Brigitte Bardot salva gli orsi del Trentino: “La mia passione animalista”

Ripubblichiamo l'intervista alla attrice francese di Maurizio Cabona sul Giornale

Brigitte Bardot

La questione degli orsi detenuti in Trentino torna a far discutere. Sì perché, dopo il blitz animalista che, pochi giorni fa, aveva visto alcuni attivisti entrare di soppiatto nel centro del Casteller che ospita M49, M57 e Dj3, i tre orsi imprigionati perchè ritenuti problematici, ecco un fatto nuovo che, per certi versi inaspettato, potrebbe significare un nuovo trasferimento dei plantigradi che potrebbero finire addirittura in Bulgaria. Il presidente della Provincia di Trento Maurizio Fugatti, infatti, si è dimostrato disponibile a considerare la proposta lanciata dalla celebre attrice e animalista Brigitte Bardot che, con la sua omonima fondazione, si è offerta a prendere in carico gli animali rinchiusi al Casteller per ospitarli nel suo “parco orsi” che, insieme all’associazione austriaca Vier Pfoten, gestisce in Bulgaria.

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Qui ripubblichiamo l’intervista di Maurizio Cabona alla celebre attrice francese, da Il Giornale del  17 ottobre 2003
da Parigi
Brigitte Bardot con Macron e signora

Brigitte Bardot ha cambiato molte cose: innanzitutto il cinema e i costumi, fino a essere identificata con Marianne, simbolo della Francia, sui francobolli e sui busti della République ai tempi di de Gaulle; poi ha
costituito la Fondation Bardot – sede al 45 di Rue Vineuse, nel XVI arrondissement di Parigi – per la protezione degli animali. Uguali a quelli di un’azienda, salvo qualche cane in giro per le stanze, gli uffici
sono in una via silenziosa ed elegante, presso Rue de la Pompe, che ha visto la gioventù di B.B., l’acronimo più famoso del ’900, fino a dare il titolo del primo volume delle memorie (Mi chiamo B.B., Bompiani, 1997), seguito da Le Carré de Pluton (Grasset, 1999).
Simone de Beauvoir scriveva di lei, signora Bardot: «Gentile, generosa, in ogni film ama gli animali». Inizialmente è stata una scelta sua, signora, o dello sceneggiatore?
«Non ho conosciuto la Beauvoir, che su di me ha scritto tante cose più o meno esatte. Sì, c’erano animali nei miei film, però per caso. Ma per qualcuno il caso non esiste».
Ciò che la Beauvoir notava nel 1960 si conferma nel 1962, quando in tv lei, signora Bardot, auspica meno violenza nei mattatoi.
«Sì, nel 1962 mi invita un prestigioso programma a parlare, lacrime agli occhi, del calvario degli animali nei macelli rituali, del modo inumano di sgozzarli coscienti, uno dopo l’altro in un lago di sangue, della brutalità del trascinarli verso una fine atroce. A ventotto anni non avevo esperienza, ma una profonda rivolta nel cuore. È stata poi votata la legge perché gli animali – prima dello sgozzamento – passassero in un corridoio per la narcosi da choc elettrico, pur restando vivi per il dissanguamento. È stata la mia prima, amara vittoria».
Restiamo alle scrittrici. Marguerite Yourcenar non voleva ironie sul fatto che lei, signora Brigitte, era dalla parte degli animali. La Yourcenar diverrà poi socia onoraria della sua Fondazione. Come la ricorda?
«Come una donna ammirevole, la prima all’Académie française, la prima “immortale”. Voleva conoscermi per il suo ingresso all’Académie. Io non ero a Parigi, così lei è venuta alla Madrague, a Saint-Tropez, in una sera d’inverno».

