La lettera. La transizione ecologica e gli abbagli pericolosi (come il ponte sullo Stretto)

L'ecologista Sandro Marano sui temi all'ordine del giorno nel dibattito sulla vita sostenibile e sui modelli consumistici

Il ponte sullo Stretto

Gentilissimo direttore,
consentimi qualche rapida annotazione circa le posizioni assunte dall’attuale governo in materia ambientale. Il dibattito di questi giorni riguarda soprattutto tre questioni: le auto elettriche, il ponte sullo Stretto e le case cosiddette green. Sullo sfondo c’è la questione della transizione ecologica, termine che correttamente inteso – ma non sono certo che coloro che ne parlano ne siano consapevoli – significherebbe nientedimeno passare dalla civiltà dei consumi col suo modello dissipativo alla civiltà ecologica col suo modello conservativo (dove, ben inteso, l’industria non sparisce, ma ha un ruolo affatto subordinato rispetto alla sostenibilità). E qui sono d’accordo con la presidente Meloni circa la necessaria gradualità da dare alla transizione ecologica, pena una temibile caduta civile e sociale.

L’auto elettrica

Per quanto riguarda l’auto elettrica nutro anch’io delle perplessità: è forse l’unica soluzione? Non si può raggiungere lo stesso obiettivo con i biocarburanti (in particolare col biometano e il bioetanolo estratti rispettivamente dai rifiuti organici e dagli scarti agricoli e verdi) o con i carburanti sintetici e con l’idrogeno? Perché scartare pregiudizialmente altre possibili soluzioni tecnologiche? O non usarle tutte insieme?

Il ponte

Passiamo al ponte sullo stretto. Qui la mia contrarietà di ecologista di Fare Verde è netta non solo per problemi tecnici ed economici (la sua fattibilità, il rischio assai alto connesso ad una zona fortemente sismica, i costi esorbitanti rispetto ai benefici attesi), ma anche e soprattutto per la devastazione irreversibile e incalcolabile delle zone costiere e della biodiversità marina che questa grande opera comporta con la sua immensa gettata di cemento. Dal punto di vista ambientale infatti tutta l’area dello stretto di Messina è ricompresa in due Zone di protezione speciale (sul lato calabrese la costa Viola e su quello siciliano la costa dei monti Peloritani) oltre a varie zone speciali di conservazione secondo la direttiva comunitaria Habitat. In quest’area, che è luogo importante di transito dell’avifauna, si trova una delle più alte concentrazioni al mondo di biodiversità. Si tratta di un ambiente naturale unico e compatto che sarebbe, se non interamente distrutto, fortemente ridotto e irreversibilmente compromesso dal ponte sullo stretto. Non tener conto di tutto questo non rappresenta un crimine contro la Natura vivente, come già ha messo in luce l’ecologo Antonio Di Natale in un articolo pubblicato su Altraeconomia del 1 giugno 2021 dal titolo “Ponte sullo stretto, il ritorno. Perché è un incubo da abbandonare”?
Dire poi, come ha fatto l’entusiasta ministro delle infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini, che è «un’opera green e anche un’attrazione turistica» non ha molto senso. Innanzitutto, quando si parla in italiano di “green”, gatta ci cova. Riduce quest’opera l’inquinamento da anidride carbonica? E quali sono i dati relativi all’inquinamento provocato dal flusso ininterrotto degli autoveicoli sul ponte? si è fatto un calcolo comparativo? e i costi ambientali per la costruzione di questa grande opera sono stati presi in considerazione? Già la commissione Via dell’allora Ministero dell’Ambiente diede nel 2013 un parere negativo di valutazione di impatto ambientale sul ponte ad unica campata (che è quello progettato e rilanciato ora). La sostenibilità, caro Ministro, non può essere una variante dello sviluppo. E poi dire che così si favorisce il turismo, mi pare uno sproposito. Quale turismo? Ricordiamo l’ammonimento di Aldous Huxley: un luogo pittoresco accessibile a tutti cessa di essere pittoresco!

Le case green

Circa l’ultimo argomento non capisco la contrarietà pregiudiziale alle cosiddette “case green”. La riqualificazione energetica è un fondamentale tassello della transizione da una società dissipatrice ad una società conservativa dell’energia. Certo, si può discutere sul metodo, sui modi e sui costi, sui tempi, ma è un processo necessario, da perseguire assolutamente. Peraltro, non si vuole forse favorire il lavoro nel campo dell’edilizia? E quale migliore occasione di questa? Altro che i centomila posti di lavoro vantati dal ministro delle infrastrutture per costruire il ponte sullo Stretto!

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Sandro Marano

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