Lo scontro Russia-Ucraina verso una escalation

Gianni Marocco: "Che cosa è da ultimo successo per indurre gli osservatori occidentali ad un sentimento di quasi rassegnata impotenza di fronte alla temuta, ma prevista, escalation?"

Lo scontro Ucraina-Russia

Incremento o aggravamento o intensificazione sarebbero dei sinonimi di escalation. Ma, giacché tutti usano il termine anglofono, inutile disquisire ora sul ‘sesso degli angeli’, cioè fare i cruscanti quando l’inglese, con la sua vocazione alla concisione, oltreché per l’imperialismo mediatico, ci assedia da ogni parte; morte della veneranda Queen Elizabeth e recente mega funerale ‘Magic Kingdom’ (pur lontano da Walt Disney World) a parte. La rappresentazione di fasti perduti. 

Lo scorso 31 luglio, da ultimo, consegnavo alle colonne di questo magazine alcune considerazioni dopo cinque mesi dall’inizio del conflitto (l’ ‘Operazione Militare Speciale’, direbbe Putin) tra Russia ed Ucraina. Lo scarso ottimismo di allora riguardo ad una composizione diplomatica, negoziata (nella quale ognuno dei contendenti rinunzia a qualcosa per ottenere la pace o almeno una tregua prolungata) data l’intransigenza dei due principali attori, almeno sul campo, condita da efferate crudeltà anche su civili ucraini, secondo Kiev, pare essersi dissolto. Inoltre, il quasi parallelo contenzioso cino-statunitense circa Taiwan, dopo la polemica visita della speaker della Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi, non si è certo ‘alleggerito’.

Che cosa è da ultimo successo per indurre gli osservatori occidentali ad un sentimento di quasi rassegnata impotenza di fronte alla temuta, ma prevista, escalation? Ripassiamo, per sommi capi.

Nel mese di agosto le operazioni militari sono parse entrare in una fase di relativa stagnazione, con le forze russe presidiando saldamente le zone occupate nel Donbass e nel nord dell’Ucraina. Un conflitto impantanato tra limitate offensive e controffensive, con il pur abile e paziente Erdogan che si propone e ripropone vanamente (ancora oggi) in veste di possibile mediatore. 

Infatti, il 5 agosto il presidente turco arriva a Sochi dove è stato invitato per un incontro dall’omologo russo Putin. Al centro dei colloqui la Siria, in relazione all’ operazione militare turca contro le forze curde, ritenute terroriste, nel nord del Paese. Erdogan e Putin discutono naturalmente pure di Ucraina, avendo Ankara già mediato tra Mosca e Kiev, contribuendo a sbloccare l’esportazione di cereali ucraini attraverso sicuri corridoi nel Mar Nero. Putin ringrazia Erdogan per gli accordi sull’esportazione di grano, non solo quello ucraino, ma anche cibo e fertilizzanti russi, sottolineando che l’Europa dovrebbe essere grata alla Turchia per essere in grado di acquistare gas dalla Russia attraverso il gasdotto Turkish Stream.

Ma l’8 agosto le tiepide speranze di Sochi sono subito raffreddate da Dmitry Medvedev, ex presidente della Federazione Russa e vice presidente del Consiglio di sicurezza nazionale, che dichiara alla Tass che ”L’Occidente vuole distruggere la Russia” e che ”non si preoccupa assolutamente” per il destino dell’Ucraina: ”la Russia garantirà i suoi interessi nazionali con tutti i mezzi a sua disposizione”. “Non ci sono le basi” per un incontro tra il presidente russo Putin e quello ucraino Zelensky”, afferma poi il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, rispondendo a una domanda circa l’esito della mediazione turca tra le parti. 

