Focus Toscana. La destra vince se interpreta la ribellione contro un sistema di potere

Un manifesto sbiadito del Pd

In molti hanno giustamente osservato che la Toscana avrebbe in comune con l’Emilia-Romagna almeno un elemento: la sua storica appartenenza alla Sinistra (peraltro, da una Sinistra attestata su posizioni ideologiche più radicali rispetto ad altrove).

 La prima, immediata conseguenza di questo fatto è che la Toscana non è una regione come le altre, bensì un simbolo del potere della Sinistra, tanto che nell’opinione comune viene identificata con questa parte politica. In questo senso la competizione elettorale assume subito un rilevante valore simbolico: prima ancora ed a prescindere dai programmi e dalle persone, quello che conterà in questa competizione elettorale sarà questo a contare, caricando di una speciale esaltazione emotiva le parti in causa. E così, tanto inquietante sarà per la Sinistra la possibilità di perdere la Toscana, quanto esaltante per la Destra quella di conquistarla; se da una parte la sconfitta sarebbe percepita inevitabilmente come un disastro, dall’altra parte il successo sarebbe percepito come un trionfo. Insomma, in circostanze del genere i parametri regolari della conflittualità politica si sballano, così che l’esito della sfida potrà prevedibilmente avere delle concrete ripercussioni su scala superiore a quella regionale ed all’interno stesso delle parti in competizione. 

 La seconda conseguenza della storica appartenenza della Toscana alla Sinistra è sul piano strutturale: quando per oltre settant’anni una stessa parte politica ha sempre gestito il potere (al netto di correnti, antipatie e bisticci vari al suo interno), il risultato è che l’apparato dello stato, cioè i settori chiave dell’amministrazione pubblica, sia nelle sue mani. E più un apparato statale è esteso e “pesante”, maggiore sarà il potere accumulato da quella parte politica. Da questo punto di vista, la situazione toscana è ancora peggiore di quella emiliano-romagnola: se in quest’ultima l’apparato statale incontra il solido limes segnato da ampie e rigogliose risacche non-statali (si pensi solo allo sviluppo industriale di quella terra), peraltro intelligentemente tutelato dal presidente uscente, e rientrato, Stefano Bonaccini – in Toscana nel corso del tempo l’estensione ed il peso dell’apparato statale sono aumentati, incoraggiati proprio dalla Sinistra. Attenzione, poi: intorno all’apparato statale propriamente detto, c’è un enorme arcipelago di associazioni, cooperative, et similia, impegnate in vari settori, che dipendono dalle risorse economiche (principalmente) e logistiche (spazi, visibilità, etc.) di quell’apparato. La prossimità di tale arcipelago associativo all’apparato statale propriamente detto, giustifica la considerazione di quello come un’estensione sic et simpliciter di questo, che rende bene l’idea del peso specifico che  l’apparato statale, considerato anche nel senso ampio che abbiamo dianzi esposto, ha in Toscana.  Possiamo allora dire l’apparato statale toscano sia diventato come simbiotico alla Sinistra: l’uno, o quantomeno la sua maggioranza, è legato strettamente all’altra, diventando il beneficiario delle “rendite politiche” elargite dall’altra. Rendite che, data la straordinaria durata al governo della stessa parte politica, sono praticamente diventate diritti acquisiti che, come tali, i beneficiari non vogliono cedere. 

 Già queste due ampie digressioni ci fanno capire di che genere sarà lo scontro della prossima campagna elettorale. Laddove si è arrugginito il meccanismo democratico dell’alternanza, infatti, la parte politica perennemente vincente acquista caratteri egemonici, fossilizzandosi in un assetto più tipico di una tirannide che di una democrazia. In questo contesto, chi decide di accettare la conflittualità politica assume i tratti del ribelle ed il conflitto quelli della guerra civile (fortunatamente incruenta), che è il conflitto politico par excellence. Stando così le cose, quale strategia la Destra potrebbe adottare per provare a vincere? 

