Ay Sudamerica! Opposizione giù e Usa più vicini: il Natale felice di Maduro

La guerra in Ucraina costringe Biden a mediare con il Venezuela mentre evapora il bluff Guaidò

Il leader venezuelano Maduro

È stato un bel Natale per il presidente venezuelano Nicolàs Maduro, per molti anni uno dei “capi di Stato canaglia” – così bollato da Usa e Unione Europea – e che ora si appresta a rientrare nel consesso civile gestito dall’Occidente passando dalla porta principale. Tutto merito della guerra fra Russia e Ucraina, che non solo ha messo sotto i riflettori un nuovo “puzzone” da esecrare (Putin), ma soprattutto ha obbligato Biden e il suo establishment a pensare che “petroleum non olet”, e quindi in un’epoca di carenza di approvvigionamenti energetici, l’oro nero del Venezuela non fa più schifo.

Come ha scritto Pino Arlacchi, ex parlamentare e dirigente dell’Onu, «il governo americano si rassegna alla sconfitta in Venezuela dopo sette anni di guerra ibrida: disinformazione senza freni, sbarchi di mercenari, tentati assassinii del presidente, sabotaggi di infrastrutture. E soprattutto sanzioni. Sanzioni devastanti, che avrebbero dovuto privare il Paese dei suoi mezzi di sussistenza, a partire dal petrolio. Nei sogni di Washington, l’odiato Maduro doveva essere spazzato via dall’insurrezione di folle affamate, da un sacrosanto golpe militare e dall’isolamento internazionale».

La riscossa nonostante le previsioni occidentali

Invece è finita che l’ex delfino di Hugo Chàvez, descritto dalla stampa occidentale come un satrapo ignorante e corrotto, si è rivelato molto meno ingenuo del previsto: per anni ha lasciato che l’opposizione interna guidata da Juan Guaidò (sostenuta e soprattutto finanziata da Washington) si consumasse in una ridda di pronunciamenti e prese di pozione fini a se stesse, indebolendosi e lacerandosi sino a diventare inoffensiva. Qualcuno ricorda l’autoproclamazione di Guaidò, che nel gennaio del 2019 si dichiarò legittimo presidente del Venezuela con l’appoggio di buona parte della vecchia Assemblea legislativa, tanto da venir riconosciuto dagli Usa e dall’Ue?

Ebbene, dopo quattro anni di nulla il presidente fantasma – «senza governo, senza esercito e senza popolo», per usare la severa definizione di Claudia Fanti su Il Manifesto – ha ricevuto il benservito persino dai partiti che l’appoggiavano. Nei giorni scorsi la proposta di archiviare la presidenza ad interim di Guaidò, presentata dai movimenti d’opposizione Un Nuevo Tiempo, Primero Justicia, Acción Democrática e Movimiento por Venezuela, è stata approvata con 72 voti a favore, 23 contro e 9 astensioni. Nei fatti il presidente autoproclamato era già stato scaricato anche dall’amministrazione Biden, che da alcuni mesi ha silenziosamente ripreso i rapporti con il governo ufficiale di Maduro.

Super Bigote (super baffo), Venezuela

Così, mentre lo stesso Maduro a inizio dicembre ha riannodato il dialogo con una parte dell’opposizione politica (si è riunito con i rappresentati dell’Alianza Democratica a palazzo Miraflores, sede dell’esecutivo, «per portare avanti progetti di crescita economica e sociale del Paese»); non è passato inosservato il fatto che alcune settimane fa il governo Biden ha autorizzato la compagnia petrolifera Chevron (una delle vecchia “sette sorelle”) a riprendere i rapporti con Caracas e ricominciare l’attività di estrazione del petrolio venezuelano, bloccata da anni per le sanzioni di Washington. Per il momento l’autorizzazione è solo temporanea (sei mesi), non prevede pagamenti alla compagnia statale venezuelana Pdvsa in virtù di antichi debiti non ancora onorati e proibisce qualsiasi transazione con Iran e Russia, ma è comunque in primo passo di enorme importanza verso la normalizzazione dei rapporti fra Usa e Venezuela.

Persino l’Unione Europea, che di solito in materia di relazioni internazionali ha tempi di reazione da bradipo, sembra voler scommettere sulla riapertura dell’Occidente al governo Maduro: è di pochi giorni fa la notizia che Bruxelles investirà nel Paese cinque milioni e mezzo di euro, parte in progetti riguardanti le politiche giovanili e il restante destinato alla preparazione di un processo elettorale corretto e inclusivo. Del resto già nel giugno del 2021 l’italiana Eni e la spagnola Repsol ottennero il nulla osta dal Dipartimento del Tesoro di Washington per commerciare petrolio venezuelano in Europa, al solo fine, però, di riscuotere i debiti della locale compagnia petrolifera statale. L’attivismo europeo fa seguito alle timide aperture economiche di Biden e alle offensive diplomatiche sudamericane, a cominciare da Argentina e Colombia, favorevoli alla ripresa di normali relazioni. E ora, con l’elezione alla presidenza di Lula, anche il Brasile spinge per riavvicinarsi a Caracas.

L’anno che sta per iniziare sarà fondamentale per il futuro del Venezuela. A giugno si svolgeranno infatti le primarie dell’opposizione per scegliere il proprio candidato in vista delle presidenziali del 2024, e alla luce degli ultimi avvenimenti sembra proprio che Juan Guaidò sia ormai bruciato e tagliato fuori dai giochi. A Caracas, tuttavia, si vocifera che il governo chavista stia provando ad anticipare le elezioni presidenziali già al 2023, in modo da trarre vantaggio dall’attuale frammentazione dei partiti di opposizione. Si vedrà nei prossimi mesi, intanto dopo molto tempo Maduro si è goduto un Natale sereno dividendosi tra l’inaugurazione di alcune case popolari nello stato di Lara e la consegna di giocattoli ai bambini bisognosi di Caracas. E fra le strenne più apprezzate figura anche un pupazzo chiamato Super Bigote (super baffo) che ha proprio le sembianze del presidente della Repubblica.

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Giorgio Ballario

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