Giornale di Bordo. Anche il virologo Albert Sabin era un no-vax?

Una riflessione sullo scontro in atto sul vaccino in Italia e sul ruolo geopolitico della pandemia nella rubrica di Enrico Nistri

Albert Sabin

24 dicembre

Vaccini 1. Dagli otto milioni di baionette ai tredici milioni di vaccinati

Capisco la preoccupazione di preservare la salute degli italiani, ma non condivido la retorica quasi militaresca (13 milioni di vaccinati invece di otto milioni di baionette) o il trionfalismo da film western (“arrivano i nostri”, con tanto di militari che scortano le prime dosi) con cui la maggior parte della stampa ha accompagnato l’arrivo dei primi vaccini. Non è una questione di destra o di sinistra, perché scetticismo o entusiasmo sono trasversali e, per esempio, se il “governatore” della Campania si è fatto il vaccino per dare l’esempio, un po’ come Mussolini trebbiava il grano, il presidente leghista della Regione Veneto ha prospettato l’adozione di una sorta di patentino sanitario che potrebbe porre ai margini della vita civile chi non si è ancora fatto bucare. Si tratta piuttosto di una questione di cautela, di rispetto di quel “principio di precauzione” che dovrebbe valere dinanzi a ogni nuovo ritrovato sanitario o scoperta scientifica.

Può darsi che davvero il vaccino conduca all’immunità di gregge auspicata e auspicabile, ma quello che non sopporto è la demonizzazione nei confronti non solo dei no-vax irriducibili, ma anche di quella non indifferente percentuale di italiani (personale sanitario incluso) che secondo i sondaggi manifestano riluttanza a porgere il braccio all’infermiere. Il carattere “mutante” del virus, il fatto che chi ha preso il morbillo e la rosolia non corre più il rischio di contrarre la stessa patologia mentre è capitato che malati di Covid si riammalino, il rischio (reale) di reazioni allergiche, l’estrema rapidità della realizzazione del vaccino stesso giustificano una qualche diffidenza: una diffidenza analoga quella che sconsiglia di acquistare nuovi modelli di auto senza aspettare che siano emersi eventuali difetti di progettazione o realizzazione. Con la differenza che altro è trovarsi col motore in panne, altro subire le conseguenze di uno choc anafilattico.

25 dicembre

Natale povero o povero Natale?

Pungente replica di Nicola Porro a papa Francesco, che ha espresso la sua soddisfazione perché questo (necessità fa virtù) sarà un Natale “povero”, alieno da eccessi consumistici. Porro fa notare che dietro i regali “non c’è solo business: ci sono amore, famiglia, lavoro” (si potrebbe aggiungere che dietro molti regali di questo Natale, acquistati comunque, ma on line, ci sarà il lavoro sottopagato e poco garantito di molti fattorini, e la disoccupazione di molti commessi; ma questo è un altro discorso).

Non ho mai amato gli eccessi consumistici del Natale, i regali inutili acquistati (o magari riciclati) solo per figura, la ressa nei negozi gli ultimi giorni, i negozianti, oggi disperati per la mancanza di clienti, che a volte pareva ti facessero un piacere a confezionarti un pacchetto regalo. Ma detesto pure la retorica pauperistica di certo populismo cattolico, che mi ricorda i volantini distribuiti  già alla vigilia del ’68 davanti al fiorentino Istituto Stensen, che fu uno dei gesuitici luoghi di elaborazione della teologia della liberazione. Erano gli anni in cui l’Italia era uscita finalmente dalla fame, in cui un capitalismo che mostrava i suoi lati migliori faceva piovere gadget col paracadute sulle spiagge della Versilia e d’inverno installava a sue spese nelle piazze alberi di Natale (ricordo a Firenze quello della Carapelli davanti alla Stazione di Santa Maria Novella), in cui il pandoro e lo spumante, il torrone e i tortellini erano entrati alla portata delle tasche anche dei ceti popolari. E quei ragazzotti pensavano che farci andare a traverso il panettone con l’inchiostro sbavato sulla carta porosa dei loro ciclostilati li avrebbe fatti andare prima in Paradiso (di lì a poco molti di loro avrebbero sognato solo il paradiso sovietico).

p.s. Certo, le considerazioni di papa Francesco nascono dalla constatazione che la fede è più radicata nei paesi poveri che in quelli ricchi (basti pensare alla Polonia sotto il tallone sovietico, ricca di vocazioni, e a quella di oggi). Ma augurarsi che un popolo rimanga povero perché così conserverà la fede è come augurarsi di avere una figlia brutta nella speranza che si mantenga vergine.

