Politica. Il Coronavirus, la debolezza dell’Ue e la crisi del globalismo: il conto lo pagano i deboli

Coronavirus

La pandemia generata dalla diffusione del coronavirus è un evento di immenso significato storico. Al termine di questa settimana, con l’aumentare del conto delle vittime, le città sono ormai sottoposte ad un blocco totale e milioni di persone affrontano la perdita di familiari e amici – unitamente al venir meno di redditi e posti di lavoro. L’Italia, in particolare, è in uno stato di collasso. Il numero di pazienti in condizioni critiche supera di gran lunga le attrezzature disponibili e le immagini di desolazione e disperazione rimarranno a lungo impresse nella coscienza collettiva.

La pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 1° febbraio 2020 della delibera del Consiglio dei Ministri recante la “Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili” dimostra, in verità, che il pericolo legato ad un contagio di grossa portata era stato ampiamente considerato. Con tale provvedimento, il governo disponeva lo stato di emergenza per i successivi sei mesi, con facoltà per il Capo del Dipartimento della Protezione Civile di emanare ordinanze per gli interventi di propria competenza. A questo punto, ci si chiede per quale motivo, nelle settimane successive, innanzi al divampare dell’epidemia, dapprima nel lodigiano, molti esponenti delle istituzioni (e dei partiti di maggioranza in particolare) abbiano continuato a minimizzare quanto stava accadendo, per giunta accusando di allarmismo e “razzismo” chiunque avesse osato mettere in guardia dalla minaccia e richiedere l’isolamento di quanti fossero rientrati da soggiorni in Estremo Oriente. I requisiti più elementari per garantire la salute e la sicurezza della popolazione sono stati allegramente ignorati, pur nella formale dichiarazione dello stato di emergenza.

Del resto, una volta avvenuto il disastro sanitario, allo stato di emergenza si è affiancato un vero e proprio stato di eccezione legale: a partire dall’emanazione del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 febbraio 2020, gli organi dell’Esecutivo hanno imposto restrizioni alla libertà di movimento in palese violazione dell’art. 16 della Costituzione, che a tal fine richiede una legge, continuando con l’ordinanza del ministero della salute del 20 marzo 2020. Il tutto con un parlamento colpevolmente assente.

Qual è dunque l’obbiettivo dei nostri governanti? Dove stanno portando il Paese? E perché il Quirinale, così solerte nel preoccuparsi dei “risparmi degli italiani” minacciati dall’eventuale nomina di Paolo Savona al MEF, tace su quanto sta accadendo?

È da registrare anche la grave noncuranza delle istituzioni europee, che non hanno reagito prontamente, mancando nel coordinamento delle misure di contenimento e trattamento necessarie ad arrestare la diffusione degli agenti patogeni; né alcun governo dell’UE ha lanciato programmi di ampio respiro per la costruzione di ospedali e approvvigionamento di attrezzature mediche o per eseguire controlli di massa. Mentre la Banca Centrale Europea prosegue ad iniettare liquidità nei mercati finanziari, i lavoratori dipendenti e autonomi attendono con angoscia la recessione imminente e centinaia di migliaia di soldati e poliziotti in tenuta antisommossa stanno scendendo per le strade per far rispettare gli ordini di confinamento. La rabbia cresce e decine di migliaia di sventurati lottano per ottenere assistenza.

L’emergenza sanitaria sta dunque rapidamente evolvendo in una crisi dell’intero ordine sociale, economico, politico e morale del sistema del libero-mercato elevato a ente supremo. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha riferito che le conseguenze sociali della crisi sanitaria saranno più gravi del crollo economico del 2008 e prevede che 25 milioni di lavoratori in tutto il mondo potrebbero perdere l’occupazione nei prossimi mesi. Nel suo rapporto, ha affermato che i lavoratori “non protetti”, inclusi gli autonomi, saranno colpiti in modo sproporzionato poiché non hanno accesso ad alcun meccanismo di tutela in condizioni di malattia o riduzione dell’attività.

Il processo di finanziarizzazione – la separazione sistematica dell’accumulazione sfrenata di livelli di ricchezza dall’attività produttiva reale – ha creato un’economia radicalmente instabile, basata sulla trasfusione illimitata di liquidità da parte delle banche centrali in favore della stimolazione dei mercati finanziari, laddove mancano provvedimenti per soddisfare bisogni sociali primari e urgenti.

La caduta dell’economia reale non sarà fermata da interventi sui mercati finanziari o da ulteriori tagli fiscali ai grandi operatori. Continuerà ad approfondirsi, portando con sé enormi perdite di posti di lavoro e tagli ai salari e non si attenuerà fino a quando la diffusione del virus non sarà messa sotto controllo. Ciò porterà ad un corrispondente crollo dei consumi, che a sua volta accrescerà la crisi economica. Nondimeno, i problemi nel contenere l’epidemia sono principalmente il risultato di decenni di tagli ai servizi sanitari e ad altre strutture sociali, imposti ai governi dai dettami dei mercati finanziari e dei loro tirapiedi. Ora, poiché al timone vi sono ancora i responsabili di tali sciagure, è evidente il tentativo di scaricare sulle spalle della base sociale gli effetti della crisi causata dalla implacabile guerra contro il bene della comunità.

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Gabriele Sabetta

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