La guerra a oltranza alla Russia e il rischio di “regalare” l’Asia alla Cina

Un articolo di Carlo Pelanda su “La Verità” di domenica 15 gennaio ci dice che qualcosa sta davvero cambiando all’interno dei circoli di “analisti” filo occidentali e atlantisti riguardo il conflitto nell'Est Europa

Risiko geopolitico

Un articolo di Carlo Pelanda su “La Verità” di domenica 15 gennaio ci dice che qualcosa sta davvero cambiando all’interno dei circoli di “analisti” filo occidentali e atlantisti al riguardo della guerra tra Russia ed Ucraina. Nell’occhiello in prima pagina il quotidiano titolava letteralmente: «Peggio della vittoria di Putin c’è una Russia in mano ai cinesi.» All’interno l’articolo occupava una pagina intera e titolava ancora più precisamente: «Per frenare l’ascesa cinese, l’Occidente non può fare a meno della Russia.»

La tesi di fondo di Pelanda è che nei think tank occidentali che hanno sostenuto gli aiuti all’Ucraina nella guerra contro la Russia va sempre più facendosi strada l’ipotesi di un rafforzarsi del pericolo cinese in assenza di una Russia alleata che aiuti a contenere in qualche modo l’espansionismo cinese sia in Asia che in Africa. L’analista de “La Verità” testualmente afferma: «[…] la Russia non potrà mai sostituire il dominio dell’impero delle democrazie sul pianeta, ma la Cina potrebbe farlo con facilità non facilmente sfidabile se prendesse un’influenza forte su Mosca e sull’ Asia centrale pertanto non è conveniente lasciare la Russia in mani cinesi.» 

Se però l’analisi e la diagnosi della situazione, per quanto  un po’ tardive, sono improntate ad un forte realismo, la proposta, o l’ipotesi di soluzione, però lascia alquanto a desiderare. Si postula infatti la necessità di accelerare il processo di destabilizzazione interna della Russia per fare in modo che essa, così come il futuro scenario politico che dovrebbe avviare le trattative di pace, sia libero dalla ingombrante presenza di Putin. 

Questa ipotesi è ritenuta prudentemente “realista” per alcuni segnali che Pelanda sembra cogliere in tale direzione: «In tale ipotesi vi potrebbe essere un trasferimento della guerra dall’Ucraina a un conflitto civile interno in Russia. Indizio: l’intelligence danese, circa un mese fa, emise un comunicato che si presta ad interpretazioni multiple: l’eccesso bellico di Putin è dovuto all’effetto di farmaci anticancro. Una delle interpretazioni è che ciò sia un segnale delle élite russe: la colpa è solo di Putin e di una ventina di suoi fedeli, il resto dichiarabile innocente e non sottoponibile a una Norimberga internazionale ma eventualmente gestibile selettivamente dalla giustizia interna russa post Putin.»

Non è successo così per Hitler, ma nemmeno con Milosevic e Saddam Hussein. Se non ci fosse stata la loro sconfitta militare difficilmente la situazione si sarebbe risolta “internamente” ed ora non ci sono le condizioni reali per una sconfitta della Russia, anche se il conflitto sta durando molto di più rispetto a quanto preventivato dall’autocrate russo e dal suo stato maggiore. Per sconfiggere militarmente la Russia sarebbe necessario un intervento diretto della Nato che preluderebbe davvero alla deflagrazione di un conflitto mondiale.

Ammesso pure che si potesse giungere ad una soluzione del tipo di quella ipotizzata ed auspicata da Pelanda, con un colpo di stato anti-Putin, rimarrebbero irrisolte questioni-chiave di quello scacchiere che lo renderebbero sempre ad alta instabilità e suscettibile di rappresentare il casus belli per altri interventi militari: l’atavica aspirazione russa ad avere un rapporto di collegamento più diretto col mediterraneo tramite i porti sul Mar Nero (questione Crimea), le relazioni e gli scambi economici con l’Europa che da sempre sono esistiti e spesso sono serviti a “calmierare” le pretese anglo-americane sulle economie europee.

Per rimanere in casa nostra, sin da Francesco Saverio Nitti ci sono state relazioni ed interscambi economici con la Russia, implementati durante il Fascismo che pure ideologicamente rappresentava quanto di più contrapposto potesse immaginarsi rispetto al comunismo sovietico. Questi rapporti furono ripresi proprio sul tema petrolifero e dell’energia da Enrico Mattei a fine anni ’50 e quando, l’11 maggio 1962, il Sottosegretario di Stato americano George Ball gli rimproverò queste “relazioni pericolose”, il manager marchigiano rispose che anche altre società non appartenenti al gruppo Eni e di altri paesi europei avevano intessuto relazioni economiche con l’URSS e che addirittura gli impianti Esso in Italia raffinavano petrolio sovietico che era servito per approvvigionare la Sesta Flotta della US Navy, cioè della marina militare statunitense.

Storicamente, nel bene e nel male, la Russia ha sempre “interagito” con le varie potenze europee partecipando ai loro conflitti e alle conseguenti trattative di pace, l’esempio più eclatante è ciò che è avvenuto con Napoleone Bonaparte e con il successivo Congresso di Vienna. Gli Stati Uniti hanno forse pensato di identificare la sconfitta del Comunismo sovietico con la sconfitta della Russia e quindi di doverne ridimensionare le aspirazioni e le dinamiche geopolitiche ultrasecolari. Questa pretesa soffre di una pulsione profondamente irrealistica ed “utopistica”. Più realisticamente avremmo dovuto pensare che come le varie potenze europee che, sino al secondo conflitto mondiale, si erano combattute, hanno in qualche maniera ricostruito un tessuto di relazioni pacifiche e “a bassa tensione conflittuale” nel secondo dopoguerra, così si sarebbe dovuto fare anche con la Russia. Il Comunismo ha reso ciò impossibile sino al 1989, ma poi questo processo andava avviato e portato avanti invece di pretendere di arrivare sul confine russo-ucraino con i missili della Nato, dopo averlo già fatto in Polonia e in altri paesi dell’Est europeo.

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Leonardo Giordano

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