Alain de Benoist: “La vittoria di Trump? Auspicabile. In mancanza di meglio. Non è uno statista”

Il filosofo francese commenta le presidenziali americane su Boulevard Voltaire e distingue tra The Donald e il trumpist come fenomeno di popolo

Donald Trump e Alain de Benoist

Le elezioni presidenziali americane si stanno avvicinando velocemente. A titolo personale, lei auspica la rielezione di Donald Trump? Un secondo mandato di questo presidente le farebbe piacere, anche solo per vedere la faccia dei suoi avversari, americani ed europei?
Alain de Benoist: “Auspico la sua rielezione, ma per difetto o in mancanza di meglio. Come lei sa, il personaggio non ha molti elementi che condivido. Non è tanto quello che gli rimproveriamo abitualmente  – il suo stile, la sua brutalità, la sua volgarità – che mi sconvolge, perché penso che sia invece ciò che gli vale di essere apprezzato da molti americani, quello che ci si ostina a non capire da questa parte dell’Atlantico. È piuttosto che il suo progetto mi sembra nebuloso, che la sua politica estera è, secondo me, esecrabile, e che l’uomo non è adatto a guidare quella che rimane, almeno provvisoriamente, la prima potenza mondiale. Al giorno d’oggi ci sono fondamentalmente solo tre veri capi di Stato nel mondo: Vladimir Putin, erede dell’ex Impero russo, Xi Jinping, erede dell’ex Impero cinese, e Recep Tayyip Erdoğan, che cerca di ricreare l’ex Impero ottomano. Donald Trump ha senza dubbio delle qualità, ma non ha la dimensione di uno statista.
Allora perché sostenerlo? Perché Joe Biden è cento volte peggio. Non per la sua personalità insulsa e stanca, ma per tutto ciò che rappresenta: l’Establishment, il Deep State, la sottomissione all’ideologia dominante, l’immigrazionismo, il progressismo, il capitalismo deterritorializzato, il politicamente corretto, Black Lives Matter, i media mainstream, insomma quell’abominevole Nouvelle Classe di cui la strega Hillary Clinton era già rappresentante quattro anni fa. Per sbarrare la strada a Joe Biden e alla sua collega Kamala Harris (che avrebbe buone possibilità di succedergli durante il suo mandato), sarei persino pronto a votare Topolino!”.
Ma Trump ha ancora una possibilità di vincere?
“Io credo di sì. Ho proposto più volte di distinguere tra il personaggio di Donald Trump e il fenomeno trumpista, che è soprattutto un riflesso populista di contestazione di tutto ciò che rappresenta l’Establishment. Trump è discutibile, ma il trumpismo è un’altra cosa. Tenuto conto di tutte le proporzioni, si potrebbe paragonarlo a quella che da noi si chiama «la Francia periferica». Gli americani sono estremamente diversi dagli europei (molto più di quanto credano questi ultimi), ma lo schema di base è lo stesso: le classi popolari contro le élite globalizzate, i sedentari contro i mobili, il popolo contro i cittadini del mondo, il basso contro l’alto.

Negli Stati Uniti d’oggi, questa opposizione si è cristallizzata per dare origine a due blocchi che non si parlano nemmeno più. Da una parte e dall’altra, non si vuole più solo vincere le elezioni, ma annientare quelli che stanno di fronte. Vuole una cifra rivelatrice, persino sbalorditiva? Il 15% dei repubblicani e il 20% dei democratici ritengono che l’America starebbe meglio se i loro rivali «morissero». Mai visto prima. È che la politica è cambiata. I politici negli Stati Uniti non corrono più alle elezioni per promuovere le loro capacità, ma come donne, come omosessuali, come afroamericani, come ispanici, etc. Le identità politiche, alimentate dal politicamente corretto, hanno invaso tutto. Ciò significa che le questioni politiche sono ormai subordinate alle sfide culturali e antropologiche.
Ecco perché, contrariamente a quanto accadeva in passato, quando i programmi dei repubblicani e dei democratici potevano sembrare più o meno indistinguibili, soprattutto ai nostri occhi, tutti i sondaggi mostrano che questa elezione presidenziale è giudicata dagli americani come di eccezionale importanza (l’87% parla di un punto di svolta irreversibile), e soprattutto perché tra loro sono pochissimi gli indecisi. Questo è il motivo per cui i due candidati non cercano tanto di accaparrarsi i sostenitori del loro avversario quanto di consolidare i loro rispettivi campi. Ed è anche il motivo per cui il primo dibattito Trump-Biden si è concluso con uno scambio di ingiurie di una violenza, verbale, ancora impensabile da noi. Che sia il trumpismo o la Nouvelle Classe a prevalere, sono in gioco concezioni del mondo differenti”.

Quale bilancio trarre da questi quattro anni di trumpismo? La sua rielezione sarebbe una buona notizia per gli Stati Uniti e, soprattutto, per la Francia e per l’Europa?
“Il bilancio è difficile da valutare. E’ indubbiamente migliore di quanto dicono gli avversari di Trump, ma peggiore di quanto dicono i suoi sostenitori. Perché Trump ha trascorso una notevole quantità di tempo a cercare di sfuggire alle trappole in cui si cercava di farlo cadere, e ha potuto riuscirci solo navigando alla cieca fra i «consiglieri» di ispirazione opposta, ed è inoltre difficile sapere quali sono le iniziative che gli competono veramente.
Per quanto riguarda la sua politica estera – l’unica che dovrebbe interessarci -, il bilancio è francamente negativo. Trump non ama visibilmente l’Europa, in questo si distingue dai suoi predecessori solo per il fatto di non nasconderlo. All’inizio tentò di avvicinarsi alla Russia nella speranza di allontanarla dall’alleanza cinese, ma poiché non smise di essere accusato di essere «al servizio dei russi», vi rinunciò rapidamente. Il suo principale nemico è la Cina. L’asse che privilegia è l’asse Washington-Riyad-Tel Aviv, che soddisfa sia i neoconservatori che gli evangelici, ma che è perfettamente contrario agli interessi europei. Ma con Joe Biden sarebbe anche peggio. Ricorda ciò che François Mitterrand ha confidato a Georges-Marc Benamou: «La Francia non lo sa, ma noi siamo in guerra con l’America. Una guerra permanente, una guerra vitale, una guerra economica, una guerra in cui apparentemente non ci sono morti. Sì, gli americani sono molto duri, sono voraci, vogliono un potere assoluto sul mondo. È una guerra sconosciuta, una guerra permanente, apparentemente senza morte e, pertanto, una guerra alla morte»”. (da BoulevardVolteire.fr)

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Nicolas Gauthier - Alain de Benoist

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