Regionali. Un’altra occasione perduta, ai sovranisti è mancato un Guazzaloca

Salvini e Lucia Borgonzoni

Matteo Salvini

Al solito, ai sovranisti manca sempre un soldo per fare una lira. Il voto regionale di domenica ha confermato che il centrodestra perde laddove non si propone puntando su una classe dirigente radicata, realista e capace di uscire dalla polemica social e calarsi nel reale. È mancato, insomma, un profilo concreto e dialogante, come fu quello di Guazzaloca negli anni ‘90 per intenderci, per portare a casa il colpaccio in Emilia Romagna.

Web e consensi

Una volta, nell’oscuro delle sezioni di paese, si diceva che i manifesti non portano voti. Le affissioni erano un segnale di consenso ed entusiasmo attorno al candidato, una forma di pubblicità. Ma nulla più. Figurarsi i social. Quando si scende sul locale è importante essere radicati. Ed è per questo che il M5s è stato letteralmente drenato di consensi. Un’emorragia in Emilia (riassorbita dal Pd, da dove inizialmente erano usciti energie e voti), un po’ meglio in Calabria (ha pesato la litigiosità interna e la polemica sulla candidatura di Aiello). Il dato interessante riguarda la Lega di Salvini: la polarizzazione della campagna sul “capo” porta il partito a scontare questa dinamica: gli elettori sostengono i leader quando la consultazione è nazionale, votano i candidati, invece, sui territori. Salvini non era candidato, la Borgonzoni sì. Evidentemente non è stata ritenuta affidabile. La concretezza paga e per cambiare, specialmente dopo 75 anni di ininterrotto governo, ci vuole sempre una ragione forte. In Umbria c’è stata, in Emilia evidentemente no. E forse occorreva investire meno in “sceriffate” e più sulla classe dirigente locale, renderla capace di superare steccati ideologici, vecchi e nuovi, e dialogare con tutte le realtà territoriali.

 

Lo strano caso di Forza Italia

Mai così male in Emilia Romagna, Forza Italia scende a livelli di consenso che non le consentirebbero di superare nessuno sbarramento. Bene, invece, in Calabria dove tra liste civiche e ufficiale torna su percentuali rassicuranti. Non è tutta farina del sacco azzurro. Evidentemente, sulla Lega al Sud pende ancora qualche dubbio e non s’è ancora costruita una classe dirigente capace di scalzare nell’immaginario e nelle considerazioni degli elettori “moderati”, quelli delle altre compagini del centrodestra, che hanno avuto così buongioco nell’attirare consensi. FdI regge bene e si conferma in grossa crescita, paga, alle urne, la strategia di aprire le porte ai moderati. Occorrerà verificare se la coesistenza tra vecchie e nuove anime reggerà e se basterà solo il carisma di Giorgia Meloni a tenere in piedi un partito che s’avvia a prendere il posto, anche nel peso politico, che fu di Alleanza Nazionale.

 

La strategia a sinistra (che funziona)

Zingaretti si svela raffinatissimo stratega. Affida la tenzone a Bonaccini e ai suoi, tiene fermi i capataz a Roma e lancia in prima linea le volenterose sardine; riesce la difesa disperata dell’ultima roccaforte “rossa” rimasta in Italia. Se la Borgonzoni poteva rappresentare la faccia giovane di un candidato contro il “vecchio”, il Pd è stato intelligentissimo a opporle quella ancora più giovane di Sartori, senza dimenticare il dialogo con i cittadini e la necessità di “recuperare” quei settori disamorati, allontanati, arrabbiati. In tale ottica prosegue il lento riassorbimento del M5s. Costola contestatrice della sinistra (ricordate Grillo e le primarie?) con il Conte 2 si assiste a una lenta e graduale ricomposizione di una frattura. Una manovra d’accerchiamento dolcissima, come un abbraccio. Che svuoterà i Cinque Stelle, sempreché non arrivi un Dibba arrabbiato a rimettere tutto in discussione.

Alemao

Alemao su Barbadillo.it

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