26 dicembre

Vaccino 2. Ma anche Sabin era un no-vax?

Per chi ha superato la sessantina e cerca di fare del giornalismo, internet comporta un grave inconveniente: gli toglie, rispetto ai giovani, il privilegio derivante dall’esperienza e magari dal possesso di un buon archivio di ritagli di giornale o di una biblioteca ben fornita. A volte, però, presenta un vantaggio. Con un’accorta ricerca “a stringa” è possibile trovare conferma quasi in tempo reale a notizie di cui si conserva un labile ricordo, ma che ci si periterebbe di utilizzare senza nessuna conferma ufficiale.

È successo a me per quanto riguarda lo scetticismo sui vaccini antinfluenzali di Albert Bruce Sabin, lo scienziato statunitense che con la sua scoperta debellò la poliomelite, nota anche come paralisi infantile. A riferirmi le sue parole era stato, approvandole, mio padre, che, dopo aver fatto la vaccinazione, su consiglio del medico curante, era stato malissimo per tutto l’inverno. Con una rapidissima ricerca sono potuto risalire alle dichiarazioni che Sabin rilasciò a Reggio Emilia, e che furono riportate tra l’altro dalla rivista “Il Medico d’Italia” del dicembre 1985. Il grande scienziato dichiarava testualmente: “Abbiamo vaccinato tanta gente da più di 40 anni e, secondo me, i vaccini non hanno assolutamente funzionato”. Il calo della mortalità da malattie respiratorie era fatto risalire da lui piuttosto al miglioramento delle cure riservate anche ai non abbienti.

Naturalmente, dagli anni Ottanta del secolo scorso a oggi può darsi che la scienza abbia compiuto progressi anche in questo ambito; però mi sconcerta il fatto che oggi i medici che esprimono pubblicamente scetticismo nei confronti dei vaccini rischino sanzioni disciplinari o addirittura la radiazione dall’Ordine. Se questo clima da caccia alle streghe ci fosse stato nel 1985, anche lo scopritore del più importante vaccino della storia del XX secolo sarebbe potuto finire sul rogo come no-vax.

p.s. fra i molti meriti di Sabin, figlio di ebrei emigrati negli Stati Uniti dalla Polonia, vorrei ricordare il fatto che rinunciò a brevettare il vaccino antipolio, che gli avrebbe reso una fortuna. Lo stesso fece Jonas Salk, ebreo askenazita la cui famiglia era emigrata negli Usa dalla Russia. Due brutti colpi per chi si diletta di raccontare barzellette sull’avarizia dei loro connazionali.

p.p.s. dopo le dichiarazioni di Sabin e il pessimo risultato di quella vaccinazione, mio padre rifiutò sempre di farsi il vaccino antinfluenzale. È morto a 95 anni, e non di influenza.

27 dicembre

E se applicassimo alla Cina il criterio del cui prodest?

Un altro passo avanti verso il tramonto dell’Occidente. Secondo le proiezioni della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale la Cina supererà già nel 2028 gli Stati Uniti diventando la prima economia mondiale. Che il sorpasso, prima o poi, sarebbe dovuto avvenire era nell’ordine delle cose, ma pare che ad accelerarlo sia stata proprio la pandemia partita dalla Cina. Pechino, insomma, finirà per trarre un duplice beneficio dal Covid: il suo sviluppo economico sarà favorito dalla crisi in cui il Coronavirus ha gettato le nazioni concorrenti e la diffusione del virus uscito dai suoi confini ha svolto un ruolo fondamentale nella non vittoria di Trump, il presidente statunitense che aveva cercato di limitarne la concorrenza mettendo in discussione il dogma liberoscambista.

