Ernst Jünger e le meditazioni sul Mediterraneo

"La Grande Madre", edito da Le Lettere, è una antologia di scritti dell'intellettuale tedesco curata dal ricercatore Mario Bosincu. Qui un estratto del volume

Ernst Junger

Tornato in Sardegna nel giugno del 1955, Ernst Jünger espresse gratitudine nei confronti della sua «seconda grande madre, il Mediterraneo», trasfigurando così il viaggio nell’estatica regressione verso una dimensione mitica, numinosa ed archetipica. «Io e Terra – Madre e Figlio»: con queste parole si può riassumere lo spirito tellurico che anima le annotazioni diaristiche sui suoi itinerari nel Mediterraneo, offerte per la prima volta al lettore italiano e gremite di epifanie che mostrano che «ovunque la terra è sacra, ovunque è un sepolcro, ovunque è un luogo di resurrezione». Di qui anche l’inquietudine crescente suscitata dall’hybris distruttiva dell’uomo moderno nei confronti degli ecosistemi.

Il volume “La grande Madre” di Ernst Jünger, edito da Le Lettere è acquistabile qui

 

Un estratto del volume

La grande madre, di Ernst Junger, edito da Le Lettere

ROMA (1968) Roma, 16 maggio 1968 

Continua lo sciopero dei postini, il che rende più gradevole la vacanza. Di pomeriggio verso la via Appia. Visita al sepolcro degli Scipioni. Fu scoperto solo nel 1780. È insolito il fatto che possano ancora essere decifrati i nomi di molti defunti grazie alle iscrizioni incise negli oscuri sarcofagi. Qui percepii il genius loci con una tale intensità che mi parve di aver conosciuto coloro che vi riposavano. Accanto ad essi si trovano i colombari, rinvenuti solo nel 1928. Ciò dà un’idea della ricchezza inesauribile della città sotterranea. Si giunge alle sepolture scendendo lungo molti gradini scavati nel tufo e ricoperti di capelvenere. Scendemmo fino alla tomba di un liberto di Augusto di nome Pomponio Hylas, le cui ceneri sono collocate in una nicchia accanto a quelle della consorte, Pomponia. L’ambiente era fresco e umido come un pozzo, «molto fresco», come disse il custode che ci aprì la porta. Credo che la famiglia di Pomponio abbia ricevuto spesso la visita di Augusto e di Tiberio. Le nicchie destinate alle urne erano scavate nella roccia e anche in due grossi pilastri, uno dei quali era ancora intatto. Alcune pitture sono ben conservate malgrado l’umidità. Ne vidi di simili in Siria: ritraevano la famiglia riunita serenamente attorno al padre. Non posso negare di aver provato il sentimento di farne parte. Tuttavia, questa sensazione fu più intensa durante la visita alla necropoli etrusca; l’incinerazione nuoce all’aura che avvolge una persona. Presso la Porta Latina, che dischiude l’accesso a un altro mondo. Vicino alla chiesa di San Giovanni in Oleo fummo sorpresi da uno scroscio di pioggia, da cui ci riparammo entrando nella basilica di San Giovanni a Porta Latina. Successivamente procedemmo verso l’antichissima chiesa di San Clemente, dedicata al terzo successore di Pietro, papa Clemente I (88-97 d. C.). Al pari di altri edifici di culto, anche questa basilica si erge al di sopra di costruzioni più antiche di età imperiale e repubblicana. Furono portate alla luce nella seconda metà del secolo scorso; scavi accurati aprirono l’accesso a tre strati: quello in cui si trova la basilica più antica, che, dopo il sacco di Roma ad opera dei normanni guidati da Roberto il Guiscardo, andò in rovina e fu ricoperta dalla terra, e quelli delle costruzioni di epoca imperiale e repubblicana. Al di sotto di essi fu rinvenuto un mitreo risalente al terzo secolo d. C., il periodo in cui, sotto il regno dell’imperatore Aureliano, il culto di Mithra divenne la religione di Stato. Visitammo, innanzi tutto, il tempio di Mithra, che imita una grotta, munita, lungo le pareti, di banconi, e, al centro, di un altare. La struttura dimostra che qui non si era soltanto spettatori del rito misterico, ma che si prendeva parte ad esso. La parte anteriore dell’altare mostra Mithra nell’atto di compiere il gesto riprodotto in molti dei templi a lui dedicati. Il Dio uccide il toro con la mano destra, mentre ne chiude gli occhi con la mano sinistra. Al di sotto dell’animale un serpente e un cane (o un leone?) ne bevono il sangue. Sul lato posteriore è raffigurato un grande serpente. Il luogo riflette il contrasto e l’unità esistente tra la vita e la morte. Mi chiesi perché mai una divinità solare fosse venerata in una grotta. La risposta risiede, forse, proprio in tale contrasto. Domande del genere, del resto, privano di vigore la verità racchiusa in un’immagine, che esige d’essere sentita e non spiegata. Conferiamo importanza a questo o a quel dettaglio a spese del tutto di cui fanno parte. Un’affermazione come “Mithra uccide il toro cosmico” corrisponde all’interpretazione corrente, ma non rende giustizia all’infinità di doni che scaturiscono da tale azione. Il termine “sacrificare” sarebbe appropriato. Mi domandai anche perché il culto di Mithra non poté avere il sopravvento su quello di Cristo. Per rispondere a tale interrogativo si dovrebbe ricorrere a saperi ormai scomparsi, come l’astrologia con le sue grandi immagini dei pesci, dell’ariete e del toro. Al termine delle epoche ha luogo un’immolazione simbolica dei loro signori cosmici? Il toro cessa di vivere col vitello d’oro, l’ariete con l’agnello. Come avranno fine i pesci? Forse col leviatano.

Dopo l’evento che ebbe luogo sul Golgota si esaurì la potenza emanata dal sacrificio del toro, anche se essa continuò ad essere percepita nei ludi, nei miti e nelle dottrine esoteriche. Mithra è stato venerato in ogni epoca, e ciò vale anche per il nostro tempo, che gli si avvicina sotto molteplici aspetti. La figura di Nietzsche ne offre un magnifico esempio. Certamente gli dèi non fanno ritorno, anche se si avvicinano maggiormente nelle svolte epocali. È quanto accade in occasione delle rivoluzioni, quando tutti i sistemi, fino a quelli più antichi, si offrono a chi ne è testimone. Non lo si deve considerare un ritorno, ma, forse, una forma di paternità spirituale [Patenschaft].

Ernst Jünger

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