Dittatura, rivoluzione e democrazia in Portogallo\2

Dalla rivoluzione dei Garofani a oggi, il lungo cammino di una Nazione che si ritrova

  1. La “rivoluzione politica e sociale” tra il 1974 e il 1975

Il 26 e 27 aprile 1974 sono rimessi in libertà i prigionieri politici; tra il 29 aprile e il 5 maggio iniziano le prime occupazioni di case, nel quartiere della Boavista, a Lisbona, per poi allargarsi in un vero e proprio “movimento” in tutto il Paese, legalizzato dal I Governo Provvisorio il 19 maggio; il 27 maggio è fissato, per la prima volta in Portogallo, il salario minimo; il 6 agosto si dà inizio a una campagna di alfabetizzazione; il 27 agosto è promulgata la legge sul diritto allo sciopero  e al lock-out; a partire da settembre si procede in direzione di una nazionalizzazione costante di banche, assicurazioni, di vari settori produttivi e di numerose aziende, con la conseguenza dello smembramento o della distruzione dei gruppi economici privati – il tutto aggravato da un eccesso, per così dire, d’inversione di poteri tanto economici quanto sociali, e non solo a livello di gruppi politici, partiti, sindacati e militari rivoluzionari, ma anche di semplici lavoratori, impiegati, tecnici, i quali, in molti casi abusivamente o con la forza, finiscono per auto-gestirsi o assumere mansioni direttive nei loro rispettivi ambienti di lavoro; il 2 febbraio 1975 inizia l’occupazione e la nazionalizzazione di terre nell’Alentejo, che brevemente e in altri territori agricoli del Paese sfocerà in un complesso processo di riforma agraria di stampo collettivistico; il 15 febbraio si stabilisce tra il Governo e la Santa Sede un protocollo aggiuntivo al Concordato, che riconosce il diritto dei cattolici al divorzio; il 25 aprile si realizzano le elezioni per l’Assemblea Costituente, con una partecipazione elettorale che raggiunge il 90% – i tre maggiori partiti, il Partito socialista (Ps),  il Partito popolare democratico (Ppd) e il Partito comunista (Pcp), ottengono, rispettivamente, il 37,9%,  il 26,4% e il 12,5% dei voti; l’insediamento dei 250 deputati – non senza difficoltà e scontri di vario genere tra i partiti, prima e dopo – avviene il 2 giugno e il socialista Henrique Barroso è eletto Presidente dell’Assemblea della Repubblica; l’8 luglio militari vicini al Pcp e a Vasco Gonçalves presentano il Documento-Guida dell’Alleanza Popolo-Mfa, il cui intento è l’«instaurazione del potere popolare»; il 25 luglio l’Assemblea dell’Mfa assegna la direzione politica del Paese a un triunvirato composto da Costa Gomes, Vasco Gonçalves e Otelo Saraiva de Carvalho; il 7 agosto alcuni militari moderati, che rifiutano «il modello di società socialista tipo Europa-orientale», redigono il Documento dei Nove; l’8 agosto s’insedia il V Governo Provvisorio, di Vasco Gonçalves, completamente dominato dal Pcp;  il 9 agosto i sottoscrittori del Documento dei Nove sono sospesi dal Consiglio della Rivoluzione; il 12 agosto sorge il documento «Autocritica Rivoluzionaria» ad opera di militari dì estrema sinistra, sodali del maggiore Otelo Saraiva de Carvalho, che fa l’apologia del potere popolare.

 

  1. La “contro-rivoluzione democratica” tra la fine del 1975 e il 1976

Il 5 settembre 1975, all’interno dell’Assemblea dell’Mfa, i militari moderati ottengono la maggioranza in seno al Consiglio della Rivoluzione; il 19 settembre s’insedia il VI Governo Provvisorio, dell’ammiraglio Pinheiro de Azevedo, dominato dai moderati; il 27 settembre alcuni manifestanti di estrema sinistra prendono d’assalto e incendiano a Lisbona l’Ambasciata di Spagna; il 25 novembre una sommossa militare, legata alla sinistra radicale, è repressa dai militari moderati, sotto il comando del generale Ramalho Eanes, con la conseguente dichiarazione di «stato d’emergenza» a Lisbona, che durerà fino all’1 dicembre, e la ripresa dell’attività politica e legislativa da parte del Governo; il 19 gennaio 1976 Otelo Saraiva de Carvalho è imprigionato, con l’accusa di essere stato il principale promotore del tentativo di golpe del 25 novembre, per poi essere liberato il 3 marzo; il 2 aprile è promulgata la Costituzione della Repubblica Portoghese, che ha l’appoggio dei partiti rappresentati nell’Assemblea Costituente, con l’eccezione del Centro democratico sociale (Cds); il 25 aprile sono indette le prime elezioni per l’Assemblea della Repubblica, con una nuova vittoria del Ps che ottiene il 35% dei voti; il 27 giugno si realizzano sia le elezioni presidenziali – alle quali concorrono quattro candidati: l’ammiraglio Pinheiro de Azevedo, indipendente; Octávio Pato, rappresentante del Pcp; il maggiore Otelo Saraiva de Carvalho, sostenuto da vari partiti dell’estrema sinistra; il generale Ramalho Eanes, appoggiato dal Ps, Ppd e Cds, che è eletto con il 61,5% dei voti – sia le prime elezioni regionali, nelle Azzorre e a Madeira, con il Ppd che ottiene la maggioranza assoluta; il 23 luglio si forma il I Governo Costituzionale, presieduto da Mário Soares e composto esclusivamente da socialisti; il 22 settembre il Portogallo entra a far parte del Consiglio d’Europa; il 12 dicembre si realizzano le prime elezioni amministrative.

