Il documentario su JFK di Oliver Stone? Più che storia, è memoria

L'opera è stata presentata a Cannes e all’ultima Festa del Cinema di Roma (2021)

La storia di John F. Kennedy ormai è solo americana. Sembrano ere geologiche a dividerci da quel terribile omicidio, importante più per una generazione, la stessa di Oliver Stone che insiste col nuovo JFK Revisited: Through The Looking Glass. Il documentario è stato presentato a Cannes e all’ultima Festa del Cinema di Roma (2021).

Oliver Stone ci riprova dunque: sono trascorsi quasi sessant’anni dall’omicidio di John F. Kennedy (22 Novembre 1963) e ben trenta dal suo primo JFK (1991), il movie con Kevin Costner nel ruolo di paladino della verità, infinitesimale rispetto alla natura di un caso insolvibile e sigillato negli archivi di Stato. E ci areniamo tra finzione e documento – oggi come allora – con la sola aggiunta di qualche dato ufficiale.

Per capire gli elementi sostanziali della vicenda, non ci serve essere ferrati in teorie della cospirazione. Basta soffermarsi sulla cabala d’incongruenze, menzogne e depistaggi ai più alti vertici della politica americana di allora, che annacquarono e resero impossibile risalire alla verità. Senza considerare l’ulteriore catena di omicidi legati a quell’assassinio, che non fu da meno né meno torbida.

Jfk di Oliver Stone

Il paradosso sta però nel fatto, che Oliver Stone con la sua insistenza sull’attempato omicidio di Kennedy sta costruendo muri ben più alti intorno alla stessa vicenda, relegando al mito vittima e colpevoli.

Il film è interessante per gli spezzoni d’interviste a personaggi coinvolti in sede legale e a storici in cerca – come Stone – di verità. Si continua tuttavia a non poter dire con certezza anche in questo film chi ha ammazzato il Presidente Kennedy e si continua a parlarne sempre e solo col beneficio del dubbio. Dunque è una storia a puntate, ferma a un binario morto. Chi ha ammazzato JFK? Ce lo ripeteremo again and again come per Marilyn Monroe: fu suicidio o assassinio?

Anche i motivi dell’attentato sono ben noti e rimarcano più che svelare: perché Kennedy era antirazzista; perché non era proprio il Presidente adatto a dare del filo da torcere ai sovietici, ai comunisti e a Fidel Castro. Perché gli stava scomoda la CIA, presa pure di petto. Fu il Presidente democratico dalla coscienza moderna, stanco di un’America involta e contraddittoria, che a viso scoperto promise di battersi per tutti i cittadini americani, indipendentemente dal colore o dalla religione. Un rivoluzionario amato dal popolo, ma non ai vertici.

A rendere più che altro interessante JFK Revisited è la confezione, perché Oliver Stone è uno che il cinema lo sa fare. Il regista dispone per lo spettatore tutto un reticolo di filmati, testimonianze e commenti ben scelti da una serie di test parlanti vecchi come lo stesso Stone, coi capelli grigi nelle sue occasionali incursioni nel documentario.

Il primo JFK spinse di fatto a rilasciare documenti riservati negli Stati Uniti, mentre il documentario di oggi si attiene più che altro a quei fatti. È preciso e diretto nei suoi rapporti, fa nomi, esamina deposizioni e, di tanto in tanto, mostra fotografie post mortem del Presidente col famoso film Zapruder in 8 mm, girato al Dealey Plaza di Dallas col suo immutato effetto shock.

L’elemento più rimarchevole della rigorosa selezione di filmati d’archivio scelta da Stone è il vivificare quel periodo con l’introduzione del documentario, che dipana a ventaglio tutto: dal discorso di Kennedy “La pace nel nostro tempo”, all’attentato a Dallas e poi l’omicidio da parte di Jack Ruby del principale sospettato Lee Harvey Oswald.

L’uso provocatoria della Storia

Si insiste sull’accaduto e si sottolinea il fatto che l’esecuzione del Presidente degli Stati Uniti è ancora oggi inimmaginabile per la sua ferocia. Si parla ancora del proiettile dei miracoli, della Baia dei Porci, della dubbia posizione dell’ex capo della CIA – e membro della Commissione Warren – Allen W. Dulles, al quale il film sembra puntare il dito come primo indiziato. A tal proposito, ci sono inserti ben più avvincenti solo sfiorati nel film, che avrebbero invece dignità propria, come l’uccisione del congolese Patrice Lumumba organizzata da Dulles (che se per questo organizzò anche uno degli attentati a Adolf Hitler).

C’è dunque nel film un marcato uso provocatorio della Storia, che di certo aggiunge accattivanti particolari, destinati tuttavia a scemare perché sono a corollario. Come ormai Kennedy stesso è un corollario della Storia. Tutto è così attempato rispetto a un mondo che da allora di strada ne ha fatta tanta e soprattuto non è solo morto Kennedy, ma quell’epoca tutta con i suoi interpreti principali, come non ci sono più nemmeno quelli che la superarono. I nemici di allora per gli americani non sono più i nemici di oggi, il vero rivale è la Cina, l’Europa in parte che spiazza gli Stati Uniti quando i paesi membri vanno troppo d’accordo. Anche per questo il tempo dell’assassinio di Kennedy non ha per noi che soli riverberi e ombreggiature, così poco per un ennesimo film sul tema.

Il documentario ha però un merito nel mettere in ordinata sequenza le fasi di un’inchiesta immane, consegnandoci un Bignami su Kennedy di 115 minuti (tanto dura JFK Revisited: Through the Looking Glass) più utile a chi volesse una cronistoria filmata degli eventi, resa discorsiva dalla pregna e calda voce di Whoopy Goldberg.

Se parliamo d’identità nazionale invece, questo film sarà fondante. Stone è la coscienza americana sul caso Kennedy, come lo è di tante altre storie statunitensi, tipo il Vietnam (Nato il quattro Luglio – 1989) nel quale andò a combattere o la violenza cieca, in qualche modo endemica, nella società statunitense (Natural Born Killers – 1994).

Abbiamo già sentito tutto mentre Stone tiene viva la fiamma nel braciere della Storia, così JFK Revisited: Through The Looking Glass emerge granitico più come monumento nazionale. In sintesi, chiamiamola pure Memoria.

Salvatore Trapani

Salvatore Trapani su Barbadillo.it

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