Luciano Violante: “L’identità la ridefiniamo attraverso il nostro nemico”

Intervista a tutto campo al presidente emerito della Camera, in libreria con "Insegna Creonte" (Il Mulino). Nel saggio racconta l'errore politico e l'arroganza dei leader

Luciano Violante e il saggio "Insegna Creonte"

Luciano Violante

Chi fa politica a lungo rischia di considerarsi insostituibile: anche io scivolavo inconsapevolmente nell’errore” scrive Luciano Violante nell’introduzione del suo “Insegna Creonte”, manuale contemporaneo del buon governante.

Non a caso nel libro si aggira uno spettro: Machiavelli. L’intellettuale fiorentino costruì intorno all’errore di Cesare Borgia riflessioni sul potere che restano un paradigma di analisi politica, del rapporto tra forza e astuzia, tra fine e mezzo in cui s’incunea l’errore. Sull’errore è costruito il libro di Luciano Violante. L’errore è di Creonte, sovrano di Tebe alle prese con una scelta machiavelliana: seppellire Polinice rispondendo alla legge della forza e del fine oppure lasciarlo insepolto come gli impone l’etica pre-politica di Antigone (cui potrebbe far da stampella moderna Tommaso Moro, altro spettro del saggio di Violante). Da qui una serie di riflessioni che coinvolgono una folla di personaggi da Napoleone a Tocqueville, da De Gasperi a Biden , da Renzi a Salvini, da Aldo Moro a Craxi, da Bush a Orban. Ognuno alle prese con i propri errori o il proprio coraggio: una analisi spietata e attenta, talvolta ironica, sul potere, a metà tra l’esercizio del dubbio shakespeariano e la dialettica hegeliana.  La tragedia di Sofocle, vero e proprio archetipo del dibattito tra giusnaturalismo e giuspositivismo, può considerarsi un’opera aperta per cui la scelta tra Díkē e Nomòs è lasciata allo spettatore.

Luciano Violante prova in “Insegna Creonte” a farsi spettatore attivo “Scherzando, mi ripeto che cerco di dare buoni consigli non potendo più dare cattivi esempi (per citare una bella canzone)”. E cala il dilemma sofocleo nel nostro tempo facendo di Creonte un pretesto per comprendere se esista un modo di comporre il dualismo tra legge e giustizia e se esista un modo per evitare l’errore in politica.

Nel libro afferma “Antigone è la tragedia di un potere che si autodistrugge”. Azzardo: i due protagonisti, postisi sul crinale delle emozioni hanno adottato una strategia sbagliata, Creonte si serve della paura e Antigone è incapsulata nel fatto privato. E’ così?

“Creonte non ha paura. Creonte deve far rispettare la legge della città. Si trova di fronte a un dilemma: dovrebbe dare onori funebri a entrambi i nipoti? Evidentemente no. I grandi onori funebri vanno a chi ha salvato la città, il cadavere dell’altro, che ha mosso le armi contro Tebe, va gettato ai cani. Questa è la legge laica della città. Antigone gli oppone la legge degli dei inferi, perché i corpi dei defunti vanno curati. E’ uno scontro tra due culture: quella conservatrice di Antigone e la cultura moderna di Creonte. Creonte ha ragione, ma gestisce male la sua ragione: è arrogante, apre il conflitto invece di chiuderlo, sottovaluta le ragioni mistiche dall’altra. Antigone ha torto, ma non si smuove e muore  perché non capisce la logica della città. Lei appartiene alla stagione preurbana in cui conta il clust familiare”.

Antigone, pur mangiando, per parafrasare Brecht, il pane cotto nella grotta oscura del potere, mette in pericolo lo Stato?

