Caso Gregoretti. Conte convocato davanti ai giudici a Catania e Salvini si riprende la scena

L'eterogenesi dei fini dei procedimenti contro l'ex vicepremier genera un inatteso rilancio del suo protagonismo

Matteo Salvini e Giuseppe Conte

La chiamata a processo di buona parte dei membri del governo “Conte Uno” rischia di essere quell’effetto collaterale che può sancire la nuova legittimazione di Matteo Salvini sulla scena pubblica. L’errore politico è stato quello di averlo mandato a processo per un reato che per i pm di Catania continua a non esserci.

Caso Gregoretti

Il caso Gregoretti potrebbe concludersi con un nulla di fatto non privo di macerie, i cui effetti potrebbero arrivare anche sull’altro processo similare, quello a Palermo circa il caso Open Arms. A quel punto la tentazione di risolvere i nodi politici italiani ricorrendo al codice penale potrebbe andare in soffitta. Lo si auspica, almeno. Soprattutto quando ci sarà da fare i conti nuovamente con la mancata sincronizzazione del codice penale con alcuni desiderata ideologici.

Il gup di Catania ha concesso a Matteo Salvini una possibilità generosa. Quella cioè di poter portare se non alla sbarra, almeno al banco dei testimoni le contraddizioni dei propri ex compagni di viaggio in quella pazza avventura che fu il laboratorio gialloverde. L’aula di tribunale sarà il luogo dove un’intera procedura sarà vagliata in ogni suo aspetto, mettendo la parola fine (o quasi) a mesi di interpretazioni.

Venisse dimostrata e conclamata la collegialità d’indirizzo nella gestione dei cosiddetti «porti chiusi» (nei fatti sbarchi subordinati alle previe procedure di ricollocamento), la palla giudiziaria tornerebbe di diritto nel campo della politica. Un campo dove la Lega di Matteo Salvini ha probabilmente qualche cartuccia in più rispetto ai cinque stelle. Ma forse, allora, l’attenzione mediatica sui presunti sequestri dei migranti salvati in mare potrebbe crollare verticalmente e finire nelle ultime pagine delle cronache giudiziarie.

Guai a dimenticare che il premier Giuseppe Conte politico non lo è, perché mai si è confrontato con elezioni o liturgie di partito. L’erosione di voti del M5s dal 2018, nonostante gli anni al governo, segnala un duro giudizio da parte dei propri elettori. In filigrana c’è da fare anche con i conti le pressioni di Nicola Zingaretti di rivedere i decreti sicurezza. Che, soprattutto dopo le vicende catanesi, pare difficile intestare al solo Matteo Salvini.

Per i Cinquestelle c’è il pericolo di palesare un nuovo auto-sgambetto sul campo della coerenza. Nelle teche restano il voto per la mancata autorizzazione a procedere nel caso Diciotti (quando stavano al governo assieme) e i voti favorevoli per le analoghe vicende Gregoretti e Open Arms (quando però con Salvini avevano già divorziato).

Il leader del Carroccio si è ripreso parte della scena e lo ha fatto in un momento in cui il suo appeal è stato percepito in fase calante. La tre giorni catanese, benché non abbia fatto registrare i sold out di pubblico, è servita a Lega e centrodestra per rinsaldare i vincoli. Il Carroccio ha scelto – forse opportunamente – di non piegare la propria kermesse sui temi della giustizia, discutendo di altro. Evitato l’attacco frontale alla magistratura, la coalizione fa decisamente un passo in avanti rispetto al berlusconismo. Giorgia Meloni lo ha spiegato: la solidarietà a Salvini è data non in funzione dei suoi interessi privati, ma della netta separazione dei poteri in democrazia. Che è tutt’altra cosa.

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Fernando M. Adonia

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