Tutta l’Italia del pallone accolse con simpatia quel trionfo sudato e meritato, materializzatosi con due giornate di anticipo sulla fine del Campionato di Calcio di Serie A 1969-70. Era il 12 aprile di un incandescente 1970 quando il Cagliari di Rombo di tuono Gigi Riva, capocannoniere del torneo, conquistava il primo ed – al momento – unico Scudetto della sua storia. Cagliari esplose, la Sardegna inorgoglì, l’Italia applaudì.
Il 12 aprile 1970, sconfiggendo all’Amsicora per 2-0 un Bari che pur veleggiando verso la B non era affatto domo, il Cagliari si laureò Campione d’Italia. Riva e Gori realizzarono i goal del trionfo. Quel Gigi Riva che nel siglare il goal di testa riuscì ad eludere la marcatura di Pasquale Loseto, arcigno difensore del Bari. Quel Sergio Bobo Gori – scomparso il 5 aprile scorso – proveniente con Domenghini dall’Inter ad inizio stagione, in cambio di un grande centravanti come Roberto Boninsegna passato con i nerazzurri.
Non era un calcio spaccone e spendaccione come quello odierno in quanto, in quell’epoca, la scena era dominata da un Ideale intorno al quale ruotavano passione, entusiasmo, sacrificio, organizzazione e certamente difetti, ci mancherebbe.
I fatti dettero ragione al duo Corrias (presidente)-Arrica (vice presidente e direttore generale), che fidandosi di Manlio Scopigno, un tecnico preparato ed al tempo stesso ironico, flemmatico ed anticonformista, riuscirono a portare a Cagliari il Tricolore grazie ad una squadra costruita per «vivere alla giornata», come ebbe modo di sottolineare l’allenatore.
Personaggio dialogante ma fermo nei propri convincimenti, Scopigno non tollerava la maleducazione tant’è che avrebbe fratto volutamente a meno anche del più grande dei fuoriclasse se costui si fosse rivelato un autentico «caratteraccio».
Albertosi, Martiradonna, Zignoli, Cera, Niccolai, Greatti, Domenghini, Nenè, Gori, Brugnera, Riva, Reginato, Tomasini, Mancin, Poli, Nastasio, furono gli artefici di quella Vittoria. Per sei di loro, Albertosi, Cera, Niccolai, Domenghini, Gori, Riva, di lì a poco la meravigliosa avventura sarebbe continuata con i Mondiali di Mexico 70 dove avrebbero raggiunto con la Nazionale azzurra – laureatasi nel 1968 Campione d’Europa – un onorevole secondo posto alle spalle di un Brasile stratosferico. Forse anche Martiradonna avrebbe meritato la convocazione, ma il C.T. Valcareggi non fu dello stesso avviso.
Domenico Ciotti, giornalista toscano, appassionato di calcio e certamente nostalgico di quel calcio che fu e che oggi, purtroppo, non c’è più, fa rivivere quel trionfo in un libro che emoziona, ricco di aneddoti e ricordi pubblicato per la romana Ultra Sport Edizioni: «1970, il romanzo del Cagliari».
Tema centrale del Romanzo è la interminabile notte del 12 aprile 1970 che Manlio Scopigno vive con la squadra in ritiro all’Hotel Mediterraneo di Cagliari. Mancano poche ore alla sfida contro il Bari che potrebbe rivelarsi decisiva.
La stanza d’albergo del filosofo Scopigno, uomo certamente di calcio, ma profondamente interessato alla cultura, diventa una vera e propria ciminiera causa le tante ed immancabili sigarette accese e spente. Quelle ore, altro non sono che un lungo film nel quale scorrono i ricordi di una vita e le immagini di un campionato vissuto intensamente, non dimenticando i tanti profeti di sventura scettici sulla vittoria finale dei rosso-blu.
In quelle concitate ore notturne Scopigno pensa al Bari, teme quel Mario Fara, insidiosa ala destra biancorossa che potrebbe creare non pochi problemi al Cagliari. E l’Amsicora, lo stadio che sta per lasciare il posto al più capiente Sant’Elia. Passato e presente si alternano in Scopigno.