 

  1. La “normalizzazione democratica” a partire dal 1977

“Normalizzazione democratica” che sfocerà, nel 1982, nella prima e importante revisione costituzionale (ve ne saranno altre quattro) da parte dell’Assemblea della Repubblica; un tipo di revisione che, oltre a consacrare la subordinazione del potere militare al potere civile, “demarxizzerà” il testo costituzionale stesso, consentendo così che il Portogallo, nel 1986, s’integri nella Comunità Economica Europea [cfr. SANTOS, 1990].

In queste nuove condizioni, la vita economica, sociale e politica portoghese risulterà profondamente legata a quella dell’Europa occidentale, con la quale dividerà, e sempre più negli anni a venire, i modelli sia istituzionali che di sviluppo in senso lato.

 

Chiaramente, il salazarismo non era sorto dal nulla. Fernando Pessoa, il quale – diversamente da quel che vari critici, anche prestigiosi, e la maggioranza dei suoi lettori, influenzati dai primi, hanno creduto e, in parte, ancora credono – non era affatto uno sprovveduto in ambito socio-politico, mostrandosi al contrario un osservatore attento e, conseguentemente, in possesso di un nucleo politico per certi versi “realistico”, ebbe modo di scrivere, in una nota dattiloscritta, che non si deve

 

«cadere nell’errore pragmatista, di mischiare l’Utile con il Vero, ma di separarli, riponendo il Vero nella sfera della Scienza, e l’Utile nella sfera della Politica. L’errore politico fondamentale è stato quello di credere che possa esistere una politica vera; non esiste, esiste solo una politica utile» [cit. in PESSOA, 1979].

 

Orbene, l’errore fondamentale di António de Oliveira Salazar è stato quello di aver creduto, di certo in buona fede, di fare gli interessi della Nazione, anche in presenza di contingenze storiche assai mutate da quando, tra la fine degli anni ’20 e i primi degli anni ’30, era venuto alla ribalta politica con l’intento di sanare una situazione altamente caotica, venutasi a creare in Portogallo, dal punto di vista tanto socio-politico quanto, soprattutto, economico. Salazar interiorizzò così profondamente tali interessi che non riuscì a comprendere, per così dire, la loro obsolescenza, poiché non coincidevano più, a distanza oramai di anni, come Marcelo Caetano varie volte gli aveva fatto notare, con l’evoluzione dei tempi e della società.

Sono dell’idea che la possibile risoluzione del problema coloniale rimase paralizzata di fronte all’irremovibile incapacità dello Stato Nuovo di rinnovarsi e approntare politiche che non fossero delle mere panacee delle problematiche della guerra allora in atto. Questo nonostante le innumerevoli proposte provenienti da più parti, sia dall’esterno che dall’interno del regime, suggerendo soluzioni di tipo confederale. È il caso, ad esempio, della proposta avanzata, e già nel 1954, da Francisco Pinto da Cunha Leal, ex ufficiale dell’Esercito, giornalista, scrittore e uomo politico di spicco, fondatore dell’Unione liberale repubblicana (Ulr), che appoggiò il golpe del 28 maggio 1926:

 

«Nell’intimo, tutti sappiamo che, allorquando l’Angola e il Mozambico raggiungeranno una certa posizione nel loro processo economico e sociale e nell’aumento della loro popolazione civilizzata, avranno interessi particolaristici, che li spingeranno a richiedere una larga autonomia, quando non proprio l’indipendenza. Se essa verrà loro negata invocando concetti costituzionali centralistici, si verificherà proprio quel fatto doloroso che si vuole a ogni costo evitare: la proclamazione dell’indipendenza assoluta, con la rottura di tutti i legami politici con la Metropoli, com’è avvenuto con il Brasile. E allora come deve essere orientata la nostra politica imperiale? Se il mio spirito, ansioso di servire l’interesse collettivo, vede chiaro e non m’illude, dovremmo incamminare le cose in modo da, avendo come riferimento una scadenza più o meno distante, imprimere alla Comunità Portoghese la forma di una Confederazione, composta di Stati indipendenti» [LEAL, 1991].

