Se la destra si posiziona tra Stato organico e difesa delle identità

Il classico dibattito estivo sulla natura del fronte della "droite" e la necessità di riaggiornare la categoria secondo la visione sociale

Idee per l'Italia

Giacomo Balla – Si è rotto l’Incanto
Coerentemente con l’eclettismo proposto dal Futurismo, Giacomo Balla si dedica anche alla letteratura, secondo lo stile delle Parole in libertà. Il quadro “Forme Grido Viva l’Italia” è dipinto con colori vivaci e sgargianti, le forme di volute che si aggrovigliano trasmettono una sensazione di vortice inarrestabile. Tecnica: Olio su tela, 36 x 47 cm

Da qualche tempo si è scatenata nuovamente la polemica su cosa connoti, identifichi la destra. Da ultimo Marcello Veneziani, nell’articolo La destra che piace a lorsignori, pubblicato su La Verità il 26/07, ha tracciato il perimetro valoriale attorno a cui ruota ogni destra “che abbia conquistato il consenso dei popoli e il governo”. Una destra, dunque, realista per vocazione: pertanto religiosa per logica (Dio), patriottica per necessità (Patria), comunitaria per istinto (Famiglia). 

Eppure, dando un’occhiata alla storia, potremmo chiederci se sia questo “soltanto” ciò che abbia contraddistinto, nello specifico, la destra italiana lungo la sua breve storia. Se non occorra “puntellarla” maggiormente. Ernesto Galli Della Loggia è forse uno dei più noti intellettuali che da sempre si batte affinché in Italia possa nascere una destra “finalmente” liberale. Liberale ontologicamente, il che vuol dire: sgombra dalle “storture”, a suo dire, che hanno reso la destra italiana assai differente da quella a vocazione puramente conservatrice o liberale di stampo anglosassone, per esempio.

Destra sociale?

Giungiamo così ad uno snodo fondamentale, spesso sottovalutato o ancor peggio dimenticato. Taluni hanno denominato la destra nostrana con l’appellativo “destra sociale”. Può non piacere, ma ciò che emerge è che quell’aggettivo, a ben vedere, non identifica semplicemente una corrente ma, più in generale, la specificità della destra italiana, la quale ha piantato radici nel mondo. “La più audace e mediterranea delle idee” aveva la sua scaturigine nell’ideale di uno Stato organico, il quale postula ex se l’alternativa al sistema” dei partiti e il superamento del liberalismo così come del socialismo. Ossia l’inserimento delle categorie professionali e dei ceti produttivi al centro della comunità politica, nei posti dove si redigono proposte e si approvano le leggi. Lo stesso Mussolini ebbe a scrivere: “Corporativismo e fascismo sono termini che non si possono dissociare” (“Critica fascista”, 1° gennaio 1931).

 La ripresa dei motivi corporativi lungo il XX secolo, da parte di molti regimi europei, segnò il punto di contatto tra il messaggio economico sociale del cattolicesimo (superamento del conflitto tra classi sociali e antiliberalismo filosofico-economico) e i nuovi movimenti di ricostruzione nazionale che durante gli anni ’20, ’30 del secolo scorso conquistarono buona parte d’Europa.

Anche Papa Pio XI

Pio XI (1857-1939) nell’Enciclica Quadragesimo Anno (1931), parlando del nuovo assetto corporativo italiano, scrive: “Basta poca riflessione per vedere i vantaggi dell’ordinamento per quanto sommariamente indicato; la pacifica collaborazione delle classi, la repressione delle organizzazioni e dei conati socialisti, l’azione moderatrice di une speciale magistratura.” Tuttavia, continua il Sommo Pontefice: “dobbiamo pur dire che vediamo non mancare chi teme che lo Stato si sostituisca alle libere attività invece di limitarsi alla necessaria e sufficiente assistenza ed aiuto, che il nuovo ordinamento sindacale e corporativo abbia carattere eccessivamente burocratico e politico, e che, nonostante gli accennati vantaggi generali, possa servire a particolari intenti politici piuttosto che all’avviamento ed inizio di un migliore assetto sociale”.

