Il commento. Prima dei “costruttori”, quando il “Roma” evocò “i sette puttani”

Il trasformismo nel giornalismo del '900: prima di Renzi e Mastella, una "vecchia abitudine" stroncata da Alberto Giovannini

Voltagabbana

Mentre scrivo, non sappiamo ancora come andrà a finire la nuova rappresentazione teatrale inscenata da Matteo Renzi: sceneggiata fiorentina, pochade alla Feydeau, farsa alla Scarpetta, le giravolte di questo leader in caduta libera si giocano comunque sulla pelle degli italiani. Ho appena sentito che il capogruppo alla Camera di Italia Viva, Faraone, ha dichiarato la disponibilità del suo partito ad appoggiare nuovamente il presidente Conte, se questi “scioglierà alcuni nodi”. Nella stessa trasmissione radio, ho potuto ascoltare il rammarico di Mastella, punto di riferimento dei cosiddetti “responsabili”, che in tal modo vedevano vanificata la loro iniziativa in soccorso dello stesso Conte.

 

Domenico Scilipoti

Niente di nuovo sotto il sole? E’ rimasto alla storia un editoriale, dal titolo “I sette puttani”, pubblicato sul Roma il 13 settembre 1961, con il quale il direttore, Alberto Giovannini, lanciò un violento attacco contro sette consiglieri del Comune di Napoli, allora retto da Achille Lauro. Costoro, rinnovando una nefasta tradizione del peggior parlamentarismo italiano, abbandonarono il partito monarchico, per passare alla DC, determinando in tal modo la caduta della Giunta. Vale la pena riportarne un lungo estratto:

 “Nel Consiglio comunale… sette consiglieri… che andarono a Lauro e all’ideale monarchico quando l’uomo e l’ideale sembravano marciare col vento in poppa, guidati dall’istinto che guida i polli verso il becchine e i topi verso il formaggio, oggi vanno… ad altro partito… nella precisa convinzione di trovare più facile becchime e più abbondante formaggio.

FAME DI POSTI E AMBIZIONE DI CARICHE sono alla base di queste troppo facili crisi di coscienza, sono gli assessori squillo, i consiglieri squillo, che si offrono sulla pubblica piazza al migliore offerente … C’è un solo MURO per soggetti come loro: quello della VERGOGNA. Che essi del resto ben conoscono, in quanto è il muro del pianto, dell’adulazione e dei giuramenti, al quale ieri, oggi, domani, sempre trascinano e trascineranno le loro AMBIZIONI e i loro APPETITI.

E questa sarebbe la democrazia, questo il sistema per allargare le basi della democrazia stessa. Se questa è democrazia, diciamolo alto e forte, è una democrazia di PUTTANI e di LENONI, pronti i primi a prostituire, con se stessi, i voti, le speranze, i diritti di quanti – col loro suffragio – li investirono di un mandato, e pronti i secondi ad approfittare della disonestà altrui per trarne vantaggi immediati. Possiamo affermare con tranquillità di coscienza che il sistema è marcio e la situazione politica in sfacelo: e si tratta di sfacelo morale E’ il metodo che indigna e dimostra che la democrazia, così come è concepita oggi, è veramente il regime dei peggiori. Un regime che giustifica il trasformismo dei voltagabbana, le manovre degli arrivisti, i salti della quaglia degli ambiziosi, gli appetiti dei profittatori.

Non si illudano questi PUTTANI di aver battuto, con il loro tradimento, Lauro e il laurismo. Avranno tutt’al più portato il primo colpo di grazia al sistema che essi hanno fatto marcire. Né più, né meno di quel che avvenne nell’ottobre 1922. La storia si ripete ma, come assicura Marx, la prima volta in chiave di DRAMMA e la seconda in chiave di FARSA; è naturale quindi che questa nostra democrazia, a differenza di quella del 1922, che fu travolta dalla violenza, rischi di affogare nello STERCO. Ciascuno ha sempre quel che ha donato”.

Purtroppo, episodi del genere si sono ripetuti negli anni seguenti: perdonerete l’ineleganza delle autocitazioni, ma ne ho tracciato una storia sintetica, in un editoriale scritto per “Totalità” nel luglio 2015, dal titolo “FitTosi, malattia contagiosa e potenzialmente mortale”, a proposito del “salto della quaglia all’epoca effettuato da Raffaele Fitto (ora dirigente nazionale di Fdi, ndr) e da Flavio Tosi.

Dunque, il trasformismo nacque in un’epoca in cui i partiti politici come li abbiamo intesi noi – e come sono tratteggiati nella Costituzione – erano realtà molto diverse da oggi, anche se i giochi di potere conservano non poche costanti nei decenni (e forse nei secoli). Tuttavia, non è male rinfrescare la memoria, troppo spesso labile – e deviata, anche sotto la spinta di “media” interessati  – dei nostri connazionali.

Cosa distingue il nuovo episodio – o conato? – di trasformismo da quelli del passato? Direi innanzitutto il paludamento etico, con cui si abbigliano questi odierni protagonisti: in uno di suoi graffianti corsivi sul Corriere della Sera, Massimo Gramellini propone, con amara ironia, d’innalzare delle statue risarcitorie agli Scilipoti e ai Razzi, divenuti proverbiali, in negativo, di queste trasmigrazioni atte a far cadere i governi. La spirale del declino di questa nostra democrazia parlamentare infatti  trasforma in campioni esemplari i trasformisti di ieri, paragonati a quelli di oggi: non è un caso che sia tornato a girare – perfino in ambienti “di destra”! – il nome di Gianfranco Fini.

E allora, poco manca che i Mastella di turno, ed altri transfughi rifluiti nella pattumiera del “gruppo misto”, si mettano a recitare i versi di Leopardi:

“L’armi, qua l’armi: io solo
combatterò, procomberò sol io.
Dammi, o ciel, che sia foco
agl’italici petti il sangue mio”.

Peccato che, a quanto pare, al tavolo di poker dei politicanti qualcuno stia per sfilare loro le sedie sotto il sedere.

@barbadilloit

Giuseppe Del Ninno

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