 

Questa stessa tesi sarebbe stata riproposta, contestualizzandola a distanza di venti anni, dal generale António de Spínola nel suo Portugal e o Futuro:

 

«Desideriamo, prima di ogni altra cosa, che il Portogallo sia un paese fatto di progresso e pace, che incorpori particelle africane prospere e portoghesi per autodeterminazione delle loro genti, e in quanto tale che si presenti all’accettazione del mondo. Abbiamo ancora il tempo di farcela, una volta che la voce del buonsenso si sovrapponga all’apologetica delle utopie e che, innanzitutto, si offra agli africani, senza imporla, una Patria in cui si sentano anche portoghesi. […] Da un punto di vista interno, la Nazione s’interroga quanto al suo futuro, in un clima generalizzato di dubbio e insicurezza. Da un punto di vista esterno, camminiamo in direzione dell’isolamento totale, poiché in nostra difesa si alzano voci tenue, isolate e inespressive; e perfino i pochi amici sono tiepidi nel loro appoggio. Ci siamo fatti lasciare indietro nella corsa attraverso l’Africa, dove ci siamo installati con maggior solidità rispetto agli altri, ma da dove un giorno saremo scacciati se rimaniamo sordi di fronte al fenomeno africano. I movimenti sovversivi non rappresentano lo spirito dell’emancipazione africana, ma se ne servono; e per gli africani sarà l’unica opzione, una volta che offriamo loro solo soluzioni teoriche che non accettano. Possiamo, tuttavia, offrire loro solidi valori sostitutivi, di fronte ai quali i partiti sovversivi rimarranno spiazzati; per riuscirci occorre che affrontiamo la questione senza sotterfugi e dialoghiamo con gli africani. La pace, allora, sarebbe automatica, e il Portogallo ritroverebbe la sua rotta e la sua posizione nell’Africa e nel Mondo. Portiamo avanti, perciò, una soluzione del problema nazionale che si basi su un’ampia deconcentrazione e decentralizzazione di poteri in un clima di crescente regionalizzazione di strutture politico-amministrative dei nostri Stati africani, in un quadro di stampo federativo» [SPÍNOLA, 1974: 238-240].

 

L’indipendenza concessa ai territori coloniali tra l’ottobre del 1974 e il novembre del 1975 (con l’eccezione di Macao e Timor-Est – quest’ultima invasa e occupata dall’Indonesia il 7 dicembre 1975) fu la grande “rottura” operata dalla Rivoluzione. Il modo come si realizzò il trasferimento di potere alle colonie è stato, nel corso degli anni, motivo di accese discussioni. Innanzitutto, il momento scelto per fare la decolonizzazione – ossia, nel corso di un periodo post-rivoluzionario – non fu affatto propizio in termini di negoziazioni. Inoltre, la rapidità di questa stessa decolonizzazione fece sì che si riversassero, nel giro di un anno o poco più, circa 650.000 ex-coloni – i cosiddetti ritornati, provenienti soprattutto dall’Angola e dal Mozambico – in un Portogallo la cui popolazione contava allora meno di 9.000.000 di abitanti. Un aumento demografico, quindi, inaspettato e rapidissimo di circa il 7% che comportò un drastico e grave “arresto” del Paese – già molto fragile a causa delle sue vicende interne ancora irrisolte – in termini sia economici che socio-culturali. Fortunatamente, grazie agli aiuti umanitari e finanziari della Comunità Europea, ma direi, soprattutto, grazie alla loro grande forza di volontà – persone in maggioranza disperate e costrette ad abbandonare, senza alcun preavviso, tutto, le loro case, il loro lavoro, i loro averi, una terra loro, che avevano contribuito ad arricchire e in cui quelli delle ultime generazioni erano perfino nati –, l’integrazione di questi ritornati nella società e nell’economia portoghese è avvenuta, seppur con qualche trauma a livello personale, abbastanza rapidamente e senza grandi incidenti o conflitti.

Nell’ambito delle trasformazioni a livello sociale post-rivoluzionario c’è da sottolineare: l’allungamento considerevole della vita media che è passata dai 60 anni per gli uomini e 66 per le donne, rispettivamente, ai 73 e 79 anni nel 2001 (ai 78 e 83 anni nel 2020); la riduzione della mortalità infantile dal 60% agli inizi degli anni settanta a meno del 7% nei primi anni duemila (al disotto del 3,5% attualmente); il cambiamento delle caratteristiche della composizione familiare, con una presenza di nuclei di famiglia molto meno numerosi; l’aumento del numero dei divorzi e delle unioni di fatto.