La settimana successiva i media irrompono nel Ferragosto con titoloni ed angoscianti dubbi sulla centrale nucleare di Zaporizhzhia (la maggiore d’Europa), nei cui dintorni continuano a piovere bombe, tra violente accuse reciproche di Russia ed Ucraina di far correre al mondo un concreto rischio di catastrofe per le perdite radioattive, a causa della violazione delle norme di sicurezza. Fino a che, dopo una visita, patrocinata in primis dai russi, di esperti dell’Aiea (l’agenzia dell’Onu per l’energia atomica) capitanata dal direttore generale Rafael Grossi, l’11 settembre verrà  comunicato che la centrale nucleare è stata completamente spenta, per motivi di sicurezza, con l’arresto dell’ultimo reattore, il sesto, rimasto in attività, e che “sono in corso le procedure per il suo raffreddamento”. Contestualmente proseguono intensi i combattimenti nell’est dell’Ucraina tra le forze di Kiev e quelle russe, ma non si registrano sostanziali modifiche alla linea del fronte, il 16 agosto Putin afferma, in un discorso ai partecipanti della 10ma Conferenza sulla Sicurezza Internazionale a Mosca, che “gli Stati Uniti stanno cercando di ‘prolungare’ il conflitto in Ucraina; parte di una strategia mirata e consapevole per destabilizzare il mondo”, preparando per il popolo ucraino un futuro da carne da cannone”, e che “la decisione di condurre l’ ‘operazione militare speciale’  è stata presa nel pieno rispetto della Carta delle Nazioni Unite, per garantire la sicurezza della Russia e proteggere gli abitanti del Donbass dal genocidio”. Dal canto suo il Ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, ribadisce che “le operazioni condotte dalle Forze armate ucraine sono pianificate negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Non solo le coordinate degli obiettivi per gli attacchi sono fornite dall’intelligence occidentale, ma anche l’inserimento di questi dati nei sistemi d’arma viene effettuato sotto il pieno controllo di specialisti occidentali”.

 (https://www.adnkronos.com/ucraina-russia-putin-usa-cercano-di-prolungare-conflitto).

Il 18 agosto, quando gli osservatori rilevano che “nessun aiuto militare è giunto nel mese di luglio all’Ucraina da parte dei Paesi europei”, si diffonde la notizia, poi senza seguiti, che “Mosca avrebbe ammorbidito le condizioni: i leader potrebbero definire una road map e lavorare ad un incontro tra il presidente Putin e quello ucraino Zelensky, che potrebbero così negoziare direttamente un accordo di pace”, secondo la Cnn turca e fonti del governo di Ankara.

Due giorni dopo la Tass rivela però che Darya Dugina, giovane figlia del filosofo russo Alexander Dugin, ed attivista nazionalista russa, è morta a bordo dell’auto su cui viaggiava, esplosa alla periferia di Mosca e che appare certa la pista dell’intelligence ucraina. La vicenda, tra le solite accuse reciproche (Kiev ipotizza vagamente l’azione di estremisti russi) suscita una vasta eco.

Il 31 marzo scorso, in un intervista a Il Tempo, il controverso autore e stratega della ‘Quarta Teoria Politica’, Alexander Dugin, considerato molto vicino, se non ispiratore ideologico di Vladimir Putin, aveva affermato che “Guerra è necessaria, avremo un nuovo ordine mondiale. Merito di Vladimir Putin”. Per Dugin è in atto  

“Lo scontro di civiltà, di cui ha scritto Huntington. La frontiera tra la civiltà russa e quella occidentale attraversa l’Ucraina, dividendola in due. L’Occidente voleva stabilire il controllo su tutta l’Ucraina. Putin non ha permesso che ciò accadesse. La natura della guerra civile ha a che fare con le doppie posizioni in Ucraina stessa. L’Ucraina orientale è stata occupata da politici russofobi-nazionalisti per 8 anni dopo Maidan. La guerra civile è andata avanti essenzialmente per tutto questo tempo, ma nella sua forma più acuta si è manifestata nello sterminio regolare della popolazione civile del Donbass”.  

Per il filosofo russo  

“L’unipolarismo è un ordine mondiale in cui c’è un solo centro decisionale (Washington), l’egemonia appartiene a un solo blocco militare (Nato), un solo sistema di valori (democrazia liberale, LGBT+, politiche di genere, cultura della cancellazione, Grande Reset ecc.). Questo è ciò su cui insistono oggi le élite liberali e soprattutto l’amministrazione Biden, i neocon statunitensi ed i globalisti come Soros, Schwab ecc. Un mondo multipolare implica l’esistenza di diverse civiltà: occidentale, russa, cinese (questi tre poli esistono già e si stanno dichiarando chiaramente) così come quella indiana, islamica, latinoamericana (sono in arrivo) e in futuro africana. Questo significa che ci saranno non uno, ma diversi centri decisionali (oggi Washington, Beijing e Mosca, ma di più domani), diverse egemonie regionali (grandi spazi), diversi sistemi ideologici (liberale occidentale, cinese – comunista-confuciano, ortodosso-eurasiano così come islamico, indù ecc.). In un mondo multipolare il monopolio dell’Occidente nel campo militare, dei sistemi economico, ideologico e culturale sarà abolito” (https://www.iltempo.it/esteri/2022/03/31/news/aleksandr-dugin-nuovo-ordine-mondiale-merito-vladimir)  

