Il commento. Cavaliere “sequestrato” favorirà una classe dirigente senza radici

berlusconiLa condanna a quattro anni di Silvio Berlusconi è una di quelle notizie fuori dal comune. Punto primo, perché è un fatto. Dopo vent’anni di virtualità politico-elettorale, appunto,  un fatto: concreto, vero, tangibile quanto l’avocazione da parte dello Stato del “diritto al diritto”. Tradotto: o così, cioè la fine del berlusconismo, o la rivolta di popolo, la trasformazione dell’esercito di Silvio in una zapparoniana milizia politica. Qui si torna coi piedi per terra, dalla tv alla realtà del meridiano zero, oltre il quale è lecito domandarsi: di che pasta è fatto?

Punto secondo: perché la sentenza ci dice tanto del sistema che verrà. Il giudice a Berlino esiste, sì, ma ci credono giusto i Travaglio, coloro che si limitano a guardare al verdetto come lo stolto il dito. Qui prodest, allora? Giova certamente ad una classe politica asettica, per bene, trasversalmente montiana: alla classe politica del futuro, senza radici nichilistico-utopiche, senza sindacati a cui dover rispondere, sacrificabile di anno in anno, se non di mese in mese. Una classe politica priva di “anomalie”, siano esse nazionali, imprenditoriali, mediatiche o populistiche. Una classe politica renziana, capace di fabbricare emozionalmente leader seriali ad ogni tornata elettorale. Giova insomma ad una classe dirigente definitivamente americanizzata, un po’ liberal, un po’ conservatrice.

Il buon Cav assomiglia così ad un vizioso Aldo Moro virtuale: ad un catto-libertino sequestrato per porre fine ad un compromesso storico rinnovato nel disperato tentativo di salvare una tradizione politica, quella della prima repubblica, quella del consociativismo, massacrata da sé stessa, dalla sua incapacità nel controbattere lo svuotamento di quelle prerogative tanto odiate dal sistema globale.

Perdono i Berlusconi, perdono i D’Alema, esempi ultimi, esempi da Kali-yuga sia chiaro, di una politica popolare troppo debole e vigliacca per uscire viva. Vincono gli amici di Soros, e tutti quelli che da tempo lavorano al definitivo allineamento anglosassone del nostro paese.

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Giacomo Petrella

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