C’è, poi, un terzo beneficio che la Cina rischia di trarre dalla pandemia uscita dai suoi confini: il fatto che la relativa rapidità con cui è riuscita ad arginarla, dopo averla in un primo tempo sottovalutata o sottaciuta, susciterà presso le opinioni pubbliche dei paesi in preda invece alla crisi una crescente simpatia nei confronti del suo modello politico autoritario. Si potrebbe ripetere, ovviamente in forme diverse, quanto accadde negli anni Trenta del secolo scorso, quando la depressione economica seguita al crollo del 1929 favorì in Europa il diffondersi di simpatie sia per il fascismo italiano e il nazionalsocialismo, sia per la Russia sovietica.

Negli anni di piombo, per risalire ai mandanti degli attentati terroristici, era diffusa la tendenza a invocare la logica del cui prodest. Non sono un complottista e non credo che la Cina “l’abbia fatto apposta”. Ma certo la pandemia si sta rivelando uno strumento straordinario di destabilizzazione morale ed economica del mondo occidentale.

28 dicembre

Se 860 euro dopo cinquant’anni di lavoro vi sembrano tanti…

Attraversando una strada del centro di Firenze, immerso dopo il crollo dei flussi turistici in uno spettrale silenzio, m’imbatto in una parrucchiera che conosco da tempo e la saluto. La sua bottega è aperta, ma non c’è nessuno e sta fumando fuori una sigaretta. Le chiedo come vanno gli affari e mi risponde che il 31 gennaio va in pensione e chiude. Lavora da cinquant’anni, perché ha iniziato ancora adolescente, come usava una volta, ma per ottenere la pensione anticipata ha dovuto ricorrere alla cosiddetta opzione donna, che comporta una detrazione sull’ammontare. I suoi primi datori di lavoro non le avevano pagato i contributi e non aveva mai potuto o saputo riscattarli. Ma è contenta lo stesso e il Covid deve averle dato la spinta decisiva. Da tempo lavorava da sola, senza la “sciampista”, che costava molto, era sempre precettata per corsi di aggiornamento, e aveva poca voglia di lavorare. Del resto ormai la maggior parte delle giovani parrucchiere ambiscono a entrare a lavorare nei grandi saloni, dove spesso vengono assunte come apprendiste e licenziate appena hanno terminato il periodo di apprendistato, specie se oltre a fare la permanente non sono brave anche a rivogare alle clienti creme e lozioni inutili, ma che costano care e fanno guadagnare i proprietari. Il torto non sta mai da una parte sola.

Siccome siamo in confidenza le chiedo quanto prenderà di pensione. Mi dice 860 euro, e che è contenta lo stesso. Non faccio commenti, però in cuor mio mi chiedo come si possa vivere con quella cifra in una città come Firenze e soprattutto se sia giusto che chi ha lavorato per mezzo secolo venga liquidato con una somma di poco superiore alla soglia di povertà assoluta. Nel frattempo sento sempre più spesso parlare di domestiche e badanti che vogliono essere pagate al nero, esponendo i datori di lavori a seri rischi, in caso d’incidente, perché vogliono usufruire del reddito di cittadinanza e non possono di conseguenza figurare percettrici di redditi.

In situazioni come queste c’è tutta la tragedia presente, e soprattutto futura, dell’Italia, un paese che non incoraggia il lavoro e di fatto sussidia l’evasione fiscale e, quel che è peggio per le casse dell’Inps, contributiva. Naturalmente, ci sarà sempre chi avrà voglia di lavorare e lavorerà comunque, magari, come nel caso di molti piccoli imprenditori, anche in perdita, sgobbando anche per gli altri.

Nel frattempo, mi auguro che la parrucchiera pensionanda abbia messo da parte un po’ di soldi per la vecchiaia, negli anni delle vacche grasse, magari evadendo quando ha potuto le tasse. Mi rendo conto di essere in contraddizione con me stesso, ma il diritto procede a volte per linee storte.

