Politica. La crisi del Coronovirus obbliga a ripensare le autonomie regionali in Italia

Autonomie regionali modello puzzle

Le Regioni non sono più  uno dei grandi tabù nazionali.  Paradossalmente neppure da parte di quella sinistra che ne fu la paladina, per evidenti interessi di bottega. Di abolirne non si parla ancora in modo esplicito, ma i rumors delle ultime settimane sono un invito a guardare al sistema regionale con occhi diversi. E proprio partendo dal tema centrale della Sanità, la madre, oggi, di tutte le battaglie, non solo sul campo specifico del contrasto al Covid-19, quanto anche su quello squisitamente amministrativo, dove maggiore è  il peso percentuale della Sanità sui singoli bilanci (secondo una stima generalmente condivisa pari a circa il 70% delle risorse regionali).

 “Dopo la crisi bisognerà iniziare a ragionare, traendo una lezione da quanto successo, e pensare se sia il caso di far tornare in capo allo Stato alcune competenze come la Sanità” – ha affermato il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando, in un’intervista al “La  Stampa”, spiegando: “Con venti regioni che parlano venti lingue diverse, credo sia necessario riconsiderare l’ipotesi della clausola di supremazia prevista dalla riforma del 2016, ovvero di un ritorno delle competenze sanitarie allo Stato centrale”.

Su questa strada Domenico Cacopardo, magistrato in pensione, già capo di gabinetto di vari ministri e consigliere giuridico della Presidenza del Consiglio dei ministri con Massimo D’alema, è stato esplicito. Sabato scorso, su  “ItaliaOggi”, ha scritto: “Il Covid-19 ha dichiarato il de-profundis del sistema regionale per evidente insufficienza di governo e per disparità di decisioni: in un evento come questo, le regioni si sono mosse in ordine sparso, facendo cose diverse in tempi diversi e, quindi, massimizzando gli effetti di errori e incertezze”.

Giuseppe Sala, Sindaco di Milano, sul tema è stato ugualmente diretto, lanciando, non a caso, l’idea della Costituente, impegnata a riscrivere la legge fondamentale dello Stato italiano, proprio a partire dalla struttura amministrativa, giudicata vecchia e lenta: “Con 20 Regioni, 8.000 comuni, un centinaio di province e 14 città metropolitane si perde l’immediatezza e la responsabilità è suddivisa in mille centri di potere. Il sistema a 20 Regioni, che quest’anno compie mezzo secolo, è arrivato al capolinea”.

Un politico ai vertici della vita nazionale (Orlando), un tecnico di alto livello (Cacopardo), uno dei più importanti sindaci d’Italia (Sala), tre tesi di fondo, diversamente declinate, ma convergenti su un unico obiettivo: le Regioni, così come sono, non vanno bene. E perciò debbono essere ripensate da capo se non addirittura abolite, visti i risultati. 

Per Orlando portano,  in ambito sanitario, disuguaglianze e una speranza di vita differenziata (non è una grande scoperta, ma è già tanto che un esponente di vertice del Pd ci sia arrivato). Secondo Cacopardo il Covid-19 ha reso palese il rischio di aumentare errori e incertezze (con – aggiungiamo noi- dispersione delle risorse, economiche e non solo). Sala ha finalmente preso atto dei limiti del Sistema (anche qui un bel salto di qualità rispetto ad una sinistra che, fino a ieri, giudicava intangibile la Costituzione più bella del mondo).

Da parte nostra registriamo con soddisfazione queste prese d’atto, che rompono finalmente, a sinistra,  con la retorica  che  ha accompagnato, dal  1970, l’istituzionalizzazione, nel nostro Paese, delle Regioni, diventate, alla prova dei fatti, esempi di una sovrastruttura  burocratica, costosa ed inefficiente. Non per questo – sia chiaro – ci iscriviamo al partito dei pentiti dell’ultima ora, magari nato per assecondare qualche manovra  di Palazzo, in polemica con le realtà regionali, oggi in maggioranza governate dal centrodestra,  su cui scaricare la gestione contraddittoria dell’emergenza sanitaria da parte del Governo. 

Resta comunque  il tema di fondo del riequilibrio delle competenze tra enti concorrenti. Al tappeto non c’è solo l’ordinamento regionale, ma l’intero assetto istituzionale: anche da qui bisognerà partire per un’organica e produttiva gestione del dopo-emergenza. Se il  metro di giudizio per le istituzioni, locali e nazionali, deve essere l’efficienza, il rigore, la competenza, la capacità gestionale, è tempo che ogni retorica venga abbandonata e con essa un modello regionale che non è mai decollato, pensando magari a realtà territorialmente più limitate (una via di mezzo tra le vecchie provincie e le attuali regioni) intorno a cui dare forma ad  un efficiente sistema di governo dei territori. La ricostruzione parte anche qui. E’ il caso di pensarci da subito.

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Mario Bozzi Sentieri 

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