Viaggi&Patrie/1. Ballario: “In Sudamerica tra Hugo Pratt, River Plate e Peron”

Lo scrittore piemontese racconta aneddoti e suggestioni dei percorsi in America Latina

Giorgio Ballario in Argentina

Lo scrittore Giorgio Ballario, firma de La Stampa, autore dei romanzi con protagonista il Maggiore Morosini, apre la serie di interviste dedicate al viaggio in chiave patriottica con il fine di  “esplorare per cogliere ciò che sfugge all’omologazione del nostro tempo”

Il viaggio ovvero la ricerca. L’esplorazione come edificazione morale, spirituale. È questa l’essenza del ciclo di interviste che inizia il magazine patriottico Barbadillo.

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Giorgio Ballario, giornalista de La Stampa e scrittore di opere noir, come nasce la passione per l’America del Sud?

“Come spesso accade le passioni che ci accompagnano per tutta la vita nascono nel periodo dell’infanzia e dell’adolescenza. Nel mio caso dai racconti di un viaggio che mio padre fece in Argentina e Brasile all’inizio degli anni Settanta, da suggestioni musicali, da emozioni calcistiche (il grande Brasile, l’Argentina campione del mondo), da letture alte e meno alte: da ragazzino amavo i libri di Jorge Amado e divoravo i fumetti del mio personaggio preferito, Mister No, che non a caso si muove in tutta l’America Latina. Poi all’università ho approfondito la parte storica e sociale seguendo parecchi corsi di storia dell’America Latina”.

Quali sono i luoghi del Sud America che ha visitato?

“Non quanti avrei voluto, purtroppo. Spero che fra non molto si possa tornare a viaggiare per ricominciare. Sono stato due volte in Argentina, una volta in Brasile (ma è così grande che per conoscerlo un minimo ci si dovrebbe andare tre o quattro volte), in Perù e Bolivia, fugacemente in Uruguay, Venezuela e nelle Antille olandesi. E poi ho visitato più volte Cuba”.

Tra usanze o e tradizioni, c’è qualcosa che ha avuto su di lei un impatto emotivo particolarmente intenso?

“In un viaggio di poche settimane, anche se non è di quelli organizzati per turisti “alla giapponese”, è comunque difficile arrivare a conoscere davvero la popolazione locale e quindi calarsi nella loro vita. Perciò a colpire ed emozionare sono spesso delle immagini, dei flash, delle brevi esperienze che rimangono scolpite nella memoria”.

Nella casa di infanzia di Che Guevara ad Alta Gracia, vicino a Còrdoba

Quali immagini rievocano i momenti trascorsi in quel continente?

“Potrei ricordarne centinaia: un volo interno in Perù con i passeggeri che si portavano a bordo galline e gomme di bicicletta, il giro in una favela di Fortaleza, nel nordest del Brasile, una splendida spiaggia di Recife dove era però proibita la balneazione per la presenza di squali, un viaggio notturno sul treno che attraversa Cuba da Santiago a L’Avana, il piacere di stare ore a perder tempo in uno dei caffè storici di Buenos Aires. E lascio da parte le emozioni che suscitano i grandi scenari naturali, dalla foresta amazzonica alle spiagge chilometriche di sabbia bianca, al fascino primordiale delle Ande”.

Qual è il lascito valoriale di quelle esperienze?

“A mio parere enorme. Mi piace spesso ricordare un aforisma del poeta e filosofo persiano Omar Khayyam: “La vita è un viaggio e chi viaggia vive due volte”. Ne sono convinto, ogni volta che viaggio, oltre a divertirmi, sono convinto di tornare indietro arricchito e migliorato. È come fare un pieno di energia. E vale non solo per i viaggi dall’altra parte del mondo: se affrontato con lo spirito giusto, anche un fine settimana in una città a cento chilometri da casa può diventare un’esperienza che aumenta il tuo bagaglio di valori”.