Se l’apparato statale (in senso ampio, come abbiamo detto e come lo intenderemo sempre d’ora innanzi) è di fatto nelle mani della Sinistra, il consenso andrà cercato anzitutto fuori da esso. In Toscana la ricerca non è facilissima, proprio a causa dell’estensione di quello. D’altronde esistono, eccome, ampie fasce di popolazione, quindi di elettorato, escluse dalle rendite politiche elargite dalla Sinistra. In linea di massima, si tratta di un popolo disperso, variegato per collocazione sociale, tendenzialmente individualista (nel senso di non impegnato politicamente o associativamente) e non-ideologizzato – insomma, il popolo adatto per essere guidato allo scontro politico dalla weberiana figura del «capo carismatico». In un contesto dove una parte politica è diventata apparato statale, premunendosi di tenere ben esclusa l’altra parte, è quasi sintomatico che emerga una figura del genere a guidare l’opposizione, cercando di compattare, dare un’anima ed uno scopo alle forze disperse. Ecco perché, prima di tutto, è necessario che i partiti della Destra individuino un candidato (unitario, naturalmente, sennò non c’è neanche partita!) dotato di carisma politico. 

Ora, aldilà di come si ottiene, il carisma politico è qualcosa di piuttosto aleatorio, perché richiede di essere costantemente confermato dai fatti, cioè dal successo. Da tempo una buona parte della Destra italiana vede nel senatore Matteo Salvini una sorta di uomo della Provvidenza (non ha portato molta fortuna l’ultima volta…), il più efficace capo carismatico in circolazione. Ma, come dicevamo, il carisma politico deve essere costantemente confermato, cosa che Salvini, ultimamente, non sta facendo. Prima si dimette dal governo, facendo scattare un’astuta trappola preparata dalla Sinistra (che conferma d’avere fior di strateghi): in breve, partendo dall’assioma che i capi carismatici sono per natura scattisti e non maratoneti e che, per questa ragione, vanno in debito d’ossigeno se fatti correre troppo – la Sinistra si tiene ben salda al governo nazionale anche per tenere esclusa la Lega fino al 2023, allo scopo di smosciare il suo leader.  Poi, Salvini perde in Emilia-Romagna, in una campagna elettorale che proprio lui ha voluto incentrare sulla sua persona. In questo caso a poco valgono, si badi bene, i numerosi successi elettorali da lui ottenuti in passato: il carisma politico si conserva mettendolo alla prova del presente, non del passato, perché l’occhio dei seguaci – non dei “fedeli”, che sono un gruppo numericamente più esiguo, ma quello assai più cospicuo di coloro che seguono “laicamente” il capo carismatico – è  sempre miope. Infine, banalmente, ammenoché non acquisisca doti di ubiquità, Salvini non potrà effettivamente condurre contemporaneamente in prima persona le campagne elettorali nelle varie regioni al voto, e un capo carismatico senza presenza fisica diventa solo un modo di dire. 

Tutte buone ragioni, insomma, per cercare questo capo carismatico “in casa”, in Toscana, e non costringerlo all’imbarazzante ruolo di avatar di qualche leader nazionale (che può essere tanto Salvini, quanto anche l’onorevole Giorgia Meloni o il cavaliere Silvio Berlusconi). Questo mette in evidenza un fatto: ancora la Destra toscana non ha candidato proprio nessuno. Un ritardo comprensibile, ma problematico, perché più si allungano i tempi, più l’attesa si carica di aspettative, ergo l’elemento carismatico assume maggiore peso specifico. Al punto che – lo dico non senza un certo intento provocatorio – se il candidato designato non avrà doti carismatiche, la sconfitta della Destra in Toscana sarà certa. Ora, trovare un leader del genere in Toscana non è impossibile, se lo si vuole cercare. Tant’è che se il prossimo candidato non sarà dotato di carisma, potrebbero sorgere alcune perplessità sulla buona volontà di provare a vincerle, queste elezioni. Mi spiego meglio: i vari partiti e liste civiche della Destra si riuniscono per decidere chi sarà il loro candidato unitario; vengono fatti molti nomi, tra i quali anche alcuni “pezzi da novanta”; eppure, alla fine, si decide per un “pezzo da quarantacinque”. Perché? Una risposta potrebbe essere: perché nella sua innocuità va bene a tutti, potrà essere trombato ma senza lamentarsi, e chi deve entrare in Consiglio regionale entrerà comunque – insomma, un gioco al ribasso giocato non per vincere ma, letteralmente, per partecipare. 