 

In Italia, Matteo Salvini dichiara al Meeting annuale di Rimini di Comunione e Liberazione, il 23 agosto,  che “le sanzioni colpiscono più i Paesi sanzionatori che la Russia sanzionata” e non pochi pensano (meno lo scrivono) che bastava a Kiev prendere atto di quanto successo nel 2014 (annessione russa della Crimea e proclamazione delle due Repubbliche Popolari filo-russe nel Donbass), magari con qualche ulteriore ritocchino territoriale, e l’accettazione di una neutralità alquanto logica, come avevano sostenuto a febbraio Sergio Romano ed altri, per non dire di Kissinger. Il giusto e lo sbagliato, in politica estera, per i nipoti di Machiavelli, sono concetti ben relativi. L’Ucraina non è una ‘patria perduta e ritrovata’, ma un territorio storicamente parte della Russia, che nel collasso sovietico all’inizio degli anni ’90 ha scorto una possibilità di autogoverno autonomo. Incorporando territori che Lenin e poi i dirigenti del PCUS le avevano attribuito, per via amministrativa, dopo il 1945. Non per ragioni storiche, etniche, culturali.  Con gli stessi limiti e difetti della Madre Patria Russia, naturalmente, cominciando dalla diffusa corruzione.

Il 24 agosto è il Giorno dell’indipendenza dell’Ucraina che commemora la dichiarazione d’indipendenza dall’URSS del 1991. “Combatteremo fino alla fine”, scandisce il presidente ucraino, Zelensky, in un videomessaggio: “Ogni giorno c’è un nuovo motivo per non arrendersi. Qual è per noi la fine della guerra? Si diceva: la pace. Ora diciamo: la vittoria”, sottolineando che “alzeremo le mani solo una volta, quando celebreremo la nostra vittoria”. In ogni caso, retorica a parte, la guerra tra Russia e Ucraina pare lontana dalla conclusione. La rinuncia dell’Ucraina ad entrare nella Nato è una condizione “necessaria”, ma “non sufficiente” per il raggiungimento della pace perché la Russia chiede ulteriori garanzie di sicurezza, afferma Medvedev il 26.8. 

Tre giorni dopo leggiamo che l’Ucraina ha iniziato a “dare forma” ad una vera controffensiva. A confermarlo fonti militari americane citate dalla Cnn:

“Le forze ucraine stanno organizzando operazioni nel sud del Paese per preparare il campo di battaglia per una controffensiva significativa. La controffensiva includerà operazioni di aria e di terra. Si tratta quindi della fase preliminare che consiste nel colpire sistemi d’arma, centri di comando e controllo, depositi di munizioni e altri obiettivi per preparare il terreno di battaglia. Secondo le valutazioni Usa, la Russia ha dispiegato lungo la linea del fronte meno unità di quanto si presumesse”. 

(https://www.adnkronos.com/ucraina-russia-kiev-prepara-controffensiva-news-intelligence-usa).

Il giorno successivo la presidenza ucraina informa di “intensi combattimenti” tra le forze ucraine e l’esercito russo sono in corso in “quasi tutta” la regione occupata di Kherson, nel sud del Paese, dove le truppe di Kiev hanno lanciato una controffensiva. La risposta di Putin, dalla base di Kaliningrad, incontrando gli allievi della Scuola Navale, è immediata: “L’Ucraina è un’enclave antirussa che va eliminata. Uno degli obiettivi dell’operazione militare speciale. È per questo che il nostro popolo sta combattendo lì. Stiamo proteggendo i residenti del Donbass e la Russia stessa”. Dando poi l’ordine alle sue forze armate di occupare l’intera regione di Donetsk, nel sudest dell’Ucraina, entro il 15 settembre. Parole, essenzialmente, come quelle di Medvedev a Telegram il 3 settembre, in occasione dei funerali di Mikhail Gorbaciov:

“Il tentativo di spingere la Russia verso il collasso equivale a giocare una ‘partita a scacchi’ con la morte. Alcuni in Occidente vorrebbero approfittare del conflitto militare in Ucraina per spingere il nostro Paese a una nuova svolta di disintegrazione, paralizzare le istituzioni statali russe e privare il Paese di controlli efficienti, come è successo nel 1991. Sono i sogni dei pervertiti anglosassoni, che si addormentano con un pensiero segreto sulla disgregazione del nostro Stato, pensando a come farci a pezzi”.

