SuperMario/35. Se Draghi ricorre al coefficiente del fascistissimo Gini per spiegare la lotta alle disuguaglianze

L’Italia, all’apparenza, non sta particolarmente male, con un coefficiente pari a 35,9 (nel 2017). In realtà siamo uno dei Paesi europei con le maggiori diseguaglianze

Corrado Gini

Il coefficiente di Gini, da Corrado Gini, fascistissimo fondatore dell’Istat su mandato di Benito Mussolini. Con l’arrivo di Mario Draghi alla presidenza del consiglio bisognerà abituarsi a termini nuovi. D’altronde se ci si è rassegnati alle convergenze parallele, ai terzi forni ed ai governi balneari, ci si può assuefare al codice che misura le disuguaglianze economiche e sociali. In pratica il coefficiente sarebbe pari a zero se tutte le famiglie avessero il medesimo reddito e la stessa ricchezza disponibile. E sarebbe pari a 100 se una sola famiglia avesse a disposizione l’intera ricchezza nazionale.

L’Italia, all’apparenza, non sta particolarmente male, con un coefficiente pari a 35,9 (nel 2017). In realtà siamo uno dei Paesi europei con le maggiori diseguaglianze. La Danimarca era a 28,7, la Norvegia a 27.

È però prevedibile che la pessima gestione dell’emergenza Covid abbia fatto peggiorare, e non di poco, la situazione italiana. I ricchi sono diventati più ricchi ed i poveri si sono impoveriti.

Draghi, ovviamente, si è impegnato a ridurre il coefficiente. Ma in realtà la differenza rispetto al passato è solo nell’utilizzo di termini tecnici. Tutti i governi hanno iniziato l’attività giurando che avrebbero ridotto le disparità, salvo poi arrivare a risultati diametralmente opposti.

Inevitabile, d’altronde, in un Paese dove l’ascensore sociale funziona da anni solo in discesa; dove le opportunità di crescita sociale sono legate all’emigrazione; dove la precarietà è diventata la regola; dove le start up sono sistematicamente ignorate dagli investitori; dove la mortalità tra le nuove imprese è elevatissima; dove la stragrande maggioranza dei laureati è impegnata in mansioni molto al di sotto di quelle legate al titolo di studio.

Le politiche immaginate per ridistribuire la ricchezza si sono rivelate fallimentari perché sono servite solo ad impoverire il ceto medio, proletarizzandolo, invece di far crescere la ricchezza delle classi più deboli.

E le prospettive non sono per nulla incoraggianti. Le indicazioni di Draghi sulle aziende decotte da lasciar morire significano centinaia di migliaia di nuovi disoccupati, senza prospettive che non siano il reddito di cittadinanza a vita. Un esercito di nuovi poveri inchiodati sul divano davanti alla tv, insieme ai renitenti alla vanga privi di qualsiasi volontà di trovare un’occupazione.

Augusto Grandi

Augusto Grandi su Barbadillo.it

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