Stop Hate for profit
La campagna di disimpegno pubblicitario al momento è stata intrapresa da nomi altisonanti, appartenenti a tutti i settori. Si parla ad esempio di Unilever, che ad oggi commercializza marche alimentari come Algida e detersivi come Cif, Verizon, il colosso delle telecomunicazioni statunitensi, Coca Cola con tutte le sue bibite e la nota azienda di abbigliamento North Face. Per Zuckerberg è quindi un’emorragia che ricade sul titolo azionario.
La campagna si chiama “Stop hate for profit” e si prefigge di influenzare i contenuti degli “Over the top content provider”, che sono le organizzazioni come appunto i social network o You Tube che utilizzando la rete forniscono all’utenza di tutto il mondo contenuti multimediali, obbligandoli a rimuovere tutto ciò che non è in linea con gli stringenti standard dettati da organizzazioni come la Anti Defamation League.
La censura è ormai realtà
Questo atteggiamento da parte delle grandi multinazionali costituisce un notevole salto di qualità nel processo di restrizione della libertà di pensiero ormai in atto da molti anni. Se teniamo conto che l’attuale tendenza è quella di considerare “discorso d’odio” più o meno qualsiasi concetto che si discosti dalla linea dei media ufficiali, possiamo capire che è imminente la predisposizione di sistemi che chiudano letteralmente fuori dall’internet chiunque non si conformi. D’altronde, in una nota Facebook dichiara ufficialmente che investe milioni di dollari nello sviluppo di intelligenze artificiali atte alla censura. I maggiori attori del capitalismo mondiale hanno quindi fatto cartello per impedire addirittura al presidente degli Stati Uniti di esprimersi. Forse è il caso di preoccuparsi.