“Mette in pericolo la tenuta dello Stato, perché a un certo punto Creonte dovrebbe violare una legge della città a beneficio di una nipote. Creonte non può farlo, come si legge da un passaggio di Sofocle. La mia idea è che Creonte è un moderno uomo di governo, laico, difende la legge,  che ha ragione, ma sbaglia a gestire le proprie ragio. Antigone lo sfida: “Uccidimi: e allora?” Quando l’antagonista vanifica la minaccia del dominatore, questi rimane privo di argomenti. Nel gioco tragico del dominato sta la grande forza di Antigone, quella per cui è sempre apparsa come l’eroina. In realtà, é un soggetto eversore che viola le leggi della città per un suo fatto personale”.

Cosa racconta oggi la dinamica, anche poco sofisticata, amico/nemico di Creonte e Antigone?

“Nella tragedia gli antagonisti sono molti: c’è l’uomo e la donna, il vecchio e i giovani, la legge laica e la legge sacra. Sono tante le dialettiche che nascono dalle due figure. Lo stesso Polinice che ha mosso le armi contro la città, è stato frodato dal fratello Eteocle che alla scadenza dell’anno non gli ha ceduto il potere, violando i patti. E la città é stata messa in pericolo proprio da Eteocle, che ha violato il patto stipulato con il fratello. Questa complessità sintetizza molti aspetti dell’esperienza umana del conflitto. C’è un conflitto anche sotterraneo oggi tra le generazioni, perché gli anziani stanno scaricando tutti i debiti sui giovani. Più conflitto di questo? I vecchi come me si sono assicurati nella loro vita con un contesto vivibile i cui costi li pagheranno i giovani”.

Entra nel conflitto pure non aver dato alle nuove generazioni un contesto, non dico ideologico, ma di valori?

“Su questo non concordo. I valori uno se li deve trovare e non devono calare dall’alto. E’ piuttosto una generazione senza maestri. Per una ragione, a mio avviso, chiara. Quando negli anni ’92-’94 i partiti si sono suicidati senza testamento, nel senso che hanno chiuso l’esperienza della comunità politica e hanno salvato i gruppi dirigenti, non hanno lasciato nessuna forma di organizzazione comunitaria, privando l’allora generazione, tra i 18 e i 20 anni, di maestri. Al loro posto sono diventati maestri gli influencer. La differenza non è da poco. Il maestro comunica conoscenza, rispetto e coraggio. L’influencer comunica consumi e mode”.

Niccolò Machiavelli

Ritorniamo al libro. Quanto hanno influito Machiavelli e Tommaso Moro nella sua formazione e nell’idea di “Insegna Creonte”?

“Machiavelli e Moro sono due poli. Il primo è un combattente, come affermo nel libro. Tommaso Moro, che peraltro non è esente da colpe per le violenze e le persecuzioni  contro i protestanti e gli eretici, pone però un altro principio: la persuasione. Preferisco più l’etica della persuasione di Moro che l’etica dell’imposizione di Machiavelli. La persuasione è uno strumento pacificatorio: si riconosce il valore dell’altro. In politica è importante”.

La persuasione non può degenerare in propaganda?

“D’accordo, ma la persuasione presuppone che tu sia disponibile a lasciarti persuadere. Quando abbiamo imparato a fare i comizi nell’antica politica, il punto di partenza era questo: quando c’è un confronto con l’altro, bisogna considerare che è statisticamente impossibile che l’altro abbia sempre torto. “La contrapposizione pregiudiziale nasce negli anni ’80 con Craxi e  dura sino ad oggi, tra alti e bassi : è micidiale perché in democrazia bisogna parlare con l’avversario. C’è una storia che raccontava Umberto Eco e che capitò stranamente anche a me, tre anni fa. A New York prendo un taxi e l’autista è un sikh che mi chiede di dove fossi. Alla mia risposta “Italia”, domanda dove fosse l’Italia e di domanda in domanda chi erano i nemici degli italiani. E’ un esempio del modo che abbiamo di definire l’altro. A me sembra che oggi, a causa di una crisi d’identità che attraversa tutti, siamo portati a ridefinirci attraverso il nemico”.

