Cultura (di P. Isotta). “Il caso Epstein” di Galluppi, indagine nell’animo umano

Napoli. Un funzionario della Regione Campania, settore Sanità, avellinese, attende una promozione che ritiene gli spetti. Non la ottiene e da quel momento entra in crisi. La mancata promozione gli causa pure, a suo vedere, la perdita della donna con la quale vive, che si mette con un uomo più anziano, un faccendiere di successo. Incomincia a raccogliere dossiers per documentare i loschi affari di tangenti e altro dei suoi nemici. Ma pochi giorni dopo precipita dal balcone del suo palazzo. Suicidio, è la conclusione anche degli inquirenti.

Un professore ebreo sionista, di sinistra ma che per la radicalità crescente delle sue posizioni si è alienato tutto il suo ambiente, viene subito dopo trovato ucciso in casa sua. Alberto Epstein sosteneva che la tolleranza multiculturale e multietnica mostrata dall’Europa si era trasformata in un suicidio di fronte alla violenza islamica, la quale avrebbe dovuto essere fermata. In casa sua, dopo l’omicidio, trovano una grande scritta: “Palestina libera”.

Naturalmente, il pubblico ministero indirizza le indagini del vicequestore Raul Marcobi, capo della squadra omicidi, verso gli ambienti filoarabi, i centri sociali e i collettivi.  Viene individuato un colpevole, uno studente arabo ma italiano di prima generazione. Solo che risulta che quella che appariva una sua fuga era una partenza verso i combattimenti orientali. Il soldato dell’Islam era stato individuato in Francia il giorno dell’omicidio. Il pubblico ministero insiste perché la ricerca continui in quell’unica direzione, ma Marcobi è sempre meno convinto.

Questo personaggio tormentato e volitivo, contraddittorio, segnato da molto dolore, suonatore di sassofono nel jazz e a volte bevitore solitario, è alla terza apparizione romanzesca. Due altri romanzi di Massimo Galluppi lo avevano fatto conoscere. Sono, come questo (Il caso Epstein, Napoli, Colonnese, pp. 308, euro 16, 90), romanzi che non potresti strettamente classificare né come gialli né come storie spionistiche, tanto gli sfondi criminali e politici si intrecciano con una ricostruzione della psicologia e un fattore umano capaci di coinvolgere il lettore e distrarlo in parte dalla mera vicenda criminale. A volte le storie narrate da chi non è giallista di professione si dimostrano assai più attraenti, possedendo un’ampiezza di sfondi che il giallo vero non possiede: a parte i casi sommi come Simenon. Qui l’indagine di Marcobi si sfarina, secondo la sua intuizione, in sordidi casi umani che nulla hanno da fare con la politica. Anche nei precedenti accadeva qualcosa di analogo: dalla politica croata a vendette personali, da guerra civile a occasione d’improvvisata giustizia del singolo. Il geniale investigatore individua un nesso fra questi delitti e un caso terribile di stupro e omicidio di una ragazza avvenuto a Mercogliano, presso Avellino, ventisei anni prima. Anche lì la conclusione era stata frettolosa e incauta, le indagini erano state svolte in modo deplorevole. Che tutti fossero strafatti di cocaina era valso quasi a proscioglierli.

Avremo una soluzione inaspettata e amara, che riversa su di noi il distacco e lo scetticismo del coraggioso e solitario poliziotto. Non la narro, naturalmente, com’è costume si faccia con i romanzi del mistero scritti da una mano maestra.

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*Da Il Fatto Quotidiano del 16.2.2020

Paolo Isotta*

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