Usa (di G. Del Ninno). La complessità (nascosta) del fenomeno Trump

Il tycoon tacciato di razzismo impazza tra le minoranze, il pensiero di de Benoist e le semplificazioni banali del mainstream

Donald Trump

A proposito del confronto/scontro fra Trump e Biden, prescindendo dalle banali contingenze in stile tifo calcistico, bisognerebbe riflettere su quello che le due figure di leader rappresentano nel loro paese, sulle dinamiche e le tendenze socioculturali innescate dal voto e sulle loro somiglianze e differenze con quelle in atto in Europa.

 

In proposito, interessanti spunti si ritrovano nell’intervista rilasciata da Alain de Benoist a Nicolas Gauthier e riportata sul blog dello stesso de Benoist (e qui su Barbadillo ndr), qui nella mia traduzione del passo che più ci interessa:

 

“Ciò che separa i due campi che oggi sono uno di fronte all’altro ha a che fare con le appartenenze di classe e con concezioni della società totalmente opposte. Da un lato, troviamo i rappresentanti dell’Establishment, sostenuti dalla quasi totalità dei media; dall’altro gli Americani legati alle loro radici, al loro peculiare modo di stare in società e a una galassia di valori condivisi. Gli stanziali che si ritrovano in un luogo determinato e i nomadi che non stanno da nessuna parte; da un lato, la gente ordinaria delle classi popolari e i ceti medi in via di declassamento (quelli che Hillary Clinton definiva “i deplorevoli”) e dall’altro le lobbies sradicate, che considerano l’ascesa del populismo come un fenomeno tanto incomprensibile quanto scandaloso. E’ qualcosa di molto simile a quello che accade nei paesi europei: una contrapposizione frontale fra gli abitanti delle città “mondializzate” e quelli che da noi chiamiamo “la Francia delle periferie”. In più, nel caso degli Stati Uniti, un importante dettaglio geopolitico: gli Stati più favorevoli a Trump sono concentrati nell’America continentale, mentre i bastioni di Joe Biden appartengono all’America marittima, cioè alle grandi metropoli della costa occidentale e alla California. Ancora e sempre, la Terra e il Mare”.

Come dire: Carl Schmitt insegna.

 

Alain de Benoist mette poi in evidenza come Trump abbia perduto una battaglia, ma il “trumpismo”, come variante americana del populismo, è ben lungi dall’aver perso la guerra. L’irruzione di Trump sulla scena politica, del resto, ha stravolto il tradizionale sistema bipartitico statunitense, e in particolare l’elettorato repubblicano ha ormai ben poco da spartire con quello antecedente al 2016. Si è poi inasprita la lotta politica – de Benoist parla di “feroce inimicizia, da una parte e dall’altra”, al punto che le stesse basi dell’identità collettiva americana sono scomparse, e la Nazione si ritrova divisa in due, come non avveniva dai tempi della Guerra di Secessione.

 

Aggiunge ancora che, contrariamente a quello che si è detto, la divisione non ha un carattere etnico; le tensioni razziali sono evidenti, oltre Atlantico come altrove, ma esse non spiegano tutto. Le condizioni di vita delle “minoranze” sono migliorate più sotto Trump che con Obama, come dimostra il fatto che il leader repubblicano ha ottenuto il 17% dei voti in queste elezioni, contro il 13% del 2016, presso i “neri”, e il 35% dei “latinos, contro il 32% delle precedenti consultazioni; senza contare che il “Black Lives Matter” è nato durante il secondo mandato di Obama.

 

Insomma, le cose sono più complicate di quanto il mainstream globale voglia farci intendere, e uno sguardo metapolitico scevro da condizionamenti di parte, può essere utile a orientarsi meglio in questo nostro difficile tempo.

 

 

Giuseppe Del Ninno

Giuseppe Del Ninno su Barbadillo.it

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