Desiderio: “Addio all’eterno fanciullo che gioca ma nascerà un altro Maradona”

Il destino di un bambino mai cresciuto che ha incontrato il Vesuvio: "Se la felicità fosse qualcosa, sarebbe ciò che Diego ha donato a Napoli"

Diego Armando Maradona
Diego Armando Maradona

La scomparsa di Diego Armando Maradona ha scosso il mondo. Per lui parla una carriera esaltante da calciatore, un campione oltre ogni categoria. Gli omaggi, i ricordi, le testimonianze sul grandissimo calciatore argentino monopolizzano l’attenzione di tutti. Per una volta, il flagello del Covid passa in second’ordine: Maradona, il grande Maradona, è morto. Di lui, di pallone e del tema, serissimo, del gioco, abbiamo parlato con il giornalista (firma delle pagine culturali del Corsera, scrittore e docente Giancristiano Desiderio, che ha dedicato al rettangolo verde una lunga e avvicente serie di libri, tra sport, storia e filosofia. Tra questi l’ultimo, Football – Trattato sulla libertà del Calcio, edito da LiberiLibri.

 

La morte di Maradona ha addolorato mezzo pianeta. Considerando i toni utilizzati dai media e dai tifosi verrebbe quasi da citare Manzoni: Ei fu

“Oggi molti giornali titolano che con la morte di Maradona s’è verificata la morte del calcio. Io credo invece che il calcio non sia morto: Maradona è morto, ma ciò che ha fatto Maradona è imperituro e perciò non muore mai; è immortale. Questo vale per tutti gli uomini che nella vita fanno qualcosa e realizzano, effettivamente, un’opera grandiosa. Del resto il calcio, come diceva Borges, rinasce sempre e lo fa ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per strada. È lì che ricomincia la storia del calcio. E in fondo, cosa è stato Maradona se non un eterno fanciullo che ha preso qualcosa a calci, compresa la sua stessa vita? Ciò che ha fatto è immortale e fortunatamente abbiamo i filmati per godere della sua opera; ma il calcio non finirà mai. È semplicemente il gioco. E il gioco per definizione è eterno”.

 

Uno dei temi legati all’epopea maradoniana è quello del riscatto, della rivincita, del campione che si carica tutto sulle spalle e va a vincere da solo…

“Lo hanno detto molti giornali e non pochi giornalisti. C’è una famosa battuta di Maradona con il suo tecnico Ottavio Bianchi, il loro rapporto notoriamente abbastanza dialettico. Maradona una volta gli disse “se l’allenatore è così fondamentale perché non hai vinto lo scudetto col Como?”. Se Maradona avesse giocato col Como, forse i lariani non avrebbero vinto lo scudetto ma di sicuro avrebbero avuto un altro destino. Lui, però, non fece tutto da solo. Non èmica vero che il Napoli di Maradona non aveva altri grandi calciatori. Chi lo ha detto, sull’onda dell’emotività, ha calcato la mano. In quel Napoli c’erano grandi giocatori; giusto per ricordarne un paio: c’era Salvatore Bagni, un motore sempre acceso, e c’era Careca. Sono stati calciatori che se pur giocassero oggi farebbero grande il destino di ogni squadra.

Ma io credo che la caratteristica di Maradona sia stata un’altra: gli piaceva giocare a pallone. Questa era la sua particolarità: la puoi vedere e notare sempre. Quando lui era in campo non vi era effettivamente distinzione tra lui e la partita che si svolgeva: Maradona è sempre nell’azione di gioco anche quando non ha la palla. Lo caratterizzò il piacere fisico e sentimentale nel giocare a pallone: ecco perché non è diventato mai realmente adulto ma è rimasto sempre “un adulto con riserva” per dirla con Edmondo Berselli. Se Maradona avesse giocato anche sulla spiaggia o all’oratorio lo avrebbe fatto con lo stesso spirito di quando giocava negli stadi stracolmi. Era questo il suo modo di stare al mondo.

 

Napoli piange disperata Maradona. Come è stato possibile che un uomo sia riuscito creare un rapporto così intenso con un’intera città?