Il giorno 2.9 il vice ministro degli Esteri russo, Serghei Ryabkov, aveva messo in guardia Washington dal compiere “azioni provocatorie, come la fornitura di armi più aggressive e di maggiore gittata” all’esercito ucraino. Gli Stati Uniti sono ormai vicinissimi a essere parte del 

conflitto in Ucraina, ”c’è solo una linea sottilissima” che li separa, dichiara. 

Mentre Salvini insiste, in un post su Twitter, che 

“Le sanzioni alla Russia stanno funzionando? No. Ad oggi chi è stato sanzionato sta guadagnando, mentre chi ha messo le sanzioni è in ginocchio. Evidentemente qualcuno in Europa sta sbagliando i conti: ripensare la strategia è fondamentale per salvare posti di lavoro e imprese in Italia. È l’unico caso al mondo in cui le sanzioni che dovrebbero fermare la Russia, mettere in ginocchio la Russia, invece, che punire i russi stanno punendo gli italiani. Quindi, evidentemente qualcuno ha sbagliato i suoi conti”.

Anche Edward Luttwak, politologo e già consulente strategico per l’Amministrazione Reagan, concorda: “Quello che si sa, per ora, è che il non invidiabile status di paese più sanzionato della storia – quasi dodicimila sanzioni da parte di poco più di quaranta paesi – non ha fermato né 

rallentato la macchina bellica di Mosca”. Il portavoce del Cremlino, Peskov, in un’intervista 

all’agenzia Tass, afferma il 4 settembre che “sta iniziando una grande tempesta globale a causa delle azioni dell’Occidente. Per molti versi ci sono ragioni oggettive, ma ci sono anche ragioni soggettive”, puntando il dito contro “decisioni e azioni assolutamente illogiche e spesso assurde da parte delle autorità di Stati Uniti, UE e dei singoli Paesi europei”. Peskov, nell’intervista a Rossiya-1, rispondendo poi alle domande sui rapporti della Russia con l’UE e gli Stati Uniti, chiarisce: 

“Qualsiasi confronto finisce con la distensione, qualsiasi situazione di crisi finisce al tavolo delle trattative. Sarà così anche questa volta. Difficilmente accadrà presto, ma accadrà. La Russia è disponibile a dialogare con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ma solo su come saranno soddisfatte le nostre condizioni per mettere fine al conflitto. L’operazione è in corso, tutti gli obiettivi saranno raggiunti”. Gli fa eco Erdogan da Belgrado, secondo quanto riferisce l’ agenzia ufficiale turca Aanadolu: “Non approvo l’approccio dell’Occidente rispetto alla guerra Russia-Ucraina. L’Occidente segue una politica che si basa sulla provocazione. La guerra non finirà tanto presto. A chi prende la Russia alla leggera, dico che si sbaglia. La Russia non è un Paese da sottovalutare. Nel momento in cui tutti la attaccano, la Russia userà tutti i mezzi e le armi che ha a disposizione”.  

(https://www.adnkronos.com/ucraina-erdogan-occidente-provoca-russia-non-va-sottovalutata_3Pl7).

Lunedì 5 settembre a Roma al Centro congressi Cavour è presentato il Manifesto “FERMARE LA GUERRA, SALVARE L’ITALIA”, promosso da un folto gruppo di esponenti politici e culturali di destra. Partecipano alla presentazione il vice direttore de La Verità, Francesco Borgonovo, lo storico Franco Cardini, l’ex comandante della Folgore gen. Marco Bertolini, l’ex vice direttore del Tg1, Massimo Magliaro, ed il Consigliere nazionale del Movimento Cristiano Lavoratori, Giancarlo Moretti, con la presenza di Diego Fusaro, dell’Ambasciatore Marco Carnelos ed altri.

