Ay Sudamerica! Caos Perù dopo l’arresto del presidente Castillo

Nella pluridecennale crisi istituzionale tutti i capi dello Stato andino hanno avuto guai con la giustizia

Pedro Castillo in parlamento a Lima

Si aggrava la situazione politica in Perù, dove ormai ogni giorno si segnalano violente manifestazioni di protesta dei sostenitori dell’ex presidente Pedro Castillo, arrestato e deposto dopo l’impeachment del Congresso lo scorso 7 dicembre. Gli scontri sono stati particolarmente gravi nella regione meridionale di Apurimac, dove ieri sono morti due manifestanti e dove è stata data alle fiamme una caserma della polizia nella cittadina di Huancabamba.

I media peruviani registrano incidenti anche in altre regioni delle Ande, a Ica e nella stessa capitale Lima, dove ieri il Congresso si è riunito per una sessione d’emergenza finita in rissa. Nelle immagini diffuse dai social media, si vede un deputato che prende a pugni un collega e poi vari membri del Congresso che si spintonano. Nel frattempo, i sindacati rurali e le organizzazioni che rappresentano i popoli indigeni hanno proposto uno sciopero a tempo indeterminato a partire da martedì 13 dicembre a sostegno di Castillo, lui stesso figlio di una famiglia contadina. Tra le altre richieste dei sostenitori dell’ex presidente ci sono la sospensione del Congresso, elezioni anticipate e una nuova costituzione, nonché l’immediato rilascio di Castillo, secondo una dichiarazione del Fronte agrario e rurale del Perù, che raggruppa una dozzina di organizzazioni.

La situazione è più grave di quanto avessero previsto i deputati che hanno votato per la deposizione del presidente, eletto nell’estate del 2021, e la stessa neopresidentessa Dina Boluarte (già vice di Castillo, eletta dal Congresso subito dopo l’impeachment), ha annunciato la volontà di indire elezioni presidenziali anticipate all’inizio del 2024 e di avviare una serie di riforme costituzionali per superare lo stato di emergenza e conflittualità in cui versa il Paese.

Del resto la vicenda Castillo si inquadra un una grave e pluridecennale crisi istituzionale, oltreché in una specie di “maledizione” che ha travolto quasi tutti i presidenti che negli ultimi trentacinque anni si sono avvicendati alla guida del Perù. A parte il caso di un presidente temporaneo restato in carica pochi mesi, tutti gli altri Capi di Stato del Paese sudamericano hanno avuto grossi problemi con la giustizia, sono stati arrestati e condannati per vari reati oppure sono stati costretti a dimettersi per scandali giudiziari.

Per trovare un presidente che abbia regolarmente concluso senza macchia il proprio mandato bisogna risalire al 1985, quando è terminato il quinquennio di Fernando Belaùnde Terry, storico leader del partito centrista Acciòn Popular, già presidente peruviano alla fine degli anni Sessanta. Dopo Belaùnde Terry è salito alla Casa di Pizarro Alan Garcia, all’epoca “enfant prodige” del partito socialista Apra, che finisce il suo mandato fra polemiche e accuse di corruzione: viene rieletto nel 2006, nel 2013 è indagato per illeciti e irregolarità e si trasferisce in Spagna. Torna in Perù nel 2018, gli viene ritirato il passaporto con l’accusa di aver preso, insieme con il governo dell’epoca, 24 milioni di dollari di tangente dalla Odebrecht, colosso brasiliano delle costruzioni. Il 17 aprile 2019 arriva l’ordine di cattura, ma mentre la polizia entra in casa per arrestarlo, Garcia si toglie la vita sparandosi un colpo alla testa.

Dopo la prima presidenza Garcia (1985-1990) è stata la volta dell’inquietante parentesi di Alberto Fujimori, l’uomo politico nippo-peruviano che ha segnato il decennio degli Anni Novanta: nel bene, perché di fatto ha sconfitto la terribile e violenta guerriglia maoista di Sendero Luminoso (un movimento terroristico radicato nella zona delle Ande che ha causato l’enormità di circa oltre 10 mila morti), nel male perché ha instaurato una specie di autocrazia corrotta e incurante dei diritti umani. Eletto nel ’90, Fujimori ha accentrato tutti i poteri attraverso una specie di “autogolpe” nel 1992. Rieletto per la terza volta nel 2000 ma ormai sotto indagine, fugge in Giappone, nel 2005 è arrestato in Cile e due anni dopo estradato in Perù, dove ha parzialmente scontato cinque condanne per corruzione, peculato, abuso d’ufficio e violazione dei diritti umani in relazione alla lotta al terrorismo di Sendero Luminoso. Nel marzo di quest’anno è stato scarcerato per ragioni di salute.

Dopo il decennio fujimorista e la breve parentesi di otto mesi del presidente pro tempore Valentin Paniagua (unico a non aver avuto guai con la giustizia), nel 2001 viene eletto alla Casa di Pizarro Alejandro Toledo, che resta in carica fino alla metà del 2006. Anni dopo viene anch’egli travolto dal ciclone dello scandalo Odebrecht, accusato di corruzione per un finanziamento illecito di 20 milioni di dollari: Toledo fugge all’estero e viene arrestato negli Usa nel 2019, attualmente è detenuto negli Stati Uniti in attesa dell’estradizione.

Lo stesso scandalo ha portato all’arresto di un presidente che pure sembrava molto diverso dai suoi predecessori, l’ex militare Ollanta Humala (al potere dal 2011 al 2016), nazionalista di sinistra, molto legato alle realtà contadine indigene delle regioni andine. Un anno dopo aver completato il mandato presidenziale anche lui finisce in carcere con l’accusa di riciclaggio e associazione a delinquere per aver preso 3 milioni dall’azienda brasiliana per la campagna elettorale. È stato poi messo in libertà vigilata in attesa della sentenza, per lui la pubblica accusa ha chiesto 20 anni di carcere.

Ed eccoci agli anni più vicini a noi. Dal 2016 al 2018 è al potere Pedro Pablo Kuczynski, economista, imprenditore e banchiere, figura di centrodestra in apparenza molto autorevole. Indagato per il solito scandalo Odebrecht, si dimette in vista della votazione sul suo impeachment e in seguito viene arrestato per riciclaggio e associazione a delinquere. Condannato a 3 anni nel 2019, li ha scontati agli arresti domiciliari per ragioni di salute. Scarsa fortuna anche per i suoi successori Martìn Vizcarra (marzo 2018 – novembre 2020), travolto da uno scandalo legato ai vaccini per il Covid 19; Manuel Merino (dal 10 novembre 2020 al 15 novembre 2020), denunciato per le violenze della polizia (due morti e ottanta feriti) in occasione della repressione di alcune manifestazioni di piazza e costretto a dimettersi; e Francisco Sagasti (in carica dal 17 novembre 2020 al 28 luglio 2021), coinvolto nel cosiddetto Vacunagate, vaccinazioni anti-Covid illegali per vip e politici.

Ora è il turno di Castillo, finito in galera per il presunto “autogolpe” del 7 dicembre e il tentativo di scioglimento del Congresso. Però, come si è visto, due settimane dal Natale i giochi restano aperti e il Perù, per la prima volta affidato a una presidente donna, rischia di scivolare verso una pericolosa situazione di ingovernabilità.

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Giorgio Ballario

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