Ma il governo attuale ha metabolizzato il nemico…

“Nel 1924 Marc Bloch scrisse “I re taumaturghi” in cui racconta che i re per essere tali dovevano guarire dalla scrofolosi. Qui noi abbiamo fatto di Draghi, Letta e Conte dei re taumaturghi. Nessuno si chiede attraverso quali procedure governeranno: si dice che sono bravi perché ci guariranno dalla scrofolosi economica. A questo si aggiunge l’unanimità, che riguarda tutti e tre. Le cose sono connesse: le unanimità sono sempre fatte di autoritarismo e di ipocrisia. Ricordiamo che l’unanimità era un meccanismo tribale germanico in cui si espelleva chi non era d’accordo”.

Giuseppe Conte

Come è accaduto con Giuseppe Conte, che, al netto dei tanti suoi errori, non essendo casta è stato rigurgitato dalla casta stessa? Lei nel libro è stato benevolo con l’ex premier…

“Conte è molto meglio di quello che si pensa”.

Francesco Cossiga, come scrive nel libro, raccontava della “grazia di Stato, quella particolare lungimiranza e autorevolezza che a volte assumono personalità apparentemente modeste, quando ricoprono rilevanti responsabilità istituzionali”. Conte ha avuto la grazia di Stato?

“Per un po’, sì. Conte era un professore di diritto privato e un avvocato di grido, è diventato Presidente del Consiglio e ci ha retto per tre anni con le maggioranze più incredibili. Certo,  ha avuto la grazia di Stato. Quando valuteremo meglio il suo piano, lo metteremo alla luce di quello che è accaduto contemporaneamente negli altri Paesi. Macron è riuscito a fare il solo primo turno delle elezioni, la Germania è stata travolta, della Spagna non parliamo come del Brasile di Bolsonaro, senza dimenticare le parole imbarazzanti del premier inglese o di Trump. Conte si è mosso tra grandi difficoltà e non si è mosso male”.

Matteo Renzi

A proposito di Conte. Matteo Renzi è l’uomo che commette l’errore o l’uomo che fa cadere in errore?

“Renzi è l’uomo che fa le cose a metà. E’ il peggior nemico di se stesso. La sua insofferenza alla mancanza di primato lo porta all’attenzione permanente verso la conquista del primato stesso. Se il governo Draghi  si rivelerà migliore del governo Conte, il giudizio sull’operazione non sarà negativo. Però resta la domanda “Ha avuto un senso tutto questo?” aspettiamo per il giudizio. Pensiamo all’errore drammatico della personalizzazione del referendum costituzionale , nonostante qualcuno di noi gli consigliasse di stare in disparte. Quel referendum replicò la dinamica del referendum precedente del centrodestra. Lì si votò contro Berlusconi, qui contro Renzi: non si è mai votato sulle regole”.

Lei scrive “Le istituzioni sono il luogo dove si costruisce la comunità nazionale”. Viene a mancare questo? Saranno errori politici che sconteremo più avanti?

“Sì, sono gravi errori politici. Bisogna anche lavorare sulla speranza: lo affermo da credente non cattolico. Speranza e fiducia sono dati di fondo della vita di una comunità e ci vuole qualcuno che le metta in campo. Karl Marx parlava di utopie realistiche, quelle delle impossibilità relative e delle emancipazioni assolute. La grande utopia democratica è questa qui. I passi avanti che il mondo ha fatto negli ultimi anni erano prevedibili? Ci sono stati uomini e donne che hanno posto la linea dell’orizzonte al di là della visibilità immediata. Dedico nel libro qualche rigo al coraggio. Ecco: oggi c’è poco coraggio. Il principio di convenienza prevale su quello di verità e di sfida”.

Gli anni 1989-1994 sono per lei cruciali per leggere l’Italia e il mondo. E traccia due bellissimi ritratti. Uno è di Aldo Moro. Leonardo Sciascia raccontava l’affaire Moro come il dramma dell’assenza nella DC e come fatto letterario.