Naturalmente il tema energetico la fa da padrone in cima alle preoccupazioni degli europei, specialmente entrando in autunno. Si diffonde l’idea di porre un prezzo massimo al gas, del quale la Russia rimane un fornitore eccellente. Gazprom rivela che l’ UE ha ridotto gli acquisti di gas del 48%. Putin minaccia subito, all’Eastern Economic Forum di Vladivostok, lo stop alla fornitura di gas e petrolio se verranno imposti tetti ai prezzi: “Ci sono obblighi contrattuali ed accordi per la fornitura. Ma se vengono adottate decisioni politiche che contraddicono i contratti, noi non li rispetteremo. Non forniremo nulla se è contro i nostri interessi”.

Paolo Mauri scrive su Insideover il 10 settembre: 

“La tanto attesa controffensiva ucraina si è finalmente palesata, ma non dove ampiamente pubblicizzato da Kiev: il fronte, infatti, ha ceduto tra Kharkiv e Balakliya, nel settore orientale, pertanto ora abbiamo la certezza che l’attacco su Kherson sia stato una diversione. Possiamo dire che l’intera manovra sul fronte meridionale sia stata effettuata per logorare la testa di ponte russa a ovest del fiume Dnepr e per mettere in crisi il sistema logistico russo, già provato da mesi di guerra e da problematiche strutturali”. (https://it.insideover.com/guerra/cede-il-fronte-tra-kharkiv-e-balakliya-lesercito-ucraino-e-a-html)

Zelensky è immediatamente ‘gasatissimo’: “In questi giorni l’esercito russo sta dando il meglio di sé, mostrando le spalle. E, dopo tutto, è una buona scelta per loro scappare. Non c’è e non ci sarà posto per gli occupanti in Ucraina”, dichiara lo stesso giorno il presidente nel suo messaggio-video serale, dopo la conferma del ministero della Difesa russo del ritiro delle forze di Mosca da Izyum e Balakliya, nell’oblast orientale di Kharkiv. Liberata dalle truppe di Kiev anche la città di Kupiansk, considerata uno snodo logistico chiave per i rifornimenti delle forze russe. Il comandante in capo ucraino, generale Valeriy Zaluzhny, conferma l’ 11 su Telegram: “Riconquistati 3.000 km. quadrati di territorio. Le forze dell’Ucraina sono avanzate a nord di Kharkiv fino a 50 chilometri dal confine con la Russia e stanno premendo anche a sud e a est nella stessa regione. L’Ucraina continua a liberare i territori occupati dalla Russia”.

Mosca ha un bel dire, in una dichiarazione diffusa da Ria Novosti: “Non è ritiro, truppe in Donbass. È stata presa la decisione di raggruppare le truppe russe di stanza nelle regioni di Balakliya e Izyum” e di “intensificare gli sforzi nel Donetsk” al fine si raggiungere “gli obiettivi prefissati con l’operazione militare speciale” e “liberare” il Donbass.  La sensazione generale è che l’esercito di Mosca abbia ceduto in più settori e che l’esercito ucraino, abbondantemente fornito di nuove armi statunitensi, stia svolgendo bene i suoi compiti. Cioè che gli áscari ucraini si siano guadagnati la piena fiducia di Washington, che ora li  ricompensa. L’8 settembre si spegne la Regina Elisabetta II e nessun governante russo è invitato alle esequie causando viva irritazione. 

Il 13 settembre Dmitri Medvedev, risponde alle misure chieste da Kiev per evitare una nuova aggressione, considerandole una provocazione:

“Le ‘garanzie di sicurezza’ di fatto sono un prologo alla terza guerra mondiale. Naturalmente nessuno darà alcuna ‘garanzia’ ai nazisti ucraini. Dopotutto il progetto equivale quasi ad applicare l’art. 5 del Patto Atlantico del Nord, che prevede l’intervento della Nato in caso di aggressione ad un paese membro. Se questi idioti continuano a rifornire senza freni il regime di Kiev con i tipi di armi più pericolose, prima o poi la campagna militare passerà ad un altro livello. I limiti visibili e la potenziale prevedibilità delle azioni delle parti in conflitto scompariranno”.