Quest’ultimo aspetto costituirà il limite dell’esperienza corporativa promossa dal Fascismo e il pungolo per gli altri regimi europei a che si dotassero di una conformazione statuale corporativa quanto più vicina alle indicazioni fornite dalla Dottrina sociale della Chiesa: l’Estado Novo portoghese di Antonio de Oliveira Salazar (1889-1970) e il Christilicher Ständestaat (Stato corporativo cristiano) del cancelliere austriaco Engelbert Dollfuss (1892-1934), ne sono un esempio su tutti.

Il riferimento al corporativismo e l’ambizione alla ricostruzione di una società organica, ossia di una societas formata non da un insieme di individui isolati, ma da un insieme di famiglie e di corpi intermedi che si situano tra l’individuo e lo Stato e che hanno una rappresentanza politica, non può essere omesso né può essere ritenuto irrilevante o utopico, quasi si trattasse di una labile fiammata di inizi XX secolo. Le sue radici profonde vanno ricercate nelle comunità politiche antecedenti la Rivoluzione francese. Ed è proprio questa connessione tra passato e futuro che necessita di esser messa in risalto e che consente di addentrarsi in quella parola magica che è la “Tradizione”. La quale, è bene precisare con vigore, prescinde dal riferimento ai fascismi europei, seppur in essi abbia potuto qui e là innervarsi talvolta con molta fatica, talora con più scioltezza ma non senza contraddizioni. 

Nel 1995 l’ex segretario del Msi-Dn Pino Rauti, dal palco di Fiuggi, dove si celebrava il XVII nonché ultimo Congresso nazionale del partito, denunciò l’abbandono, da parte della nascente Alleanza Nazionale, della progettualità corporativa: “C’è, è evidente e la stampa l’ha colta subito – egli disse – la rinuncia al corporativismo il che implica la rinuncia a tutto il nostro programma sociale”. Sforzandosi inoltre nel precisare l’autentica concezione corporativa, che non doveva essere confusa con una battaglia di retroguardia volta a difendere un ceto sociale, una posizione raggiunta: “(…) tra persone che fanno politica il corporativismo era ed è quell’impostazione che mirava alla creazione di uno Stato organico, all’inserimento delle categorie nella struttura giuridica dello Stato”. 

Quella di. Rauti non era una mera forma di nostalgismo come sovente è stata intesa. “Non è il passato che mi preoccupa, è l’avvenire!” ripeteva spesso e ripeté ancora in quell’intervento dal titolo quanto più eloquente: Alternativa e futuro: “Non c’è nell’art. 1 nuovo – affermava con insistenza – quello che invece non mancava ovviamente nell’articolo 1 dell’ancora vigente statuto: “Mediante l’alternativa corporativa” il che stava a significare tutta intera la nostra progettualità verso un altro nuovo tipo di Stato, di economia, di società al limite, sia pure finalisticamente e strategicamente, verso un altro modello di sviluppo. 

La posizione di Pino Rauti non venne compresa, o peggio, venne scambiata per fossilizzazione inutile su di un passato ormai morto e sepolto. L’aspetto più tragico, se si vuole, è che il passato a cui faceva riferimento Rauti aveva molto più a che fare con la civiltà cristiana che con l’esperienza del ventennio.

Erano gli insegnamenti di Leone XIII (1810-1903) e di Pio XI, con le Encicliche Rerum Novarum e Quadragesimo Anno, nei loro principi universali, ad essere messi in discussione, e non banalmente la Carta del Lavoro del 1927.

La posizione di Rauti uscì sconfitta dal Congresso. Culturalmente, invece, essa ha necessità di vivere, di essere depurata alla luce dell’etica cristiana e di quelle che furono delle evidenti storture di ordine storico. La destra ha sempre raccolto attorno a sé sensibilità varie, progettualità diverse, ispirazioni simili ma declinate in maniera differente. Nessuno osa mettere in dubbio ciò. Talvolta però è necessario definire con maggior precisione cosa rappresentò la destra nel ‘900, servendosi magari di qualche spunto offertoci dal passato al fine di capire cosa è stata, cosa è oggi e, infine, cosa vorrà essere domani.

Diego B. Panetta

Diego B. Panetta su Barbadillo.it

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