Il mese di novembre – è risaputo – inizia con due importanti commemorazioni, poiché entrambe ci aiutano, quali cristiani e cattolici, a ricordare e riflettere e sono, in ordine cronologico, le ricorrenze di Ognissanti e dei Defunti. Quest’ultima risulta essere il momento in cui siamo portati a ricordare chi non è più tra noi “corporalmente”. Di certo, una giornata ricchissima di significati religiosi, che vanno a fondersi, nella tradizione, tanto con antichi riti e credenze popolari quanto con il “mito”, nella sua accezione di narrazione sacra di avvenimenti cosmogonici.
Non per nulla il motivo ricorrente nelle tradizioni del Giorno dei Morti è la credenza che nel corso di esso le persone care scomparse tornino a farci visita sulla terra. Da qui la ragione, nel segno di antiche usanze, degli innumerevoli riti di commemorazione.
Riti che nella fattispecie dell’Italia, e da Nord a Sud della Penisola, isole incluse, hanno finito per assumere finalità e significati molto simili. Atti tutti, per il tramite del suffragio e della preghiera, sia a confortare e placare le anime dei nostri defunti, sia ad “accoglierli”, persino nelle nostre case, senza alcun senso di timore, ma, al contrario, in modo assolutamente amorevole. La qualcosa non può di certo stupirci, considerando che quello dei Defunti non può essere, non è un giorno di lutto!
Lo dimostra l’essere in quel giorno i nostri cimiteri ricolmi e “addobbati” di fiori multicolori e – oramai da molti anni a questa parte – non soltanto belli e inodori, come i crisantemi, ma di tutte le specie e anche emananti profumi. Senza peraltro tralasciare di come le tavole e le credenze delle nostre case siano riempite di cesti di frutta e dolci, di caramelle e cioccolatini. In tal senso e quanto all’Umbria, regione in cui vivo, si pensi, ad esempio, alle “Fave” o “Stinchetti dei Morti”, tipici dolcetti devozionali, appunto a forma di fave, che si producono e consumano proprio nella ricorrenza dei Defunti (secondo gli antichi le fave contenevano le anime dei loro trapassati ed erano, quindi, alimento di rito per tale ricorrenza): non solo un modo per esorcizzare il timore dell’ignoto e della morte, ma anche un modo gioioso, in particolare per i bambini, di ricordare i propri cari.
Ovviamente, all’interno dello spazio di un breve articolo non mi è concesso analizzare nel dettaglio tanto la storia quanto il significato della commemorazione dei Defunti. Cosicché, mi limiterò a segnalare, in modo succinto, quelle che possono ritenersi le particolarità essenziali alla base di tale commemorazione, la quale – occorre ricordarlo – non appartiene, temporalmente e liturgicamente, solo al “nostro” mondo.
È risaputo come la pietas nei confronti dei morti risalga agli albori dell’umanità e, conseguentemente, come il culto a loro legato sia antichissimo. Tant’è che la data del 2 novembre parrebbe riferirsi al Diluvio di cui parla la Genesi e, più precisamente, al periodo in cui Noè costruì l’arca «nell’anno seicentesimo» della sua vita, «nel secondo mese, il diciassette del mese» (Gen 7: 11), che corrisponderebbe al nostro mese di novembre. Cosicché, attenendoci alla tradizione, con radici nella Sacra Bibbia, la Festa dei Morti sarebbe sorta “in onore” di coloro che il Signore stesso aveva condannato – a causa della «malvagità» e di «ogni [cattivo] esempio concepito dal loro cuore» (Gen 6: 5) –, con il preciso intento di esorcizzare il timore di nuovi eventi simili.
Pur ammettendo che una tale “storia” possa intendersi come sospesa tra religione e leggenda e, di conseguenza, al di là di quale sia stata la vera origine della Festa del 2 novembre, risultano più che certe le testimonianze storiche attestanti l’usanza di commemorare i defunti già in civiltà non solo antichissime, ma anche assai distanti tra di esse temporalmente e spazialmente. A iniziare dai popoli indo-europei fino all’antica Roma, dal Sud e Centro America (particolarmente in Messico, con le sue radici precolombiane) fino all’Estremo Oriente (si pensi alla Cina e al Giappone), è tutto un proliferare di riti, in cui il comune denominatore è consolare le anime dei morti, affinché siano propizie per i vivi.
