Brunetta manganellato per l’altezza nel silenzio delle Vestali del politicamente corretto

Le battute sul neoministro non sono degne di reprimenda perché è di centrodestra

Renato Brunetta

Non passa giorno senza che le Vestali del politicamente corretto non entrino in azione per denunciare atti discriminatori, veri o presunti, ai danni di qualche minoranza.  Basta un commento sopra le righe o un post non in linea con i canoni stabiliti dalla nuova inquisizione, per essere scaraventati nel tritacarne social-mediatico. Il meccanismo riprovatorio, ovviamente, presenta diverse sfumature. La gravità della pena comminata varia, infatti, in funzione dell’imputato e della vittima. In molti casi, poi, il tribunale del politically correct non s’indigna e non fomenta alcuna riprovazione.  Non solo, in non poche circostanze, i suoi estimatori usano le stesse armi dei reprobi che dicono di combattere. In queste ore, ad esempio, spopolano i commenti beceri all’indirizzo di Renato Brunetta, il neo ministro del governo Draghi, reo di essere  basso. Sulla sua statura, i commenti di cattivo gusto si susseguono impunemente, senza che i campioni dei diritti trovino nulla da ridire. Eppure, il “Body  Shaming”, ovvero la pratica con la quale una persona viene ripetutamente insultata per la diversità fisica, fino a farla vergognare del proprio corpo, è a tutti gli effetti una forma di discriminazione.  Una forma di discriminazione che, senza scomodare Lombroso, rasenta il razzismo. Ma, con tutta evidenza, il razzismo dei paladini del politicamente corretto è come le leggi di cui parlava Giolitti: “quelle che si applicano con i nemici e s’interpretano con gli amici”. 

Mirko Tassone

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