Formula 1. Le sfide d’alta quota al Gran Premio di Francia

La flessibilità nelle scelte strategiche della Red Bull è la stata la vera chiave di volta nel successo sul circuito transalpino

Nella Formula 1 contemporanea, posta la salienza della variabile pneumatici al vertice della gerarchica evoluzione del Gran Premio, molto spesso si sente parlare in gergo di “undercut” o di “overcut”, ossia, rispettivamente, la fermata anticipata per sfruttare la gomma nuova, cercando di saltare davanti all’avversario di turno quando questi si fermasse oppure la sosta ritardata per accumulare vantaggio e rientrare in sicurezza; ebbene, il Gran Premio di Francia è stato un grande esempio di quanto la corretta interpretazione di tale variabile permetta di massimizzare il risultato, ricercato attraverso una grande puntualità nelle scelte strategiche finalizzate da Verstappen, come da Perez: gli anglo-austriaci, alla terza vittoria consecutiva, hanno dato ancora una volta dimostrazione di come anche nello sport del motore si possa vincere di squadra, valorizzando un progetto tecnico che in questo momento sembra essere il migliore del lotto.

Dopo la pioggia della domenica mattina che ha pulito la gomma depositatasi nei due giorni precedenti sull’asfalto, in Red Bull hanno ridefinito il bilanciamento complessivo delle vetture ma soprattutto hanno optato per il passaggio, almeno con Verstappen, dalla sosta unica ai due pit stop, mettendo il pilota col 33 nelle migliori condizioni possibili, ovviando al problema del degrado e consentendogli di andare all’attacco nel finale, fino al sorpasso decisivo portato su Lewis Hamilton al penultimo giro.

 

Il progetto RB16B, i rimpianti di Brackley e lo “sprofondo rosso”

La Red Bull non è però soltanto intelligenza tattica, l’estro di Verstappen o la solidità di Perez ma è anche e soprattutto il modello di vettura 2021, quella RB16B che in pista sta facendo faville, attorno alla quale è cucito un pacchetto aereodinamico che ottimizza al meglio le prestazione delle mescole, nonostante le nuove strette sulla flessibilità delle ali e sulle pressioni di gonfiaggio; in particolare, oltre al muso ad alto carico, all’assetto “Rake” molto spinto, l’altra grande carta vincente sembra essere quella dei deflettori che danno più energia ai flussi periferici per schermare al meglio il fondo scocca e assicurare un potente effetto suolo che rende più intensa la depressione del sotto vettura.

E poi c’è il propulsore Honda, con la parte ibrida integrata nel monoblocco e la turbina posta nella “V” del motore, che oltre ad essere ottimo in fatto di prestazioni e potenza, è per giunta (grazie agli accorgimenti sopracitati) poco ingombrante, garantendo enormi benefici nel plasmargli attorno il retrotreno, parte della vettura nevralgica nella ricerca della massima efficienza aereodinamica, tant’è che le prestazioni più convincenti sono arrivate proprio sulle piste da medio-alto carico, contraddistinte dai curvoni veloci, tecnici e in appoggio, che per inciso,  sono quelle più indigeste per la Ferrari

Le Mercedes, partita per la sosta unica e fossilizzatasi su tale opzione (nonostante un infuriato e sconsolato Bottas, proprio sul finale, si sia poi sfogato via radio, facendo notare che nessuno aveva dato retta alla lettura da lui proposta riguardo i due stop), non ha saputo diversificare le tattiche delle proprie due punte, così da fronteggiare al meglio Verstappen  e Perez, vivendo un’altra domenica complessa, quando per altro era chiaro, già in principio di secondo stint, che le Mercedes non avrebbero mai passato in  pista la Red Bull.

Per  nulla aiutata dalle temperature più basse e dalla pista meno gommata, gli pneumatici montati dalle “Frecce Nere” tendevano per questo a “scivolare”, creando il classico effetto “graining”, ossia  quelle macchie scure che strappano longitudinalmente il battistrada (la parte più esterna dello pneumatico, a contatto con l’asfalto), diminuendo nel complesso l’aderenza e ovviamente la prestazione.

 

Sulla Ferrari non c’è molto da aggiungere rispetto a quanto sentenziato senza appello dal Paul Ricard: lente sul dritto (dove il V6 Ferrari, almeno in questa occasione, ha preso paga non soltanto dai canonici motori Honda e Mercedes ma anche dai Renault; a proposito di Alpine, da segnalare, dopo l’ottima qualifica di sabato, l’ottavo posto finale di Alonso, a sottolineare un’altra bella prestazione del veterano spagnolo, specie se paragonata alla 13° piazza di Ocon), le SF21 continuano a consumare le gomme (pare anche per colpa dei cerchi che non permettono di smaltire il calore in maniera ottimale) e proprio non vanno sui curvoni.

E così, se le magagne vengono tutto sommato mascherate sul giro secco, dove bene o male la mescola si riesce a sfruttare, sul passo gara le Ferrari sono sprofondate nella prestazione e in classifica (Sainz 11° e Leclerc, su due soste, visto che con una sola non avrebbe mai portato al traguardo il treno di pneumatici montato al termine della quattordicesima tornata); ed è un peccato, perché i progressi fin qui dimostrati erano stati piccoli ma importanti e strutturali.

C’è da sperare che almeno in Austria, la domenica ventura, su un circuito “stop and go” contraddistinto da lunghe accelerazioni e brusche frenate, senza importanti curvoni di alta velocità, le Rosse possano sfruttare al meglio la buona motricità generata dal retrotreno, quantomeno per fare una grande qualifica e poi giocarsela in gara, almeno con le McLaren che in Francia, con Norris 5° e Ricciardo 6°, rispetto a Maranello sono apparse, alla voce gestione del Gran Premio sulla distanza, di un altro pianeta.

 

 

 

Lorenzo Proietti

Lorenzo Proietti su Barbadillo.it

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