Ay Sudamerica! Bolivia, l’arresto del governatore ribelle fa divampare le proteste

Luis Fernando Camacho, leader di destra della regione di Santa Cruz, è finito in carcere con l'accusa di terrorismo

Dopo il caos pre-natalizio in Perù, dove l’impeachment e l’arresto del presidente Castillo hanno provocato disordini nelle strade e una situazione esplosiva al Congresso, un altro Paese andino rischia di precipitare nell’ingovernabilità. In Bolivia l’intera regione orientale di Santa Cruz, al confine con il Brasile, si sta ribellando contro il governo centrale del presidente Luis Arce per protestare contro l’arresto del governatore del dipartimento, Luis Fernando Camacho, finito in carcere poco prima di Capodanno con una misura preventiva di sei mesi in relazione al golpe parlamentare che nel 2019 fece cadere l’allora di sinistra presidente Evo Morales.

Camacho, 43 anni, è un avvocato e imprenditore a capo di Creemos, una coalizione di destra molto radicata a Santa Cruz, e da tempo guida il governo dipartimentale. Il governatore è accusato di terrorismo perché, secondo il pubblico ministero di La Paz che ne ha ordinato l’arresto, sarebbe stato complice del ribaltone che nel novembre di tre anni fa portò all’allontanamento di Morales e alla sua fuga in Argentina, dove chiese asilo politico. Al suo posto il Parlamento boliviano insediò una senatrice del partito conservatore Movimiento Demòcrata Social, Jeanine Áñez, che rimase in carica un anno prima che nuove elezioni riportassero al potere il MAS (Movimiento al socialismo) di Morales, questa volta nella persona di Luis Arce. In seguito a un processo, l’ex presidentessa Jeanine Áñez è stata condannata a 10 anni di carcere per «decisioni contrarie alla costituzione».

Secondo la giustizia boliviana, in quell’anno di presidenza Áñez sarebbero state compiute numerose violazioni costituzionali e anche reati, tra i quali alcuni omicidi. E il governatore di Santa Cruz, Camacho, avrebbe collaborato con la Áñez e altri esponenti politici. Il governatore è stato prelevato dalla polizia nella sua città, Santa Cruz de la Sierra, e portato in un carcere di La Paz, dove adesso si troverebbe in precarie condizioni di salute. «Se dovessi morire in cella», ha scritto Camacho in una lettera ai propri sostenitori, «è chiaro che la responsabilità ricadrà sul presidente Arce».

Il suo arresto ha scatenato una violenta reazione non solo dei suoi sostenitori politici, ma di gran parte della popolazione di Santa Cruz, da tempo in rotta con La Paz e con la politica “indigenista” prima di Morales e adesso di Arce. Si pensi che nel 2008 il precedente governatore “cruceño” Ruben Costa promosse un referendum popolare chiedendo l’indipendenza amministrativa dalla capitale e ottenne l’82% dei voti favorevoli. Fu poi proprio il presidente Morales a dichiarare incostituzionale la consultazione e a bloccare il tentativo secessionista.

Dietro questa diatriba ci sono ragioni politiche, economiche e anche etniche. Il dipartimento di Santa Cruz (circa tre milioni e mezzo di abitanti) è una regione molto diversa dal resto del Paese andino, con foreste, clima tropicale e una solida economia basata su agricoltura, allevamento, miniere e lavorazione di risorse naturali (tra le quali gas e petrolio). Da sola vale il 30 per cento del Pil boliviano. Inoltre, pur avendo tra la sua popolazione una forte componente indigena (quechua, aymara e guaranì), quasi due terzi sono di origine europea o di altre migrazioni del secolo scorso (arabi, cinesi, giapponesi, iraniani). È chiaro, quindi, che da queste parti la politica indigenista promossa dal MAS non trova terreno fertile.

Dopo l’arresto di Luis Fernando Camacho (nella foto a fianco), perciò, l’intera città di Santa Cruz de la Sierra è stata bloccata da uno sciopero generale, sono stati assaltati uffici pubblici del governo centrale, è stato occupato l’aeroporto e una gigantesca manifestazione di centinaia di camionisti sta ancora paralizzando le principali vie di comunicazione della regione. Tutti sono unanimi nel chiedere la scarcerazione del governatore e nel bollare l’inchiesta giudiziaria di La Paz come una persecuzione politica del governo centrale. Il presidente dell’assemblea legislativa di Santa Cruz, Zvonko Matkovic Ribera, ha persino dichiarato che l’uso politico della magistratura da parte del MAS e di Arce avvicina la Bolivia al Venezuela, a Cuba e al Nicaragua, mentre organi di informazione vicini alla destra di Camacho hanno addirittura avanzato l’ipotesi che all’operazione di cattura del governatore abbiano partecipato agenti segreti stranieri, dei Paesi sopracitati.

Nella capitale, invece, moltissimi sostenitori del governo socialista sono scesi in piazza per festeggiare l’arresto dell’uomo forte di Santa Cruz. Ma non tutti a La Paz gioiscono per l’indagine giudiziaria, che parecchi sospettano sia teleguidata dalla politica. Anzi, molti sono preoccupati per le conseguenze che potrebbe avere questa crisi istituzionale senza precedenti tra il governo centrale e la regione di Santa Cruz, storicamente secessionista. Il giornalista Humberto Vacaflor Ganam, corrispondente dalla capitale boliviana del giornale argentino Infobae, ha duramente criticato le modalità violente che hanno portato all’arresto di Camacho (un blitz compiuto da agenti incappucciati, che hanno di fatto sequestrato il governatore spaccando i vetri della sua auto e senza neppure notificargli l’ordine di custodia) e ha denunciato la «deriva caraibica» (chiara allusione appunto a Cuba, Venezuela e Nicaragua) da parte del governo Arce.

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Giorgio Ballario

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