Salvare il Natale dall’ateismo emergenziale di Speranza e Conte

Non è questione di irresponsabilità ma di fede e cultura: le uscite dei politici sul Natale restituiscono un quadro deprimente

Cenone sì, cenone no. Messe sì, messe no. Il ministro Speranza, al di là del nome, spegne ogni desiderio di vivere il Natale secondo tradizione. Eccolo: «Sinceramente parlare, con seicento morti al giorno, di cosa facciamo la notte di Natale mi sembra lunare. Oggi è giusto occuparci di come dare un po’ di respiro ai nostri medici e infermieri, non mi sembra il momento di discutere delle feste natalizie». 

Invece, toccherebbe parlarne. Anzi, bisognerebbe parlare solo ed esclusivamente di questo. Perché la questione del Natale è di capitale importanza, come qualsiasi altra che abbia a che fare con il culturale e il cultuale ( e viceversa).

Dice il giornalista Giovanni Marinetti:

“Perché cancellare tutto ciò che ha un vago sapore “culturale” dal dibattito pubblico per concentrarsi esclusivamente sulle cose serie – che è giusto abbiano tanto spazio, per carità – è un ricatto che una società – culturalmente sana – deve evitare come la peste”.

Le misure anti Covid ci hanno già impedito di vivere la Pasqua 2020 con la dovuta dose di gioia e mistero. Ora anche il tanti-auguri-Gesù-Cristo (ricordate il sergente maggiore Hartmann di Full Metal Jacket?) rischia la stessa fine, tra le incertezze degli uomini di Chiesa.

Il richiamo ai tempi di guerra è tutt’altro che innocuo. Perché è proprio nei momenti di massima crisi che ci si aggrappa disperatamente al calendario per riassaporare la giusta dimensione del tempo normale. Anche le ricorrenze hanno un valore terapeutico. A quanto pare, però, tra politici, avvocati e scienziati, si fa finta di non saperlo. 

Mettiamo subito le mani avanti: nessuno mette in dubbio la necessità di affrontare le prossime festività nella sobrietà dell’attuale momento storico. La posta in gioco, però, non è quella di salvare la massima espressione del consumismo (benché anche le ragioni del commercio siano importanti). C’è da salvare ben altro: la dimensione comunitaria della festa. Anzi, di ogni festa. Che tutto ciò prenda forma a tavola, o tra i banchi della parrocchia, i gesti e i riti devono essere continuati.

La forza di un Paese sta tutta nella capacità di fare quadrato attorno all’essenziale, al simbolico. Liquidare tutto ciò come divertimento, superfluo, è da analfabeti. Lo si è fatto con i cinema, con i teatri e lo si è fatto, appena qualche mese fa, anche con tutto ciò che afferisce il sacro. Tagliando, tagliando, alla fine sarà difficile capire cos’è essenziale e cosa lo è meno. Le uscite no-sense di Giuseppe Conte sulla “spiritualità che viene meglio in pochi”, ci rivelano tantissimo: le idee di fondo di chi sta ai vertici della gestione Covid. 

Idee banali, scarsamente empatiche, ma dalle traiettorie che piacciono tantissimo a un certo mondo che si ritiene sempre dalla parte giusta. Ovvero: un ateismo di fatto che procede senza neanche giustificarsi. In tempi di pandemia avremmo avuto bisogno di una classe dirigente con un maggior senso del reale. Invece, siamo qua: a fare i conti con tutta questa desolazione. 

 

Fernando M. Adonia

Fernando M. Adonia su Barbadillo.it

Exit mobile version