“Ernst Jünger e le folgorazioni di un contemplatore solitario”

L'intervista a Luca Siniscalco, curatore per Bietti del volume di Nicolaus Sombart "Ernst Jünger. Un dandy nelle tempeste d’acciaio"

Ernst Junger

Ernst Junger

Ernst Junger

Luca Siniscalco, studioso di tradizione e letteratura tedesca, come nasce il saggio di Nicolaus Sombart su Ernst Jünger?

“Il volumetto Ernst Jünger. Un dandy nelle tempeste d’acciaio traduce un breve ma significativo contributo di Nicolaus Sombart apparso con il titolo Der Dandy im Forsthaus (letteralmente, Il Dandy nella foresteria) sul quotidiano tedesco «Der Tagesspiegel» il 29 marzo 1995.

La versione italiana a mia cura, che presenta anche una breve introduzione al testo e una bibliografia essenziale di Sombart, rende disponibile ai lettori italiani uno scritto che l’autore, il quale alla tradizione rivoluzionario-conservatrice si è ampiamente interessato, seppur da una angolatura essenzialmente critica, per tutto l’arco della sua produzione saggistica, concepì in occasione del centenario di Ernst Jünger (1895-1998) – e contestualmente alla pubblicazione, da parte di Klett, del quarto volume dei diari jüngeriani intitolati Siebzig verweht.

Il volume di Sombart su Junger per la Bietti

Il testo di Sombart si presenta dunque come una “messa a punto” sul Contemplatore Solitario, un abbozzo “radiografico” di un protagonista del Novecento affascinante ed enigmatico, in prima battuta per il suo carattere totalizzante, entro cui ogni possibile definizione viene fagocitata dall’assidua frequentazione dei luoghi “al muro del tempo”.

Perché Jünger è definito dall’autore “coscienza stilistica della Germania”?

“Secondo Sombart, Jünger è un autore paradossale – e proprio per questo fecondo – per il suo essere dilaniato da una dialettica interna fra identità tedesca e respiro internazionale “cosmopolita”. Jünger è dunque “coscienza stilistica della Germania”, “fenomeno della storia della letteratura tedesca”, “sismografo” (la definizione è di Ernst Niekisch, ma è lo stesso Sombart a citarla) della Germania moderna in tutte le sue trasformazioni novecentesche. “Più che a chiunque altro, a lui si può attribuire la definizione di cronista di un secolo di storia tedesca – il suo secolo”. Jünger è dunque forma, tipo, archetipo, stile – ça va sans dire in senso nietzscheano – della Germania. Al contempo, il Nostro è sempre oltre, fa capolino nei domini di quella sovrastoria che non parla tedesco, e neppure francese o italiano, conoscendo soltanto i Silenzi dell’Ineffabile.

Lo scritto di Sombart è intenzionalmente votato all’identificazione delle tendenze fondamentali dell’opera jüngeriana, tesa fra il retaggio tedesco (a sua volta frutto della congiunzione di quattro idealtipi, che Sombart guarda, dalla sua prospettiva neo-illuminista, con palese sospetto: il militarismo aristocratico prussiano, l’ideale della “Germania segreta”, l’amore antimoderno per la natura, il gusto dell’insolito, che si traduce nella passione per la collezione e catalogazione) e l’ideale “europeo” e “internazionale” del Dandy. Volendo caratterizzare sinteticamente Jünger, rileva Sombart, è tuttavia proprio “il Dandismo ad apparire come il suo vero tratto dominante. È la quintessenza di un potenziamento che lo innalza oltre il livello di mediocre narratore tedesco di boschi e prati, fondandone la natura di fuoriclasse internazionale. In questo sovrasta i suoi rivali Stefan George e Thomas Mann, i quali, pur con tutta la loro bravura, sono e restano tedeschi provinciali”.

Che rilievo ha la figura dello scrittore tedesco di Nelle tempeste d’acciaio nella Germania dei nostri giorni?

“Il successo, l’interpretazione e la “storia degli effetti” di Jünger in Germania mi paiono paragonabili, a quanto mi risulta, al suo destino italiano. Jünger è genericamente noto come grande scrittore e stilista – non dimentichiamo che nel 1982 vinse il prestigioso Premio Goethe – , ha evocato una ristretta cerchia di “devoti” e appassionati, spesso legati ad ambienti politici conservatori, i primi, a contesti di ricerca accademica (filosofica soprattutto) i secondi. Rimane oggetto di un certo sospetto sul piano della visione antropologico-politica e in virtù del suo approccio mitico-simbolico alla conoscenza. Il destino di un eccentrico e inattuale Anarca, che la modernità fatica a metabolizzare e preferisce spesso marginalizzare.

A tutelarne la figura, con grande serietà e rigore, è la Ernst und Friedrich Georg Jünger Gesellschaft, associazione di studi dedicata ai fratelli Jünger, con sede a Wilflingen, cui ho il piacere di essere associato”.

In tempi di globalismo, è possibile tornare ad approfondire la visione di “Stato mondiale” elaborata da Jünger ?

“Non solo è possibile, ma è necessario. Proprio perché lo status quo richiede risposte capaci di superare l’idea ottocentesca di Stato nazione e di rivolgersi a prospettive di carattere continentale e futuribile, il testo di Jünger è quanto mai attuale nel fornirci stimoli prospettici.

A prima vista, l’indagine di Jünger sullo Stato mondiale parrebbe avallare l’auspicio dei mondialisti. In realtà, leggendo con attenzione il saggio, risulta evidente come l’approccio dell’autore sia in primo luogo fenomenologico, ossia descrittivo, non normativo. Che ci stiamo destinalmente dirigendo verso uno Stato mondiale, è fuor di dubbio, per qualsiasi analista avvertito. Verso quella direzione muovono le potenze titaniche e telluriche di cui la tecnica e il capitalismo sono epifenomeno storico. Dunque “lo Stato mondiale non è semplicemente un imperativo della ragione, da realizzare attraverso l’azione conseguente di un volere. Se fosse così, se non si trattasse che di un postulato logico o etico, le cose in futuro andrebbero male per noi. Esso è anche un qualcosa che sopraggiunge. Nell’ombra che esso proietta davanti a sé, sbiadiscono le vecchie immagini”. Jünger sembra aver tralasciato, probabilmente, la recente riemersione, alla fine del Novecento, delle radici etnico-religiose, dello “scontro di civiltà” tematizzato da Huntington. Eppure, se la sua profezia politica, che per certi versi fa il paio con l’idea della “fine della storia”, sembra, almeno nel presente, lontana dall’inverarsi, è indiscutibile che lo Stato mondiale si sia realmente affermato nel nostro foro interiore, all’interno di un mondialismo sottilmente pervasivo, che mediante il soluzionismo tecnico e la disposizione di un’antropologia livellatrice di massa, conquista le coscienze anziché i territori.

All’uomo spetta il compito di fronteggiare tale tendenza secondo una postura e uno stile dignitoso (ma non necessariamente statico). Jünger evoca, ancora una volta, lo stile dell’Anarca, il quale, con la sua potenza trasfiguratrice, impone la propria forma sulla catena degli eventi. Anche lo Stato mondiale, questa è la tesi jüngeriana, può convertirsi in una nuova Heimat, qualora, per citare l’acuta Introduzione al saggio a firma di Quirino Principe, “l’individuo, in un mondo privo di forme simboliche, ne produca di nuove, privilegiando, rispetto all’organizzazione e all’ordine la libertà””.

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Michele De Feudis

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