L’escalation da molti temuta si sta concretizzando. Kiev punta ormai al Donbass ed addirittura alla Crimea. Zelensky trionfalista dichiara: “Torneremo in Crimea, è la nostra terra”. Le forze ucraine rafforzano la loro presa su 8.000 kmq di territorio riconquistato nella regione di Kharkiv. La Russia controlla ancora circa un quinto del territorio ucraino, il più ricco, ma combattimenti sono in corso al confine con le città del Donbass. È un muro contro muro sempre più pericoloso.  L’ambasciatore russo negli Stati Uniti, Anatoly Antonov, minaccia attraverso l’Agenzia Sputnik il 15.9: “Kiev sollecita missili per colpire obiettivi a una distanza di 300 km. Gli Stati Uniti saranno trascinati in uno scontro militare con la Russia se l’Ucraina dovesse ricevere missili a lungo raggio e colpire il territorio russo nella guerra iniziata a febbraio”. Gli Stati Uniti sembrano prevedere mesi di combattimenti intensi, di vittorie e sconfitte per entrambe le parti. Un periodo di scontri intensi per tutto l’autunno, con entrambe le parti che tenteranno di arrivare nella miglior posizione possibile prima che l’inverno complichi tutto in quella che è una guerra con conseguenze globali. Kiev informa di 54.050 morti tra i soldati della Russia e 9.000 tra le proprie fila. Mosca ne ammette 5.937. Biden ammonisce Putin a non usare armi nucleari, la risposta sarebbe ‘consequenziale’. 

Al momento (20.9), per Mosca, non esistevano prospettive per una soluzione politica e diplomatica del conflitto. Che, anzi, annuncia referendum per l’annessione di territori ucraini, ma russofoni, nel Donbass. Putin annuncia altresì, il 21 settembre, la mobilitazione parziale: “Useremo ogni mezzo per difenderci. L’Occidente ci vuole distruggere, è necessario proteggere il nostro popolo”. Richiamati 300.000 riservisti. Chi non è convinto e può (decine di migliaia di persone), scappa all’estero. Dalla Finlandia alla Georgia. Chi protesta, oltre mille persone, è arrestato. Previste per disertori, renitenti, oppositori, pene assai severe. Il Patriarca di Mosca e della Russia Kirill, dal canto suo benedice: “Morire in guerra lava tutti i peccati”. 

Pare di ripercorrere l’incubo (per la mia generazione solo ascoltato o letto) del 1939 ed anni successivi.  Il noto opinionista, professor Alessandro Orsini, docente di Sociologia del Terrorismo alla Luiss di Roma, commenta a Cartabianca, sugli sviluppi nella guerra tra Ucraina e Russia alla luce dei referendum indetti: 

“L’annessione di territori alla Russia giustificherebbe l’uso dell’arma nucleare, che secondo la dottrina russa può essere utilizzata per difendere il territorio nazionale.  La mossa di Putin è anomala, perché nel Donetsk si continua a combattere. Vladimir Putin, posto in una condizione disperata, prenderebbe in seria considerazione l’ipotesi di ricorrere all’arma nucleare”.

E difatti Medvedev dichiara il 22.9: “Anche armi nucleari per difendere territori annessi. Generali Nato idioti, missili ipersonici possono colpire UE e Usa”. Zelensky, in un’intervista concessa a diverse testate, tra cui Ouest-France: “Putin ha nuovamente minacciato mercoledì di ricorrere alle armi atomiche, ma il mondo non glielo consentirà; nessuno sa ciò che Putin farà domani. Per lui, dire la verità o mentire è più o meno la stessa cosa. Ieri Putin ha detto che voleva una soluzione 

diplomatica, oggi avvia la mobilitazione, domani dirà di volere un dialogo”. 

Il 24.9  il Ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, nel corso di una conferenza stampa a margine 

dell’Assemblea Generale dell’Onu a New York: ”Adesso gli Stati Uniti sono parte del conflitto in Ucraina. In Occidente c’è una russofobia grottesca. Quello che gli occidentali vogliono fare non è sconfiggerci. Vogliono toglierci dalle cartine, cancellarci dalle mappe. Gli Stati Uniti e i loro alleati sono dei dittatori. Quella di Washington è una dittatura pura o un tentativo di imporla”.