Altro aspetto importante, sempre a livello di trasformazione sociale, fu la quasi scomparsa dell’emigrazione. Tra il 1960 e il 1973 più di un milione di portoghesi abbandonarono il Paese per lavorare all’estero. Nel corso della prima metà degli anni ’70, l’emigrazione si sarebbe ridotta di molto anche a seguito della situazione economica e sociale internazionale (recessione e caro petrolio). Oggi si registra in Portogallo una controtendenza, nel senso che è diventato, così come altre nazioni europee, Italia inclusa, un Paese d’immigrazione, soprattutto lavoratori provenienti dal Brasile, dall’Europa centro-orientale, dall’Estremo Oriente, dalle ex colonie portoghesi in Africa e, ultimamente, anche dal Nordafrica: a partire dal 1995/97 il “saldo” è diventato positivo, ossia, il numero di immigrati legali ha superato quello degli emigranti. In meno di venti anni la popolazione straniera residente ha raggiunto il 4% del totale.

Si possono elencare tanti altri elementi che indicano una chiara corrente di sviluppo globale, quali: l’integrazione delle zone periferiche del Paese con le zone centrali, grazie anche alle migliorie apportate alla linea ferroviaria e a una migliore viabilità, con la costruzione di nuove strade e una rete autostradale efficientissima; la partecipazione attiva delle donne nel mondo del lavoro – all’inizio degli anni ’60 rappresentavano circa il 20% della popolazione attiva impiegata, all’inizio del secolo corrente il 50% e oggi sfiorano il 60%; l’espansione del servizio sanitario e di assistenza sociale; l’istituzione di tantissime nuove scuole e università, di uffici postali, di banche, tutte riprivatizzate; uno straordinario incremento turistico; una vera e propria esplosione letteraria che ha portato alla ribalta scrittori divenuti oramai di fama mondiale.

Dal punto di vista economico la terziarizzazione è stata rapida e completa con la riduzione drastica del settore primario e la stabilizzazione della popolazione industriale.

La messa a confronto del Portogallo con gli altri Paesi dell’Unione Europea rivela una sicura consistenza a livello di altri indicatori demografici, sanitari, educativi.

Con le libertà acquisite e sotto l’influenza di una società sempre più aperta al mondo c’è stata una liberalizzazione dei costumi, è “progredita” la permissività e si è affermata la laicizzazione della società e dei comportamenti. La Chiesa, le Forze Armate e i grandi corpi dello Stato hanno oggi meno influenza nella società o meglio la loro influenza è ripartita e discussa.

Dopo un periodo, come visto, di grande conflittualità socio-politica, la concertazione sociale e la negoziazione collettiva si sono imposte come metodi predominanti. A partire dagli anni ’80 si è dato inizio anche a un vasto programma di riprivatizzazione di aziende e di apertura al capitale privato di settori anteriormente in regime di monopolio statale. Tutto questo è stato realizzato dai governi sia di centrosinistra che di centrodestra.

Trasformazioni politiche, economiche, sociali e culturali ma anche di mentalità si sono succedute a grande velocità in Portogallo a partire dal 1974. La trasformazione più radicale, tuttavia, è rappresentata dal fatto che il Paese finalmente ritrovatosi e concentratosi su se stesso, oltre a consolidarsi definitivamente in termini di democrazia e libertà, continua ancora oggi a costruire quello che durante secoli aiutò a costruire con la sua diaspora nel mondo.

 

(Fine)

Leggi la prima parte

Bibliografia di riferimento

– LEAL, Francisco Pinto da Cunha, 1991. O verdadeiro início da campanha contra o beco sem saída da política colonial de Salazar («Diário de Lisboa», 23.06.1954). In Textos antológicos de Cunha Leal. Preâmbulo de David Mourão-Ferreira. Edições Cosmos, Lisboa: 199-206 (202).

– PESSOA, Fernando Pessoa, 1979. Sobre Portugal, introdução ao problema nacional. Recolha de textos [de] Maria Isabel Rocheta [e] Maria Paula Morão. Introdução e organização [de] Joel Serrão. Ática, Lisboa: 227-228 (228).

– SANTOS, António Pedro Ribeiro dos, 1990. A Imagem do Poder no Constitucionalismo Português. Instituto Superior de Ciências Sociais e Políticas, Lisboa.

– SPÍNOLA, António de, 1974 (4.ª ed.). Portugal e o Futuro. Análise da conjuntura nacional. Arcádia, Lisboa.

 

[La prima versione di questo lungo articolo – qui rivisto, attualizzato e suddiviso in due parti – venne pubblicata sedici anni fa, nel maggio 2005, in «Palomar. Rivista di cultura e politica» (Firenze). N. 21, 4/2004, pp. 5-17.

Tutte le traduzioni dei testi dal portoghese sono a mia cura].

 

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