29 dicembre

Per fare spazio al 5G dovremo cambiare televisore. Ma il governo lo presenta come una conquista

È incredibile come uffici stampa e agenzie pubblicitarie siano bravi a fornirci della realtà una visione edulcorata, trasformando i disagi in opportunità. Anzi, non c’è da stupirsi affatto: è il loro mestiere

Primo esempio. Dal novembre scorso uno spot radiofonico governativo ci annuncia trionfalisticamente che la Tv cambia e che di conseguenza dovremo cambiare il televisore o acquistare un decoder. Ricordo cosa successe quando nelle trasmissioni televisive l’analogico fu sostituito dal digitale, con tanti pensionati per cui la Tv era l’unico svago lasciati alla mercé di tecnici venali o superimpegnati. Debbo ammettere però che l’introduzione del digitale terrestre ha consentito un arricchimento dell’offerta televisiva, con l’introduzione di canali tematici come Rai Storia o Rai Movie, di cui oggi farei malvolentieri a meno: la legge Gasparri aveva i suoi pregi.

L’innovazione che entro il 2022 ci costringerà a nuove spese o a nuovi interventi dipende in realtà, anche se lo spot pubblicitario non lo dice, da motivazioni diverse: si tratta di liberare le frequenze della banda 700 MHz, che finora era occupata da alcuni canali televisivi, per metterla a disposizione del 5G. In sostanza, se non siamo già in possesso di un televisore di ultima generazione, dovremo mettere mano al portafoglio per finanziare una innovazione tecnologica che, oltre a suscitare perplessità di varia natura, sanitaria e di sicurezza, serve prima di tutto a quei giganti del web che non pagano le tasse e sottraggono pubblicità ai giornali. Magra consolazione, il governo promette un bonus di 50 euro, limitato però a chi dispone di un reddito Isee inferiore ai 22.000 euro l’anno.

Secondo esempio. Il maggior quotidiano italiano pubblica un articolo in cui elogia la scelta di Rete ferroviaria italiana di destinare 403 stazioni abbandonate o comunque non più presidiate dal personale ad associazioni caritative. L’intento è nobile, ma l’interrogativo sarebbe un altro: perché queste stazioni sono state abbandonate a se stesse? Una volta anche la più modesta stazioncina rappresentava un presidio dello Stato nel territorio, un luogo dove si poteva fare il biglietto anche senza bisogno del cellulare o del bancomat, riposare in sala d’aspetto e magari pernottarci se si era persa una coincidenza o un treno era stato soppresso (è capitato anche a me). C’erano il capostazione o il capostazione aggiunto (francesismo per dire vicecapostazione), il bigliettaio cui chiedere consigli, il manovale che magari curava le aiuole e zappava l’orto, ma all’occorrenza liberava gli scambi dal ghiaccio; in molti casi c’era il presidio della Polfer. Oggi le sale d’aspetto, persino in grandi stazioni come Firenze Santa Maria Novella, sono state trasformate in negozi di scarpe, chi si vuole sedere deve entrare al bar e si sente in dovere di consumare, persino i bagni sono a pagamento. Bello e nobile è l’intento di fare delle stazioni non presidiate un luogo di accoglienza per i meno fortunati sottraendole (si spera) all’abbandono, ma ancora meglio sarebbe stato non abbandonarle per tagliare costi e personale, a spese di quelli che una volta negli annunci all’altoparlante erano chiamati signori viaggiatori.

30 dicembre

Buon anno!

La fine dell’anno si approssima e tutti quelli che incontro si dividono fra quanti sono convinti che un anno peggiore di questo non potrà arrivare e quanti invece sostengono che al peggio non c’è limite. La contesa fra ottimisti e pessimisti è antica quasi quanto la querelle des anciens et des modernes e devo ammettere che anch’io di rado sono stato incline a considerare l’anno trascorso un periodo felice. Ai miei 24 lettori comunque consiglio di non comprare oroscopi, ma di rileggersi (o leggersi) quella che forse è la meno pessimista delle Operette morali di Giacomo Leopardi: il Dialogo di un venditore d’almanacchi e d’un passeggere.

Buon anno a tutti, e in carrozza!

 

Enrico Nistri

Enrico Nistri su Barbadillo.it

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