Pensando alle armi nucleari di Mosca, tattiche e strategiche, un arsenale di 5.977 testate, pare, alle 120 e passa Basi NATO in Italia, con tante testate nucleari pronte, viene spontaneo chiedersi, in questo folle crescendo guerrafondaio: colpa di Putin, certo, ma anche colpa dell’Occidente. Dagli anni ’90 abbiamo fatto di tutto per accerchiare militarmente la Russia. Si doveva sapere che Mosca poteva tollerare Polonia, Romania ecc. (e persino le Repubbliche Baltiche) nella NATO, ma mai e poi mai l’Ucraina. Ce lo ha detto cento volte ed in cento modi. L’Occidente non ha mai voluto ascoltare… Eppure c’è stato un tempo, neppur remoto, allorché il graduale consolidamento 

delle relazioni dell’Ucraina con gli Stati Uniti portò alla sottoscrizione di un Memorandum per la cooperazione militare con il Pentagono. Successivamente, la mobilitazione generale a favore degli Stati Uniti verificatasi all’indomani degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 aveva creato le condizioni per l’instaurazione un clima di collaborazione culminato con il coinvolgimento della stessa Federazione Russa, che aveva messo le proprie basi militari a disposizione per il transito di mezzi e rifornimenti. Di questa provvisoria intesa tra Mosca e Washington, apparentemente cementata dal fruttuoso vertice di Pratica di Mare del maggio 2002 (in occasione del quale era stato istituito un partenariato tra Russia e Nato), si avvantaggiò naturalmente anche l’Ucraina, che non incontrò ostacoli di rilievo nel suo processo di avvicinamento allo schieramento euro-atlantico”. 

(Giacomo Gabellini, Ucraina 1991-2022. Il mondo al bivio, Arianna Editrice, Bologna, 2022)

Il 21 settembre il ministro della Difesa russo, Sergey Shoigu, utilizza la parola “guerra” al posto di “operazione speciale” come finora è sempre stata definita l’invasione dell’Ucraina, all’Agenzia Tass: “Oggi non siamo tanto in guerra con l’Ucraina e l’esercito ucraino quanto con l’Occidente collettivo” enfatizza. Un Occidente visto come “nemico”: gli obiettivi del soft power russo, ha scritto a proposito Lorenzo Vita lo stesso giorno per Insideover:

“Il ‘Concetto di politica umanitaria della Russia’ è l’ultimo documento pubblicato dal Cremlino che spiega, in parte, l’agenda estera di Vladimir Putin. Non è un documento strategico: la politica estera di Mosca è infatti indicata in altri testi specifici. Il documento riafferma l’importanza della lingua russa all’estero come strumento fondamentale per aumentare l’importanza del Paese nel mondo. Promuove l’esportazione della cultura russa, delle sue tradizioni e della sua lingua. Gli Stati occidentali sono descritti come la principale minaccia alla cultura russa e quindi alla statualità russa. L’obiettivo è compattare il mondo russofono e slavo, al punto che la guerra in Ucraina di fatto viene quasi dimenticata. L’Occidente ormai individuato come nemico rispetto a una Russia che si trasforma in una sorta di portatrice di civiltà rispetto all’avversario al di là della nuova cortina di ferro”.

 (https://it.insideover.com/politica/un-occidente-visto-come-nemico-gli-obiettivi-del-soft-power-html)

Il 27 settembre Medvedev afferma e non certo per raffreddare la situazione: “La Russia ha il diritto di usare l’arma nucleare se lo riterrà necessario. Se la Russia o i suoi alleati verranno attaccati utilizzando tali armi o se vi sarà una minaccia per l’esistenza della Russia. Questo non è un bluff”. Secondo Medvedev, Joe Biden e Liz Truss (la pallida inquilina di Dawning Street) chiedono che la Russia allontani la mano dal pulsante nucleare”, mentre Ms. Truss è “pronta ad iniziare immediatamente uno scambio di attacchi nucleari con il nostro paese”. Lo stesso 27.9 l’attesa notizia di fonte russa: “Referendum per l’annessione: oltre il 97% degli elettori ai referendum in quattro regioni dell’Ucraina orientale, le Repubbliche di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia, è risultato favorevole all’annessione dei territori alla Federazione Russa”.

Domani (mentre scrivo) 30 settembre, alle 14 ora italiana, si terrà la cerimonia di firma dei trattati 

sull’adesione alla Russia dei territori dell’Ucraina, dove si è tenuto un referendum bollato da Kiev e dalla comunità internazionale come una farsa. Lo ha riferito il portavoce del Cremlino, Peskov, 

precisando che la cerimonia si terrà nella Sala Georgievsky. Vladimir Putin terrà un discorso. 