Allo stadio Monumental, a Buenos Aires in occasione di River-Boca

In un’intervista, ha raccontato di aver assistito con Mike Duval al derby tra River Plate e Boca al Monumental. Cosa rappresenta il calcio per gli argentini?

“Mike Duval è un amico argentino molto singolare, grandissimo tifoso del River Plate e, per osmosi, anche del Torino. Fra l’altro è stato lui a mettere in contatto i musei delle due società calcistiche, che ora collaborano fra loro. Nel 2015, grazie ai suoi buoni uffici, mentre mi trovavo a Buenos Aires ho avuto occasione di assistere al “superclasico” River-Boca. È stata un’esperienza indimenticabile, malgrado abbia vinto il Boca Juniors…”

D’altra parte, lei è un fervente tifoso del Toro. Qual è il suo giudizio rispetto alle differenze che intercorrono con il calcio italiano?

“Dopo aver visto quella partita ho pensato: qualsiasi incontro mi capiterà di vedere in Italia, sarà come assistere a una brutta copia. Non parlo dal punto di vista tecnico, naturalmente, ma della passione che ancora muove il calcio in Argentina e che invece in Italia, così come in Europa, si va lentamente spegnendo, fagocitata dagli interessi economici, dalle esigenze delle televisioni, dalla voracità dei procuratori e dei gruppi economici, dall’ossessione della sicurezza e della correttezza politica. Il gioco più bello del mondo si sta trasformando in un asettico spettacolo televisivo, quasi perfetto dal punto di vista tecnico ma sempre più svuotato della passione popolare”.

Corto Maltese

L’Argentina è altresì la culla in cui ha vissuto e si è formato Hugo Pratt, ispiratore del “viandante” Corto Maltese. Fu un soggiorno proficuo in vista del componimento di quella storica stagione fumettistica?

“La formazione tecnica e culturale di Hugo Pratt si è svolta quasi tutta in Argentina, dove emigrò giovanissimo perché laggiù, all’epoca, il mercato editoriale dei fumetti era tra i più importanti del mondo.  È probabile quindi che l’idea di Corto Maltese sia maturata durante uno dei suoi viaggi in Sudamerica. D’altronde l’amore per il disegno, per le uniformi militari e per le popolazioni indigene si sviluppò quando Pratt, ragazzino, aveva seguito il padre in Eritrea, a quei tempi colonia italiana. E qui veniamo a un’altra delle mie passioni storiche e letterarie, cioè il Corno d’Africa e l’esperienza coloniale, alla quale ho dedicato alcuni romanzi. In uno di questi, “Le rose di Axum”, in un paio di pagine compare proprio un giovanissimo Hugo Pratt che comincia affascinato a disegnare le variegate uniformi dei nostri ascari”.

Al cimitero della Recoleta alla tomba di Evita Peròn, a Buenos Aires

Tra le altre cose, ha approfondito con una certa meticolosità le dinamiche e le prospettive politiche argentine. È per via (anche) dell’interesse nei confronti del periodo peronista?

“Per studi ed esperienze di vita e professionali ho sempre avuto interesse per gli aspetti politici internazionali, perciò quando vado in un Paese straniero cerco sempre di capirne di più anche sotto questo profilo. Il peronismo rimane una delle poche dottrine politiche del Novecento che hanno lasciato il segno e che, sia pure con mille cambiamenti e adattamenti, ancora influenza la vita politica argentina. Anzi, ne è il cardine, perché ancor oggi smuove passioni e coscienze, pro e contro, e quando ci sono le elezioni è sempre una specie di referendum: o si vota in nome del generale o contro di lui. In definitiva il peronismo influenza anche gli antiperonisti, che sono tanti. In ogni caso è un fenomeno politico che non si può eludere e non è morto con il suo fondatore, a differenza di molti altri movimenti populisti dell’America Latina o di altre parti del mondo”.

Il saggio su Terza Posizione di Passaggio al Bosco

Il peronismo e l’Italia: ci sono state influenze?

