Caso Silvia Romano e l’Islam, la conversione sfugge la linearità del racconto

"È una svolta nella quale pur cambiando direzione ci si porta dietro tutto"

La cooperante Silvia Romano

“La conversione è il luogo dell’ineffabile e rifugge la linearità del racconto.

È Paolo di Tarso a dettare il modello della conversione al Cristianesimo, pur senza mai chiamare l’evento con questo nome; vive un’esperienza repentina, inaspettata, dove il Sacro si manifesta in tutta la sua potenza, chiamando. All’uomo rimane solo la possibilità di aderire a quello che è capitato.

La letteratura islamica, quella più agiografica, racconta di conversioni subitanee tra i primi discepoli di Muhammad: eventi dall’emotività vigorosa, anche se mancano le apparizioni o i miracoli.

Le conversioni di oggi – vissute o raccontate – sono invece faccende lente, tormentate, fiaccate dalla nostra caratteristica di moderni: il dubbio.

Non si depone un abito per indossarne un altro, non ci si lascia indietro la pelle del serpente. È una svolta, invece, la conversione, nella quale pur cambiando direzione ci si porta dietro tutto. L’esperienza religiosa è parte di sé, si è costruiti di una sensibilità seminata da bambini – l’Eterno Riposo e l’Angelo di Dio recitati prima di andare a dormire – che poi coltivata, sboccia attraverso un intrico che ogni giorno va ad approfondirsi, e che sembra a volte cieco a se stesso.

La conversione non c’entra nulla con la cultura. I nostri vecchi, dei convertiti all’Islam, dicevano “si è fatto turco” – gli Ottomani dicevano dei convertiti al Cristianesimo “s’è fatto francese” – svelando subito il cortocircuito tra fede e geografia che invece, oggi, si fatica a precisare. La paura della conversione è paura dell’abiura di qualcosa di più scottante del privato credo di un cittadino: la propria identità culturale. La dialettica dello scontro di civiltà può far credere che il nemico naturale dell’Occidente sia l’Islam, e perciò l’adesione alla fede musulmana implicherebbe per forza una rinuncia – financo uno spregio – dell’identità occidentale.

Affascina, la conversione, fin dai primi tentativi di studio obiettivo del vissuto religioso. William James, padre della psicologia moderna, nel suo Le varie forme dell’esperienza religiosa si sofferma ampiamente sulle conversioni. James sottotitola il suo lavoro Uno studio sulla natura umana, perché è natura umana vivere il Sacro, secondo tutte le complicazioni – le contraddizioni, perfino – di cui la nostra mente è capace.

È una storia complicata, quella dell’uomo di fronte al divino, dove si manifestano tutte le sfumature della razionalità e delle emozioni. Le contraddizioni non devono, non possono spaventare chi si impegna a osservare l’umano.

Di quello che si può dire, della vicenda di Silvia Romano, di quello che non va custodito nella sfera dell’indicibile, rimane solo la gioia.

Chi ha mai sofferto la nostalgia di casa e si è trovato, imprevedibilmente, nella felicità del ritorno, può provare a moltiplicare la sua gioia per cento, per mille, e intuire cosa deve aver provato Silvia, discesa dall’aereo, e per quale impulso pur nella sua stanchezza si è spalancato il sorriso.

Peppino Caldarola, ieri, per Fondazione Leonardo – Civiltà delle Macchine, ha scritto del sorriso di Silvia. Un sorriso che è “una tracimazione dell’anima che invade la miseria delle cose quotidiane”, e che dobbiamo tenerci stretto, perché è per noi.” (Da Libertà del 13 maggio 2020)

Francesca Bocca-Aldagre

Francesca Bocca-Aldagre su Barbadillo.it

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