Nessuno può negare l’importanza che la propaganda ha assunto nel dibattito politico contemporaneo, specie come strumento di “arruolamento politico” di seguaci del capo carismatico. A tal proposito, non posso esimermi dall’accennare al movimento delle «sardine». In termini di ideologia, le sardine non esistono. Non lo dico per épater le bourgeois: ritengo davvero che nessuno che già non fosse appartenente alla parte politico-ideologica della Sinistra può essere diventato “sardina”, se non qualche solitario in cerca di compagnia; e ritengo anche che questo movimento non abbia creato niente di nuovo come come argomenti ideologici.  Il potenziale delle sardine non sta nei messaggi, nei contenuti, bensì nella forma di aggregazione: le piazze, numerose e variopinte, occupate da migliaia di giovani, accese dai discorsi virtuosi dei tribuni di turno e palpitanti in maniera quasi sensuale del suono dei bonghi – questo sì che attira l’attenzione! Infatti, questa è concretamente la loro funzionalità politica: quello di raccogliere su di sé l’attenzione mediatica, distogliendo o quantomeno controbilanciando quella verso il capo carismatico, che in Toscana, come abbiamo già detto, sarà la figura politica imprescindibile. Aspettiamoci perciò di ritrovarle in ogni piazza toscana durante la campagna elettorale. 

Ci sono poi i terzi in comodo, i 5Stelle, quelli «né di Destra né di Sinistra»[sic!]. Che razza di elettorato siano, ancora non è stato chiarito e, probabilmente, ancor prima che lo siano, si saranno già politicamente estinti. I risultati elettorali in Emilia-Romagna ed in Calabria, da questo punto di vista, sono piuttosto emblematici. Ma sono anche rivelativi: se in Calabria potremmo azzardarci a dire che buona parte dei grillini sia andata a confluire nella Destra, in Emilia-Romagna è quasi certo che la maggioranza sia andata a confluire nella Sinistra. Ora, dato che la Toscana assomiglia politicamente molto di più a quest’ultima, verrebbe da pensare che anche da noi i grillini possano in maggioranza confluire nella Sinistra (si pensi al caso di Livorno, dove lo storico cambio d’amministrazione del 2014 non è andato verso Destra, ma verso i 5Stelle, per poi ritornare a Sinistra). Di fatto, la Destra risulterebbe accerchiata. Una ragione in più per ponderare bene la scelta del candidato. 

Infine, una brevissima digressione sulla natura del programma elettorale. Senza entrare in merito ai contenuti, occorrerà valutarne la sostanza ideologica. Come ho detto precedentemente, la contesa politica che si profila all’orizzonte sarà inevitabilmente aspra – paradossalmente, se non lo dovesse essere, sarebbe già persa in partenza. La sua forma, metaforicamente, si configura come quella di una «guerra civile» tra l’apparato («il tiranno») di Sinistra e chi quell’apparato vuole combattere e cambiare («il ribelle»); e, si badi bene, ad impostare il conflitto in questi termini, volontariamente o meno, sarà proprio la Sinistra, che vuole tutelare, in quanto parte politica egemone, i suoi privilegi. Stando così le cose, la Destra dovrà dare una coesione ed essere anima del “ribelle”. Che genere di anima? Certamente pugnace e non remissiva. Certamente risoluta e non accomodante, non timida e neanche pavida, ma coraggiosa ed audace. D’altronde, a queste imprescindibili attributi, non deve necessariamente corrispondere un atteggiamento “ruspante”, sebbene, di fatto, non può neanche essere escluso a priori. Nel momento iper-politico della “guerra civile”, infatti, c’è spazio per qualsiasi atteggiamento: da quello moderato e di buon senso, a quello iracondo e spregiudicato, passando per tutti i gradi intermedi. Il compito di tenerli assieme ed esprimere il loro potenziale, ancora una volta, spetterà al capo carismatico, al candidato, il quale dovrà guidare la “ribellione” verso la vittoria. O almeno provarci.

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Niccolò Mochi-Poltri  

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