Il punto. Il Pd stoppa il “Megafono” di Crocetta: e adesso gli tocca pure governare…

crocettaChe l’obiettivo potesse essere quello grosso, la segreteria del Pd, è apparso chiaro a molti, se non a tutti, sin dall’indomani dell’elezione a governatore della Regione. Ma dopo l’aut aut arrivato dalla commissione garanzia, ammesso che la decisione diventi davvero prescrizione, diverso dovrà essere il percorso da compiere per arrivarci per Rosario Crocetta. Se il Megafono – il suo “partito” – era lo strumento attraverso il quale lanciare un’Opa eterodossa sul Pd, adesso Crocetta dovrà farlo raccogliendo truppe e consensi dentro un partito che, se non lo vede come un corpo estraneo, comincia a considerarlo un pericoloso antagonista.

Ma Rosario Crocetta, c’è da scommetterci, non si tirerà indietro. È uomo a cui piace rilanciare. E, dopo il braccio di ferro perso con il partito, sarà costretto a farlo. Alzando l’asticella degli obiettivi da raggiungere come se fosse assalito da una fame bulimica di visibilità, notorietà, e peso politico. Chi pensava che l’elezione a presidente della Regione potesse essere il coronamento della carriera politica del sindaco antimafia di Gela, è rimasto presto deluso, o sorpreso. Perché il Crocetta che impone a furor di popolo la sua candidatura forzando la mano al suo stesso partito, il Pd, inventandosi il Megafono come lista personale a supporto prima e strumento personale di agibilità politica dopo, non poteva accontentarsi di arrestare la sua Rivoluzione a Palazzo D’Orleans. Troppe le questioni a cui mettere mano, troppo gravoso l’impegno amministrativo da mettere in campo per correggere la rotta, con il rischio di dover trascorrere cinque anni assediato da manifestanti di estrazione varia ed eventuale, scandali pronti a scoppiare sempre dietro l’angolo.

Quanto può durare il credito creato con la politica dell’annuncio, arricchitosi in ultimo dei capitoli compagnia aerea low cost per combattere il caro tariffe (vergognoso) dell’Alitalia, e casinò a Taormina e Cefalù, Araba Fenice che risorge ad ogni governo che cambia? Quanto, si sarà chiesto il governatore, è possibile resistere sventolando il vessillo della lotta alla “mangiugghia”, cavalcando la protesta dei No-Muos, rinviando l’elezione delle province in attesa della legge che le abolisca? Quanto sarà possibile portare avanti la nomina dei commissari quale sistema di governo? Quanto l’icona di politico antimafia resisterà alla stessa deformazione che il governatore sta, consapevolmente o meno, attuando, secondo il sillogismo “io sono l’antimafia, chi non è con me è per la mafia ed il malaffare”? Suscitando la reazione indignata di Davide Faraone, capofila dei renziani in Sicilia, che richiamando le parole di Sciascia sui “professionisti dell’antimafia” ne ha denunciato la degenerazione per fini politici?

Poteva durare poco, perché i problemi sono lì, e la politica dell’annuncio spot non è destinata a reggere per sempre. Perché, poi, la Rivoluzione Crocettiana, insieme alle figurine Zichichi e Battiato (il secondo, quando ha capito, è sceso dalla barca senza colpo ferire) ha messo in campo il fior fiore della burocrazia regionale in auge con Cuffaro e Lombardo, innalzato al ruolo politico, con innesti alla Stancheris, la segreteria fedelissima del governatore piazzata all’assessorato al turismo: lo avessero fatto Cuffaro, o Lombardo, apriti cielo, chissà che si sarebbe scritto sui giornali.

Ma non è bastato: perché il governatore ha puntato tutte le fiches sul progetto politico Megafono, condiviso con Beppe Lumia (che per questo ha rotto il sodalizio politico con il plenipotenziario del Pd palermitano, Antonello Cracolici). Come? Presentandolo come un’idea, perfettamente compatibile con la militanza democratica, che nulla osta alla possibilità di puntare l’obiettivo grosso: la segreteria nazionale del Pd. Un’idea che, però, apre sedi di partito, presenta liste d’appoggio a candidati del centrosinistra (e non solo), elegge consiglieri senza andare tanto per il sottile sui trascorsi politici dei candidati, ha assessori designati e tutto il resto che fa politica vecchio stampo. Quella, appunto, per cui è indispensabile avere una massa di manovra personale da gettare nell’arena dello scontro e della mediazione politica.

Perché l’obiettivo grosso è quello: la politica nazionale, il partito, e poi forse il governo. In questo quadro la carica di governatore è un momento di passaggio, necessario ma non definitivo, dove bisogna fare quel che si deve lasciando che accada quel che può. Quanto questo coincida con l’interesse dei siciliani, e questo non sia piuttosto il vessillo al riparo del quale si muove una ambizione politica più forte, e più grande, è risposta che il tempo solo potrà dare. E, forse, non bisognerà neppure aspettare molto.

Luigi Pulvirenti

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