difetti e non nei suoi pregi: ne guardarono i piedi, idealmente calzati di forattiniani stivali, non la testa. E a tutto questo occorre aggiungere la ὕβρις, la sensazione di onnipotenza, che coglie i politici giunti al culmine della loro parabola, e forse anche la superficialità che indusse tutta la classe dirigente della prima repubblica a sottovalutare l’impatto devastante degli accordi di Maastricht.
Eppure, anche con questi errori, Craxi non meritava la fine che ha fatto. Come non la meritava l’uomo che quando passò da Giulino di Mezzegra onorò con un mazzo di fiori.

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Enrico Nistri

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