“Credo che ci sia qualcosa in questo incontro tra Napoli e Maradona. Effettivamente Maradona ha dato qualcosa di unico alla città, forse in certi momenti l’ha resa felice. Se la felicità è qualcosa, è forse quello che Maradona ha dato alla città e che mai questa aveva ottenuto prima. Per un certo periodo Napoli, che è sempre stata una sorta di capitale decaduta, è tornata a essere il centro del mondo. Non solo una capitale italiana ed europea ma il centro del pianeta calcistico. E Napoli a lui ha restituito tanto. Oggi non è più possibile scindere Napoli e Maradona. Quindi, tutto sommato, anche se a me non piace questa tendenza che c’è oggi secondo cui quando muore qualcuno di importante subito c’è la proposta di intitolazione, c’è poco da obiettare: certo, intitoliamogli lo stadio ma perché in questo caso l’identificazione tra i due, Napoli e Maradona, davvero è inscindibile e l’uno conduce inevitabilmente all’altro”.

 

Maradona fu davvero meglio ‘e Pelé? E di Messi? 

La storia di Maradona è una storia che ha un elemento calcistico e un forte elemento extracalcistico; non c’è dubbio che l’elemento extracalcistico sia legato a Napoli: se non fosse approdato sotto il Vesuvio, tutta la sua natura vesuviana non avrebbe potuto manifestarsi allo stesso modo che altrove. Messi non ce l’ha Napoli, gli manca dunque tutta la dimensione extracalcistica. Tenderei, però, a riportare ogni significato al campo: tanti giudizi di carattere morale, in queste ore, già si fanno moralistici. A noi deve interessare l’opera di Maradona in campo. Quella la possiamo giudicare, apprezzare e tramandare. L’altra storia, quella della sua vita fatta di eccessi, confusione e anarchia e forse arroganza, non la possiamo giudicare perché, diciamoci la verità, non la conosciamo fino in fondo e, sotto sotto, neanche ci interessa. Se pensiamo di guardare la storia di un uomo attraverso il buco della serratura facciamo notte e, inoltre, non è di alcuno interesse.

A me interessa il suo gioco in campo, irripetibile. Tutti gli altri confronti, con Messi ma pure con Pelé lasciano il tempo che trovano. A nessuno verrebbe di fare il confronto tra Omero e Dante, tra loro e Shakespeare: sono cose insensate, a tali livelli che cosa vuoi stare a fare il paragone?”

 

Cos’è il calcio? Ritroveremo mai l’emozione di specchiarci in un talento purissimo come fu quello di Maradona? 

“Il calcio è un bambino che gioca e noi non possiamo vivere la nostra vita senza un riferimento al gioco. E talmente vera questa cosa che nemmeno Maradona, che è stato effettivamente immenso, era “il” gioco. Lui, come Pelé, Crujiff, Di Stefano, Schiaffino, Rivera, Meazza, Puskas, sono stati dei grandi giocatori ma nessuno di loro possiede o ha mai “posseduto” realmente e fino in fondo la dimensione del gioco.  Se ciò dovesse avvenire, nessuno potrebbe più giocare a pallone. E noi vogliamo continuare a giocare a pallone, così come vogliamo continuare a vivere.

Il gioco, appunto, è eterno. Senza fine né inizio. Un esempio, proprio che lo riguarda: la sua seconda rete all’Inghilterra, ai mondiali di Messico ’86, è unanimamente definita come il gol più bello di tutti i tempi. È sicuramente meraviglioso e grazie ai video possiamo riguardacelo e tramandarlo. Ma non bisogna stupirsi se dico che quel gol, così come lo fece lui, venne già segnato un’altra volta e proprio contro la malcapitata Inghilterra. Cinquant’anni prima del “barrilete cosmico”, infatti, la nazionale inglese si imbatté nell’austriaco Matthias Sindelar, detto “Cartavelina”, dotato di quelli che i suoi contemporanei definirono “i piedi di mozart”. Fu il giocatore più forte del suo tempo; purtroppo non abbiamo le immagini di quella rete fantastica. Ci resta, però, lo stupore dell’arbitro di quella partita che ci ha regalato la testimonianza di quel gol e ci ha rivelato come, di fronte a tanta bellezza, smise per un attimo i panni di giudice di gara e, dopo la rete, si mise ad applaudire il campione. Maradona ha fatto quel gol per la seconda volta. Ciò ci induce a riflettere, a dirci che il gioco è eterno e nessuno lo possiede per sé: da qualche parte, vedrete, rispunterà di nuovo un Maradona”.

 

 

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Giovanni Vasso

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