L’analisi. Rosario Crocetta? Indietro tutta: rivoluzione fa rima con trasformismo

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E dire che di argomenti per parlare di rivoluzione ce ne stavano, e pure tanti. Sembra, però, essere arrivata al capolinea la spinta propulsiva che ha aperto l’esperienza presidenziale di Rosario Crocetta in Sicilia. Partendo proprio dalla sua elezione, che con il 30,5% dei voti utili ha messo fine alla parantesi storica del cuffarismo prima e del lombardismo poi. Un risultato a suo modo straordinario, che ha visto la sinistra conquistare per la prima volta Palazzo d’Orleans, grazie anche a un dato sull’astensione che non ha precedenti nell’isola. Complice di questa vittoria c’è pure  l’affermazione, del tutto inattesa, del M5S; e la spaccatura del centrodestra, diviso con due candidati presidente: Nello Musumeci e Gianfranco Micciché.

Una vittoria insperata, ma anche dal sapore di rivincita tutta interna all’area democratica. Se Rosario Crocetta, infatti, non avesse praticamente imposto la propria candidatura ad un Pd ancora disorientato dall’esperienza amministrativa, al limite del ribaltonismo, al fianco di Raffaele Lombardo, la sinistra isolana avrebbe brindato all’ennesimo quinquennio all’opposizione.

Con Crocetta arriva, dunque, la fantasia al potere: la Rivoluzione. Il cantautore Franco Battiato, quello del centro di gravità permanente, è assessore al turismo e “alle geometrie esistenziali”. Con lui arriva anche Antonino Zichichi, fisico siculo-svizzero, convinto che le Madonie siano una prosecuzione a meridione delle Alpi elvetiche, un luogo su cui far fiorire centrali nucleari di nuova generazione, senza il consenso, però, della coalizione di centrosinistra.

Ma quella dei due big presi a prestito alla politica è solo una parentesi. Il loro incarico è presto ritirato. Il motivo è tra i meno rivoluzionari del bestiario crocettiano: assenteismo. Al posto di Battiato, arriva la bergamasca di Michela Stancheris, ovvero la segretaria personale di Rosario Crocetta. Una scelta d’istinto che – come ha commentato  l’ex governatore Lombardo- “se l’avessi fatto io mi avrebbero massacrato”.

La Rivoluzione continua con il licenziamento in tronco dei 21 giornalisti, inquadrati tutti con contratti da capo-redattore, che componevano l’Ufficio Stampa regionale. Una notizia di sicuro impatto mediatico, che ha sollevato però le forti reazioni – forse non messe in conto- di AssoStampa e Odg. Da lì comincia un tira-e-molla anche divertente che porta Crocetta ad annunciare la nascita di un nuovo ufficio stampa, dai contratti co.co.co., che ancora però, dopo otto mesi, è vuoto.

Ma i torcicollo presidenziali sono ben altri. Più forte è l’annuncio è più s’infiamma la cervicale. Con la revoca della revoca (che non è un gioco di parole) delle autorizzazioni per il lavori del Muos, la politica degli annunci assume un imbarazzo internazionale. E già, dopo tanti proclami, proprio il 10 Luglio, nella sua Gela, commemorando lo sbarco alleato, si accorge che gli Usa, con l’ambasciatore David Thorne in testa, si sono non poco risentiti rispetto alle sue decisioni. Gli americani però non urlano, lasciano semplicemente la sala. Un gesto silenzioso che, come rievoca Pietrangelo Buttafuoco su Il Foglio, avrà sicuramente turbato le notti e le aspirazione del Presidente più comunista della storia isolana, fino ad una brusca retromarcia che lo ha destituito di ogni credibilità politica.

C’è poi quell’altra Rivoluzione, quella dell’abolizione delle Province. Un provvedimento che nasce per compiacere il conduttore Rai Massimo Giletti e i grillini del cosidetto “Modello Sicilia”. Anche lì, però, Crocetta ci lascia lo zampino. Mentre scompaiono le province isolane, al loro posto vengono previsti nove liberi consorzi tra comuni, tanti quanti sono gli enti prossimi alla dismissione. Peccato però che le stesse provincie in Sicilia fossero già, sin dalla loro nascita, dei liberi consorzi. Un annuncio palindromo che rischia però di finire sotto la lente d’ingrandimento della Consulta. Non solo perché le prossime entità previste da Crocetta non prevedranno l’elezione democratica dei loro vertici, ma anche perché, per abolire le Province, non basta un presidente rivoluzionario, ma una legge costituzionale e un iter parlamentare che non ammette annunci.

Resta aperta poi un’altra Rivoluzione, quella civile di Antonio Ingroia. La stessa che ha avuto due risultati infausti: la mancata vittoria del centrosinistra alle scorse politiche e l’offuscamento del ruolo della magistratura, per l’utilizzo, risultato troppo politico, delle proprie inchieste contro Berlusconi. E se da un lato il plenum del Csm sospende lo stesso Ingroia per le assenze dalla sede di Aosta, Crocetta recupera l’ormai ex pm con la nomina a capo della Sicilia e-Servizi,  l’spa che  si occupa di realizzazione di infrastrutture informatiche e telematiche (sic!).

C’è poi l’ultimo tassello della Rivoluzione crocettiana da mettere a segno: il Megafono, il movimento politico che fa capo ai desiderata del presidente della Regione. O forse sarebbe meglio chiamarlo corrente. Peccato, però, che il Pd non desidera abbeverarsi alle sue acque, scongiurando in tutti i modi l’assalto di Crocetta alla segreteria nazionale democratica. Forse, perché l’etichetta del Megafono sembra assai lontana dai dettami dell’ ortodossia ulivista. Si guardi al caso Catania: su cinque eletti al consiglio comunale, ben quattro hanno militato nel Mpa. Che dire poi del curriculum di Marco Consoli, il vice del sindaco Enzo Bianco, scelto tra le fila del Megafono. Una personalità per anni ritenuta come l’enfant prodige della scuderia di Raffaele Lombardo. Insomma, Crocetta non è sicuramente Mao. E se la sua Rivoluzione ha una cultura dietro, è certamente quella del trasformismo e dell’annuncio uterino in salsa isolana.

Fernando Massimo Adonia

Fernando Massimo Adonia su Barbadillo.it

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