Già i ricordi pensando a quell’Eraldo Monzeglio, grande estimatore, maestro ed allenatore di Scopigno quando il futuro filosofo indossava la maglia del Napoli. I due poterono incontrarsi grazie alla clemenza di un partigiano che volle salvare la vita a Monzeglio passibile di fucilazione, vista l’amicizia di vecchia data che lo legava Duce. Un’amicizia talmente granitica da essere presente Monzeglio nella residenza di Mussolini, in quel di Gargnano, perfino nelle tragiche giornate della Repubblica Sociale Italiana. Monzeglio ebbe salva la vita perché «era una leggenda» del calcio, campione del mondo con la Nazionale nel 1934 e nel 1938. Mentre il piombo partigiano stava per abbatterlo, grazie a quelle benemerenze calcistiche, uno degli esecutori fece in tempo a dissuadere i propri compagni:
«Ragazzi, fermiamoci! Questo ha vinto due Mondiali e poi, suvvia, non ha mai fatto del male a nessuno».
Scorrono ancora le rimembranze del filosofo…
Ricorda con affetto e riconoscenza quel Roberto Lerici che lo volle suo vice al Lanerossi Vicenza designandolo, successivamente, suo naturale successore alla guida di quella Squadra Bella dalla Bianca Pecorella dove conseguì pregevoli risultati. Quindi la parentesi poco piacevole ma formativa di Bologna, per finire al Cagliari dove mise piede nel 1966 con un inizio non del tutto favorevole.
Tutta da scoprire la vicenda del Cagliari versione States che nel 1967, al termine del Campionato di A, divenne Chicago Mustang con tanto di imprevisto finale che ebbe per protagonista in terra americana il malcapitato Scopigno. Ma torniamo alle “convulsioni” notturne del filosofo di quel 12 aprile 1970. Il traguardo è a portata di mano, ma bisogna sudarselo anche perché la diretta concorrente per lo Scudetto, la Juventus, spera ancora. Classifica: Cagliari 40, Juve, 37; nei bassifondi Sampdoria 21, Bari e Palermo 17, Brescia 16. Tutto può succedere.
Finalmente si gioca. Il Cagliari vince, la Juve viene sconfitta a Roma dalla Lazio. Il Cagliari è Campione d’Italia, tutta Italia applaude, anche quella che ha schernito i sardi.
Quella vittoria lasciò una traccia indelebile…quanti bambini, quanti adolescenti non sardi diventarono tifosi del Cagliari – e lo sono ancora oggi che hanno i capelli bianchi – e di Gigi Riva, il grande cannoniere della Nazionale azzurra il cui record è ancora oggi imbattuto: 35 goal in 42 partite, una media impressionante.
L’acuto Domenico Ciotti, avvedutamente non tralascia il contesto in cui matura la vittoria del 1970, «l’anno dei Mondiali in Messico, dello scioglimento dei Beatles, del golpe Borghese, dell’incidente nello spazio dell’Apollo 13, del varo della legge sul divorzio in Italia, della nascita della teleselezione e di Rischiatutto». Ma c’era dell’altro e del tragico in quella Italia dove le bombe cominciavano a fare rumore seminando morte e terrore. Riguardo il “Golpe Borghese”, corre l’obbligo precisare che la magistratura italiana ha sentenziato in maniera definitiva che «il fatto non sussiste».
In conclusione, «1970, il romanzo del Cagliari» è un libro in primo luogo sentimentale, di indubbio valore storico e morale, che fa apprezzare e rimpiangere – specie per chi li ha vissuti – i miti ideali e reali di un’epoca brillantemente descritta dall’autore, un libro che rinverdisce la memoria, stuzzica la curiosità di chi non ha vissuto quelle passioni; un libro che sicuramente suscita in quei pochi idealisti che ancora credono in certi valori, cui piace ancora sognare Romanticamente ad occhi aperti, una domanda forse più interiorizzata che esplicitata: tornerà quel Calcio che era poema e passione, gioia ed amarezza, sacrificio e comune sentire in nome di un vessillo impiantato nel cuore?