“The Specials”: il rapporto tra il cinema e l’autismo in una commedia con Vincent Cassel

I registi di Quasi Amici, Olivier Nanacke ed Eric Toledano, dirigono un film che offre una nuova visione sul tema

The Specials con Vincent Cassel

Stefano Belisari, in arte Elio, frontman del mai domo e mai del tutto sciolto gruppo Elio e le storie tese, ha dichiarato, recentemente, in merito all’autismo: “L’autismo è un tema che non interessa a nessuno, per questo con i colleghi papà ci siamo inventati il titolo di Autism Manager”. Il contesto è quello di Propaganda Live di Diego Bianchi ed il discorso affrontava il tema delle famiglie che si trovano a vivere con persone con questo tipo di disabilità. Elio ha un figlio con autismo e si è offerto in più di un’occasione come portavoce per diverse battaglie, culturali e sociali, in favore di una maggiore attenzione al tema, intesa come un’attenzione volta a formare politiche che tutelino le persone direttamente coinvolte nella dimensione dell’autismo e negli effetti che questa comporta. Il discorso di Elio ha perfettamente senso. Non solo non interessa a nessuno, ma non si trova neanche una completa misurazione della materia. Parlare di autismo, parlarne in maniera efficace, anche nel contesto italiano, è spesso difficile per via dell’oblio circa la misurazione e l’utilizzo di dati concreti e aggiornati. I mezzi di comunicazione possono invertire il senso di marcia in modo tale creare anche solo un’eventuale discussione, si spera approfondita, sul tema.

Il cinema, dalla propria parte, da sempre, può contribuire a creare, uno spunto, una riflessione, anche critica, utilizzando però i propri codici. Eccone un esempio.

L’iniziale incredulità davanti ad un Vincent Cassel con la barba che presta voce e corpo ad un personaggio innestato sopra un atipico assemblaggio di empatia e verace dedizione al prossimo. Una storia semplice e apparentemente scontata, quella di The Specials, film del 2019, con varie candidature al premio Cèsar, per la regia di Olivier Nancke ed Eric Toledano.

Bruno Haroce, educatore, di cultura ebraica, collabora in tandem con Malik, educatore musulmano. La loro appartenenza a matrici diverse trova il punto d’incontro nello spirito di cura. Perché di questo si tratta. Salvano gli altri, danno una dimensione ad una disabilità che viene ripudiata, a tratti enfatizzata da un ritratto eccessivamente sbiadito dal corso del tempo, eterna riproduzione di Rain Man. Giocano sul realismo e sulla concretezza. Vincent Cassel smette i panni del tenebroso per buttarsi letteralmente anima e corpo in un personaggio inquieto, freneticamente deciso nella propria missione.

I registi di Quasi Amici lanciano una freccia che li porta a definire un territorio segnato dall’assenza di retorica. Le fragilità da loro incontrate si trasferiscono spesso su un terreno di scontro di intermediazione tra i ragazzi, il loro modo di socializzare e di manifestare la malattia.

Bruno deve sincronizzare diverse persone con una vasta gamma di caratteri, ciascuno con la propria compulsione da gestire che li porta a commettere atti estemporanei come l’azionare l’allarme della metropolitana, dare colpi con il proprio cranio talmente forti che diviene necessario indossare un casco per proteggersi. Persone, al netto di ciò, intese nella propria interezza.

Malik, invece, forma gli educatori, gli assistenti dei ragazzi, i facilitatori, presi però tra ragazzi considerati difficili, la cui assenza di formalismi di sorta li rende preziosamente abili nel connettersi con i bisogni e le necessità degli utenti di Bruno. Un incrocio perfetto, pedagogia applicata senza pergamene o premi accademici, al punto di attirare l’ispezione di un organismo del Ministero della sanità.

L’eterna lotta tra regole, conformità alle stesse, conformismo, conformazione e poi astrattezza, viaggio, percorsi, autonomia e indipendenza. Toccare un tasto come quello comprendente queste varie componenti è sempre un’impresa scivolosa e rischiosa per il cinema, perché si rischia la superficialità, si rischia di tramutare un personaggio in uno stereotipo, appiattimento che porta il potenziale accrescitivo del cinema sul crinale delle banalità.

Il cinema esplora sensazioni, emozioni, cosmi e microcosmi, li racconta, senza necessariamente lanciare tesi o anatemi. The Specials racconta l’autismo, gettandoli all’interno di sottofondo ironico e sarcastico che lo espone alla più concreta crudezza di chi deve quotidianamente misurarsi con la questione, ponendosi gioco-forza oltre qualsiasi schema o tabù. Una commedia che toglie l’enfasi supereroistica che film come Rain Man ha attribuito, inconsapevolmente, alla tematica. Disabilità come condizione che comporta in automatico l’essere al di fuori dell’ordinario, esageratamente campione, senza vie di mezzo. una sorta di inconsapevole aut-aut il cui retroscena sembra essere l’oblio. Campione di poker, campione di scacchi, genio del computer, della matematica, musicista eccezionale. Questi alcuni degli stereotipi legati a persone con disabilità mentale. Al contrario, The Specials può essere un lieve inizio per il cambio di prospettiva.

Stefano Sacchetti

Stefano Sacchetti su Barbadillo.it

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