“Sciascia ed io eravamo insieme in Commissione Moro. Sciascia, attento e taciturno, aveva un punto di vista iniziale, il complotto. Certamente un pezzo di complotto in quella vicenda c’è stato, non tanto nel sequestro quanto nella conduzione della trattativa. Per quanto mi riguarda pensavo che, levato di mezzo Moro, si faceva libero un posto e veniva meno una pesante ipoteca sul futuro della Democrazia Cristiana e del Paese, futuro non gradito a tanti nemmeno a livello internazionale. Quella morte risolveva drammaticamente molti problemi, politici e personali”.

Bettino Craxi

E Bettino Craxi?

“Craxi ha concepito la politica senza limiti. Ma non ebbe  la determinazione necessaria per portare avanti le sue idee. Per esempio, non ha portato avanti la riforma costituzionale che era un suo obiettivo. Inoltre, ho l’impressione che a un certo punto per Craxi il puro comando fosse la soluzione dei problemi”.

 

Un tema di “Insegna Creonte” è il valore della rappresentanza politica. E’ auspicabile il vincolo di mandato?

“E’ una sciocchezza. I primi ad andare via sarebbero i 5Stelle che lo vogliono, visto che hanno fatto il contrario di quanto promesso. E poi chi lo interpreta il vincolo di mandato: il capo? La “transumanza” è una questione complicata: si cambia partito se non c’è un progetto”.

E l’elettorato?

“Le rappresentanze politiche oggi stanno nel palazzo.  C’è una domanda politica per un partito come Italia Viva? Quanti partiti si sono costituiti solo nell’arco parlamentare, senza un rapporto con le domande dei cittadini? Per i  5Stelle è diverso: hanno raccolto istanze che erano nella società e le hanno utilizzate purtroppo male; anche la Lega risponde a domande della società. Oltre non ci sono altre forze politiche che lo fanno, mi pare”.

 

Luciano Violante alla Camera

Nemmeno il Pd? Lei sintetizza gli ultimi anni del partito con un’espressione pregnante “torsioni nominalistiche”.

“No, nemmeno il Pd. Questa Sinistra ha commesso l’errore di statalizzarsi e di allontanarsi dalla società. Ha gestito molto bene le opportunità di governo e ha perso la capacità di rappresentare il Paese”.

E’ un errore insistere sullo ius soli in questo momento? E sul voto ai sedicenni?

“Lo ius soli non è un errore, ma un valore. Il diritto di voto ai sedicenni penso sia opportuno per le amministrative, perché a quell’età i ragazzi usano la città ed è giusto che si esprimano sulla città. Sul piano nazionale, francamente, è sbagliato”.

Il libro è pieno di parole che diventano categorie di analisi. Ne estrapolo due: reputazione e controfigura.

“La reputazione nella democrazia dei mezzi di comunicazione è un diritto fondamentale, è un diritto di libertà perché attiene alla mia persona e alla mia credibilità”.

Controfigura è un giudizio sulla classe politica?

“Lo usò Scelba nella prima Tribuna politica della Rai. Disse: “Noi politici siamo brutti, parliamo male e voi siete abituati ad altro. Ma la politica è una cosa seria. Volete mica che vi mandiamo delle controfigure?”. Oggi forse, c’é qualche controfigura di troppo”.

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Luciano Violante, già professore di Diritto e procedura penale, magistrato e parlamentare, presidente della Commissione antimafia (1992-1994) e presidente della Camera dei deputati (1996-2001), dal 2019 è Presidente della Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine. Fra i suoi libri più recenti «Politica e menzogna» (2013), «Il dovere di avere doveri» (2014), «Democrazie senza memoria» (2017), tutti pubblicati da Einaudi, e «Colpire per primi. La lotta alla mafia spiegata ai giovani» (Solferino, 2019). Con il Mulino ha pubblicato «Giustizia e mito» (con M. Cartabia, 2018).

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Daniela Sessa

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