Con riferimento all’Europa, fu indubbiamente la tradizione celtica ad avere maggiore eco, considerando che nel calendario delle popolazioni celtiche la celebrazione più importante era la “notte di Samhain” – pure conosciuta come “Capodanno celtico” o, modernamente, come “Halloween” (1) –, notte di tutti i defunti e di tutte le anime, occorrente a ogni cambio dell’anno tra il 31 ottobre e il 1° novembre (2).
Agli albori del Cristianesimo, tanto questa come altre tradizioni erano ancora ben vive. Tant’è che la Chiesa Cattolica nei secoli avvenire avrebbe faticato non poco nel tentare di sradicare i culti pagani. Sicché, con l’intento di dare a questi ultimi un nuovo significato, nell’835, su decreto del re franco Luigi il Pio, sollecitato da Papa Gregorio IV (828-844), la festa di Tutti i Santi, prima celebrata il 13 maggio (3), sarebbe stata spostata al 1° novembre, divenendo da allora festa di precetto.
Quanto alla commemorazione dei Defunti, agli inizi del IX secolo, già Amalario di Metz (775-850), teologo e liturgista, nonché vescovo di Treviri – città tedesca, ai confini con il Lussemburgo – poneva la memoria dei Morti immediatamente dopo quella dei Santi. Fu, tuttavia, l’abate benedettino Sant’Odilone di Cluny (961-1049) che, nel 998, avrebbe aggiunto al Calendario della Chiesa il 2 novembre quale data dedicata alla commemorazione di tutti i fedeli defunti, per i quali – è bene ricordarlo – già Sant’Agostino lodava la consuetudine di rivolgere loro preghiere non esclusivamente in occasione dei rispettivi anniversari, in modo che non venissero trascurati quelli privi di suffragio.
Va da sé che la Chiesa da sempre rivolge un’attenzione particolarissima al ricordo dei defunti. Nel Simbolo o Credo Apostolico affermiamo: «Credo nello Spirito Santo, la Santa Chiesa Cattolica, la comunione dei Santi…». Intendendosi per «comunione dei Santi» l’insieme e la vita comunitaria di tutti i credenti in Cristo, sia coloro che ancora operano sulla terra, sia coloro che vivono nell’altra vita, in Paradiso o in Purgatorio. Non dimenticando che nella Messa quotidiana è riservato un “piccolo” spazio al Memento Domine (ossia, «Ricordati Signore»), in cui sono proposte preghiere tanto ad personam quanto universali di suffragio alle anime di tutti i defunti in Purgatorio.
Cosicché, la Chiesa prega sia per i vivi che per i morti, poiché anche questi ultimi risultano essere vivi nel Signore. Difatti, l’amore materno della Chiesa è più forte della morte. Quella morte che, vista nella luce di Dio, non è da ritenersi un tramonto, bensì un dolce incontro, una splendente alba annunciante la vita eterna tra le braccia di Nostro Signore e della Vergine Maria, insieme agli Angeli e ai Santi che ci hanno preceduto in terra.
Note
(1) Ricordo che il nome “Halloween” deriva dalla forma contratta di All Hallows’ Eve (la parola Hallow in inglese arcaico significa “Santo”), ossia, “Vigilia di Tutti i Santi”.
(2) Importa ricordare come tra i celti, la cui cultura era caratterizzata dalla dimensione circolare-ciclica del tempo, Samhain fosse localizzato in un punto fuori dalla dimensione temporale, non appartenendo né all’anno vecchio né all’anno nuovo. Questo faceva sì che il “velo” divisorio tra la terra dei morti e la terra dei vivi si assottigliasse talmente da consentirne l’incontro.
(3) Per lo meno fino a quando Papa Gregorio III (731-734) scelse proprio il 1° novembre come data dell’anniversario della consacrazione di una cappella a San Pietro alle reliquie dei «santi apostoli e di tutti i santi».