Brexit e rimostranze lealiste, cresce la tensione nell’Irlanda del Nord

Gli effetti del negoziato europeo sulla situazione dell'Ulster: incidenti e scontri tra gli "arancioni" contrari allo spostamento doganale

C’è uno spettro che si aggira nelle sei contee britanniche della storica regione dell’Ulster: negli ultimi mesi infatti, il livello dello scontro sembra nuovamente essersi pericolosamente alzato.

In effetti, il protocollo firmato dal premier britannico Boris Johnson d’intesa con l’Ue, per proteggere gli accordi di pace del 1998 (la nuova amministrazione americana, che ha caldeggiato fortemente il protocollo, si è detta intenzionata a voler difendere gli accordi ad ogni costo) ha sancito lo spostamento  del confine doganale sul mare, al largo delle coste di Belfast, così da scongiurare il ritorno di un confine “duro” tra l’Irlanda del Nord e l’Eire.

Per gli oltranzisti unionisti però, tutto questo rappresenta un momento di discontinuità con la “madrepatria”, una resa all’idea che l’Irlanda del Nord debba essere abbandonata a sé stessa, separata dal resto del Regno, al primo passo verso la futura riunificazione dell’isola: e così, nella comunità lealista in fermento, sono ricominciate le consuete sfilate paramilitari e le minacce ai membri dell’altra comunità, in particolare agli addetti ai controlli portuali.

Il 3 marzo, il Consiglio delle Comunità Lealiste, fondato nel 2015 in rappresentanza delle formazioni paramilitari “filo britanniche”, quali la Uvf (Ulster Volunteer Force), l’Uda (Ulster Defence Association) e il Red Hand Commando, aveva inviato una lettera a Boris Johnson per informarlo di aver ritirato il proprio appoggio all’Accordo del Venerdì Santo, dichiarando che la decisione del Governo britannico minava alla base la scelta di eliminare l’uso della violenza come strumento di lotta politica, “mettendo in discussione le fondamenta del cessate-il fuoco deciso nel 1994 dal Combined Loyalist Military Command”.

E così, alla viglia del centocinquesimo anniversario della Rivolta di Pasqua del 1916, evento fondativo della moderna Irlanda e a ventitré anni dall’accordo di pace del 10 aprile 1998, le precedenti notti tra venerdì e domenica hanno visto diversi tumulti per le strade; tumulti cominciati a Belfast, nell’area lealista di Sandy Row, dove numerosi manifestanti hanno divelto tombini e lanciato mattoni.

Nel contempo, alcuni disordini erano scoppiati anche a Derry, per un totale di 27 agenti feriti (15 a Belfast e 12 a Derry). Sabato, invece, la rivolta si era spostata in periferia, a Newtonabbey (nei dintorni di Belfast) e a Carrickfergus (nella contea di Antrim), dove è proseguita anche domenica, sebbene con minore intensità, nella stessa giornata in cui, sempre a Derry, nell’area unionista di Waterside ci sono stati altri incidenti, questa volta senza feriti.

Il principale motivo di preoccupazione delle autorità resta comunque il fatto che alle sommosse di Derry abbia partecipato un larghissimo numero di giovani, tra i 12 e i 18 anni: i giovani, in buona parte sobillati da esponenti e da bloggers del mondo paramilitare lealista si sentono, come del resto rispettiva comunità nazionale, legittimati a reagire all’insicurezza del momento, ricevendo supporto anche dalla retorica del DUP (Partito Democratico Unionista, che dell’Assemblea di Stormont ha la maggioranza relativa dei seggi) il quale, per recuperare consensi, si scaglia contro quel protocollo, che pure aveva contribuito a negoziare, redigere e firmare, chiedendone la revisione e bollandolo come una minaccia per i diritti e l’identità.

Tra gli stessi  esponenti della galassia unionista intanto, si sono però anche moltiplicate le voci che invitano alla mitigazione, tra le quali lo stesso primo ministro Arlene Foster (Dup), che ha persino fatto un accorato appello ai genitori, invitandoli a fare la loro parte e a proteggere i figli; lodevole intento che però rischia di macchiarsi quantomeno di ipocrisia, visto che all’incirca un mese fa, dopo l’invio della missiva del Consiglio a Londra, la Foster, il suo vice Nigel Dodds e un membro di Westminster, Gavin Robinson avrebbero incontrato e lungamente discusso con importanti esponenti dell’Uvf, Uda e Red Hand Commando.

In tutto questo però, la comunità cattolico-repubblicana non si sente affatto protetta e da più parti sono arrivate profonde critiche per il “doppiopesismo” delle forze dell’ordine: l’evento clou degli ultimi mesi è stato l’arresto di Mark Sykes, che aveva posto alcune corone di fiori, assieme a pochi altri parenti delle vittime, in memoria dell’attentato lealista di fronte al negozio di scommesse di Sean Graham, il 5 febbraio 1992, in cui persero la vita cinque persone; la polizia è subito intervenuta, disperdendo i manifestanti e ha poi arrestato Sykes ma le pesanti critiche di fronte a questa operazione, per poco non hanno spinto il capo della polizia, Symon Byrne, alle dimissioni.

Appare chiaro, insomma, nel Nord dell’Isola d’Irlanda in questi ultimi tempi non si stia respirando un bel clima: il disorientamento, le storiche differenze mai sopite moltiplicano alcuni segnali inquietanti, che sembrano riportare indietro le lancette dell’orologio di parecchi lustri. Soltanto una soluzione politica, l’ennesima, potrà evitare una pericolosa deriva: serve intervenire in fretta, e in maniera mirata ed equilibrata, perché altrimenti il fronte nordirlandese potrebbe tornare ad essere il più caldo d’Europa. E non è questo il momento migliore.

Lorenzo Proietti

Lorenzo Proietti su Barbadillo.it

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