Continui.
«Ero appena rientrata: avevo portato fuori i cani. E lei è arrivata sotto la pioggia con la segretaria. Eravamo congelate. Non c’era nulla di pronto, perché la visita era una sorpresa. Ci siamo sedute davanti al camino – lei fradicia, io infangata – a bere champagne e a parlare delle nostre vite e del nostro amore per gli animali. Lei m’ha detto di essere vegetariana per “non digerire un’agonia”. Quando viaggiava, nei ristoranti ordinava legumi senza carne. E la prendevano per matta!».
È vegetariana anche lei, signora Bardot?
«Sì, con la differenza che io quasi non viaggio».
Mi parli ancora della Yourcenar.
«Mi mandò i suoi libri che non avevo letto. Poi ci siamo scritte spesso. Mi sono sentita orfana quando lei è morta: col suo talento, con la sua immensa notorietà, arginava le ironie fuori luogo e sosteneva la mia lotta».
La Fondazione ha un’eco fra la gente di cinema?
«Minima. La gente di cinema pensa soprattutto alla carriera, al proprio ego, alla fama. Ma ci sono eccezioni. Fra gli aderenti alla Fondazione sono lieta di avere Jean-Paul Belmondo, Annie Cordy, Alain Delon, Robert Hossein, Pascal Savran, Rika Zorai, Mylène Demongeot, Alain Barrière e Michel Serrault».
Bambi e La carica dei 101 della Disney; Le radici del cielo di John Huston, tratto dal romanzo di Romain Gary; Africa addio di Gualtiero Jacopetti; Gorilla nella nebbia di Michael Apted denunciano le stragi di animali: lei ha mai pensato a un film analogo? 
«Come può farmi una domanda simile? Il mio immenso lavoro è migliorare la triste condizione animale nell’implacabile società dei consumi, non produrre o scrivere film: a ciascuno il suo mestiere. Ciò detto, film come Gorilla nella nebbia sono meravigliosi e importanti sostegni alla nostra lotta, oltre che un omaggio formidabile all’ammirevole Dian Fossey».
Ci sono altri film così, come quello di James Hill…
«…Il superbo Nata libera, storia dell’amore di Joy Adamson e delle sue leonesse. Lei e la Fossey sono state uccise dai bracconieri per aver dedicato la vita ai gorilla e ai leoni, esempi indimenticabili di abnegazione e di amore. Andrebbero canonizzate!».
Nella Traversata di Parigi di Autant-Lara e nell’Albero degli zoccoli di Olmi si sgozza un maiale; in Apocalypse Now di Coppola si decapita un bufalo. Ora però si premette sempre che «nessun animale ha sofferto durante le riprese». Lei ci crede?
«È atroce! Nel recente Una rondine fa primavera (di Christian Carion, ndr), con Michel Serrault, l’eroina sgozza un maiale e si vanta d’averlo fatto sul serio! I film con massacri d’animali, fossero anche tutto un trucco, mi disgustano!!!».
La carenza di macelli regolari moltiplica i macelli selvaggi…
«Da tempo lotto contro gli sgozzamenti selvaggi dell’Aid-el-Kebir (festa islamica, Ndr). Ciò m’è valso terrificanti processi che ho perduto, pagando cifre astronomiche. Ma non cedo, perché mi agghiaccia questa tradizione musulmana che ci viene imposta. Da oltre un ventennio discuto con gli imam di Francia, Boubakar padre e figlio, per modificare un uso medievale, che il Corano non impone: esso vuole che l’animale sia vivo, non che sia cosciente. Perciò si potrebbe narcotizzarlo elettricamente…».
… Ma?
«Ogni capofamiglia vuole sgozzare personalmente la sua pecora, dovunque e comunque. È orribile!».
Che fare allora?
«Non ci sono oggi abbastanza macelli moderni per tante pecore. Ciò conduce alla strage cruenta, abominevole, disumana. Mi vengono i brividi a parlarne».
E a scriverne?
«In Un Cri dans le silence (Editions du Rocher, 2003) ci ho provato e così ora ho un altro processo. Ma “chi tace acconsente”. Perciò dico ciò che molti pensano in silenzio».
Ogni estate decine di migliaia di animali vengono abbandonati. Che cosa propone? 
«Ho chiesto al ministro francese dell’Agricoltura, Gaymard, di occuparsene urgentemente, proibendo la vendita da parte di privati con inserzioni sui giornali, riducendo le riproduzioni presso gli allevamenti, stabilendo quote fisse per ogni razza di cani, sorvegliando strettamente il traffico di cuccioli dall’Est, che finiscono malati o morti nei negozi, dove li vendono per poco con certificati compiacenti».
Basterà?
«Chi prende un cane o un gatto dovrebbe sapere che dovrà condividere la sua vita con l’animale per quindici anni, come se fosse un membro della famiglia! Poi bisogna indurre ad adottare un animale in un rifugio, anziché comprarli carissimi e favorire così la riproduzione e il commercio di queste povere bestie. Quelle abbandonate, che languono nei rifugi, subiscono presto l’eutanasia, se non adottate subito. Tocca a ognuno di noi la responsabilità di non abbandonare mai il proprio cane per pochi giorni di vacanza. Un atto tanto repellente è la peggior viltà, la peggior ignominia».
Nel 1999, a Gorizia, lei denunciava le crudeli condizioni del trasporto
degli animali. Risultato?

«Per me Gorizia resta una visione infernale, un incubo. L’attuale tragedia del “Como Express”, vagante nel Golfo degli Emirati arabi, rifiutato per la scabbia fra le sue cinquantasettemila pecore – seimila delle quali già morte di fatica, calore, fame e sete – conferma solo l’orrore del trasporto di animali vivi da macellare. Uno scandalo».
Alternative?
«L’Unione Europea dia l’esempio al mondo. Abolisca i trasporti della vergogna. Conto sulla competenza di Berlusconi, attuale presidente, per l’appoggio a quest’indispensabile presa di posizione».
Quali sono le maggiori difficoltà per la Fondazione Bardot?
«Indifferenza, disprezzo, inerzia, ironia, menefreghismo. Servono anni per convincere, per rendere consapevoli. In trent’anni non è cambiato molto in Francia, salvo la sterilizzazione di seimila gatti randagi, eppure ci battiamo senza risparmio».
E all’estero?
«In Bulgaria siamo riusciti a far vietare gli orsi ballerini e abbiamo un santuario dove li raccogliamo, dopo anni di martirio, e dove possono ritrovare serenità. In Romania abbiamo cominciato una straordinaria campagna di sterilizzazione di duecentomila cani randagi a Bucarest. In capo a un anno, però, il governo è cambiato e il nuovo sindaco ha fatto sopprimere cani e gatti castrati, sterilizzati e curati da noi: un colpo durissimo, moralmente e finanziariamente».
Altrove?
«Nell’ex Jugoslavia facciamo ora la stessa cosa, sperando che finisca meglio. Lavoriamo poi col Senegal (orici), il Congo (scimmie), la Thailandia (elefanti), il Perù, dove le vigogne saranno tosate e non più uccise».
Bilancio?
«Tante piccole vittorie per molte energie spese. Ma non abbiamo ancora vinto una grande battaglia e ciò mi addolora, perché il tempo passa e io mi affatico. Vedrò un giorno il risultato di aver donato la mia esistenza? In attesa, vivo di speranza e penso che il meglio debba ancora venire».
Grazie e auguri, signora Bardot.

Maurizio Cabona

Maurizio Cabona su Barbadillo.it

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