Ovviamente, la Casa Bianca ed i governi dei membri della NATO e dell’UE (Draghi compreso) 

hanno dichiarato che mai riconosceranno l’esito del referendum nelle zone controllate dalle forze russe, nelle autoproclamate due Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk, e le annessioni. Sono da scommettere toni bellicosi da parte russa, attacchi agli USA, l’annunzio della III Guerra Mondiale in avanzata gestazione. 

Sempre il 27.9, corollario all’escalation, giunge la notizia delle perdite di gas nel Mar Baltico, a  causa del danneggiamento del Nord Stream 1 e Nord Stream 2. Due falle a nord-est dell’isola  danese di Bornholm ed una terza nel gasdotto Nord Stream 2, non attivo, nelle acque svedesi a sud-est dell’isola (risulteranno poi essere 4, a distanza di pochi chilometri le une dalle altre).

Ha scritto Repubblica quel giorno:

Due perdite di gas nel mar Baltico, sul Nord Stream 1. Fughe anche sul Nord Stream 2, il gasdotto che voleva raddoppiare il flusso di gas dalla Russia alla Germania, ma che non è mai entrato in funzione, a causa della invasione russa in Ucraina. Si sommano le notizie che alzano un sinistro velo di preoccupazione sul futuro delle forniture di gas da Mosca verso l’Europa. La tensione sul fronte energetico riparte, proprio in un momento in cui i prezzi del gas erano scesi sensibilmente. Il Cremlino mette sul tavolo la sua “estrema” preoccupazione e dice di non escludere nessuna ipotesi, propendendo per il sabotaggio. Anche in Germania si specula su iniziative che potrebbero aver coinvolto sommergibili Nato, la Danimarca la segue. Mentre da Kiev si leva la voce del consigliere del presidente ucraino, che per Twitter parla di un attacco terroristico della Russia e un atto di aggressione nei confronti dell’Ue. La Russia vuole destabilizzare la situazione economica in Europa e provocare il panico pre-inverno.

Il gasdotto ha subito “danni senza precedenti” e per la compagnia che lo gestisce “è impossibile stimare i tempi per un ripristino del flusso”. Mosca ha aperto un’inchiesta per terrorismo internazionale già il 28 settembre, ricordando le parole pronunciate dal presidente americano Joe Biden lo scorso 7 febbraio: “Se la Russia invade, non ci sarà più un Nord Stream 2. Metteremo fine a questo”.  Mosca ha chiesto ufficialmente spiegazioni alla Casa Bianca ricordando le parole del presidente. “Come farete esattamente, visto che il progetto è sotto il controllo della Germania?”, era stata la domanda successiva rivolta dal giornalista al presidente statunitense. “Vi garantisco che saremo in grado di farlo”, fu la risposta di Biden.

“Il Nord Stream 2 è costato 12 miliardi di dollari e la metà ce li ha messi la Russia. Non me la sento di pronunciare nessun giudizio. Mi sembra difficile possa essere stata la Russia. Non vedo quale interesse abbia la Russia a danneggiare le proprie strutture, quando può tranquillamente limitarsi a non inviare il gas”, ragiona Alessandro Orsini, ospite di Cartabianca. Per altri sembra quasi ovvio che il ‘gasdotto della discordia’, già oggetto di roventi polemiche al tempo di Trump, osteggiato pure dal Congresso (ed oggetto di sanzioni per i governi e le società tedesche e russe coinvolte nella sua costruzione), sia stato duramente osteggiato dagli USA. Washington teme forse che gli europei possano fare ‘marcia indietro’ su alcune sanzioni, sul loro inasprimento, e vogliano recidere ogni possibilità in tal senso, iniziando da un argomento sensibile, il gas russo, appena dopo la vittoria del centro-destra in Svezia ed Italia. Anche un segno che “il sistema mondiale si sta ulteriormente fratturando e la globalizzazione si sta sgretolando”, come ha scritto di recente l’Ambasciatore Marco Carnelos (Cfr. https://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/ldquo-sistema-mondiale-si-sta-325445.htm). Una sensazione che si sta diffondendo: che gli Stati Uniti aspirino a danneggiare le economie degli alleati europei non meno che quella russa, mentre si affollano sulla scena gli incendiari e nessun vero pompiere. 

Una follia collettiva, come nel 1914.

Gianni Marocco

Gianni Marocco su Barbadillo.it

Exit mobile version