“Sì, non è un segreto che Peròn negli anni Trenta del secolo scorso abbia passato alcuni anni in Italia come osservatore militare sviluppando un grande interesse per il fascismo, visto come “terza via” tra il capitalismo e il socialismo marxista. Detto ciò, il movimento politico e la dottrina che portano il suo nome sono poi evolute in modo del tutto autonomo, in base ai caratteri propri della società argentina, quindi sbaglia chi ancora oggi definisce il peronismo come una specie di fascismo. Sono due cose molto diverse con alcuni caratteri comuni. Oltre a questi contatti tra Peròn e Italia, va ricordato che in Argentina gran parte della popolazione è di origine italiana, quindi un interscambio c’è sempre stato, anche a livello politico. Più di recente, nel decennio degli anni Settanta, i legami si sono rinsaldati: da un lato molti peronisti della frangia di sinistra, i Montoneros, in fuga dalla repressione militare, hanno cercato rifugio in Italia contando sull’appoggio dei partiti e dei movimenti di sinistra; dall’altra, nello stesso periodo, gruppi giovanili neofascisti delusi dalla linea del Msi si sono ispirati proprio alla “Tercera posiciòn” peronista e soprattutto alla figura carismatica di Evita Peròn, tanto da dare al proprio movimento il nome di Terza Posizione”. 

Oltre l’indagine sociologica e a proposito della sua dedizione romanzesca, è argentino proprio il protagonista di un recente noir da lei firmato, “Torino non è Buenos Aires”, e di precedenti lavori…

“Il mio personaggio, il detective privato Hector Perazzo, è un argentino di origine italiana che ha fatto il percorso inverso rispetto ai suoi antenati: ha attraversato l’oceano Atlantico per venire in Italia, un fenomeno che era diventato abbastanza comune tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta a causa della grave crisi finanziaria dell’Argentina. Mi piaceva l’idea di portare dalle nostre parti il vissuto di un ex poliziotto di Buenos Aires sballottato fra terrorismo, repressione militare e instabilità economica che decide di rifarsi una vita tornando alle proprie radici. Anche se, come dice il titolo dell’ultimo romanzo, “Torino non è Buenos Aires”. Nel bene e nel male”.

Quale influsso hanno e hanno avuto quindi le atmosfere sudamericane sulla sua penna?

“Non so se abbiano avuto influssi su di me, di certo ho letto e amato parecchi autori sudamericani, dal già citato Amado a Vargas Llosa, Garcia Màrquez, Ricardo Piglia, Cortàzar, Osvaldo Soriano e molti autori del genere noir di quelle latitudini. Ho conosciuto alcuni di loro, sono in contatto e li leggo abitualmente in lingua originale perché non sempre sono tradotti, trovo che in Italia siano ingiustamente poco conosciuti e apprezzati. Di certo però ho frequentato parecchio anche la letteratura europea del Novecento e se devo scegliere due maestri inimitabili del genere noir posso citare Simenon e il nostro Giorgio Scerbanenco”.

Per concludere, possiamo considerarla un viaggiatore autentico, collaudato. Quale significato assume dunque per lei l’ideale del viaggio? Di quale accezione simbolica e metastorica si carica nei suoi itinerari?

“I viaggiatori autentici sono altri e ho l’impressione che con il passare del tempo e l’avanzare della modernizzazione tecnologica il mondo si sia rimpicciolito e cominci a sembrare tutto uguale, almeno a un’occhiata superficiale. Per questo quando viaggio cerco sempre di avere uno sguardo differente, anche sulle piccole cose: per cogliere gli aspetti, a volte minimali, che sfuggono all’omologazione del globalismo. E poi restano sempre i viaggi della mente, che vanno al di là dello spazio e del tempo, in questo senso i libri aiutano a dribblare una realtà che non sempre mi piace. “I libri sono per la gente che spera di essere altrove”, diceva Mark Twain. E per fortuna questo tipo di viaggio lo si può fare anche dalla poltrona di casa propria”.

@barbadilloit

Domenico Pistilli

Domenico Pistilli su Barbadillo.it

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