Storia. “La linea del fuoco” che incendiò l’Argentina negli anni Settanta

Una riunione dell’Erp

A volte per capire meglio un libro può essere utile conoscere la biografia dell’autore. È il caso di “La linea del fuoco. L’Argentina da Peròn alla lotta armata”, pubblicato di recente da Mimesis  Edizioni. L’ha scritto Manolo Morlacchi, 49 anni, milanese, figlio di uno dei fondatori delle Brigate Rosse e lui stesso arrestato nel 2010 con l’accusa di associazione sovversiva e banda armata, salvo poi venire scarcerato dopo 156 giorni di galera ed essere risarcito per ingiusta detenzione. La notazione biografica non è mero pettegolezzo, ma serve per capire che non abbiamo di fronte un volume accademico e tanto meno una ricerca storica che aspiri all’imparzialità. Anzi, si può dire che quella di Morlacchi sia per certi versi un’opera militante, senza nulla togliere alla serietà della ricerca storica.

“Cugini delle Bierre”
“La linea del fuoco” è innanzi tutto un libro sulla storia del PRT-ERP (Partido revolucionario de los trabajadores – Ejercito revolucionario del pueblo), vale a dire il movimento guerrigliero sudamericano più vicino, sia pure a larghe spanne, alle nostre Brigate Rosse. Sembra anzi che la banda armata fondata da Renato Curcio avesse copiato dall’ERP una certa iconografia pubblica, ad esempio divulgare la foto degli ostaggi politici con il drappo del movimento terroristico. Il volume di Morlacchi analizza nello specifico il decennio che precede il golpe militare del 1976, ricostruendo in modo semplice ed efficace – anche per chi conosce poco la storia argentina di quel periodo – il fermento politico e sociale di fine anni Sessanta, il ritorno al potere del generale Peròn, il biennio della violenza dopo la morte di quest’ultimo (1974-1975), i conati insurrezionalisti e infine il colpo di Stato di Videla e degli altri generali, che condurrà alla pagina più oscura e crudele della storia recente del Paese sudamericano.

Manolo Morlacchi

L’opera di Morlacchi è un libro di parte ed è anche un libro parziale, perché si concentra soprattutto su un soggetto politico e militare, il PRT-ERP, trascurando quasi gli altri movimenti armati dell’epoca, a partire dai Montoneros, emanazione della sinistra di estrazione peronista, che tra la fine degli anni Sessanta e la metà degli anni Settanta rappresentarono senza ombra di dubbio la punta di diamante della lotta armata in Argentina. Prima contro i militari e poi, paradossalmente, contro lo stesso peronismo ritornato al potere.

L’eterno ritorno del peronismo
Al di là dell’interesse storiografico per un movimento guerrigliero da noi poco conosciuto (oltre a testi storici e documenti dell’epoca, Morlacchi ha condotto parecchie interviste ai reduci dell’ERP sopravvissuti allo sterminio del regime militare), “La linea del fuoco” si segnala in particolare perché ci aiuta a capire, dal punto di vista marxista, le ragioni del successo peronista (e del suo eterno ritorno, sia pure rivisitato come negli ultimi decenni) e i motivi per i quali la sinistra comunista ha sempre aborrito la dottrina politica di Peròn. Vale a dire i punti di forza della cosiddetta Tercera Posiciòn. 

L’autore stenta a comprendere perché ancora oggi, tra i ceti popolari e i movimenti politici e sindacali argentini, “il generale” ed Evita siano apprezzati, per non dire adorati come icone al di là del tempo. «Peròn non è lo stesso che ammirava Mussolini e che fu a lungo ospite di Franco durante gli anni dell’esilio? Non è forse lui che, rientrato in Argentina nel 1973, portò al potere Lopez Rega e Isabel Martinez de Peròn? Non è lui che avallò la nascita della Triple A (Alianza anticomunista argentina, ndr) e coprì le stragi anticomuniste? (…) Come è possibile che ancora oggi i Peròn esercitino un così grande fascino sulle masse?».

La Terza Posizione
La risposta la dà lo stesso Morlacchi poche pagine dopo, quando scrive: «Le riforme di Peròn furono riforme di struttura: nazionalizzazione delle banche e dei principali servizi pubblici, varo di una nuova Costituzione che riconosceva diritti essenziali come quello alla salute, all’istruzione, allo sciopero; leggi a favore dell’uguaglianza civile tra uomini e donne, grazie soprattutto all’impulso di Evita; leggi a tutela degli anziani e delle classi più umili, anche per tramite di un potente piano di edilizia popolare. Il capolavoro di Peròn fu però il coinvolgimento nella lotta per l’attuazione del suo programma di nuove enormi masse di lavoratori inquadrate della CGT (Confederaciòn General del Trabajo). Fu da allora che in Argentina la lotta sindacale si legò per sempre al peronismo».

Nell’interpretazione marxista, e quindi dell’autore, l’impegno peronista a favore delle masse era puramente di facciata e nascondeva in realtà un sottile piano strategico, che lo stesso Peròn, sottolinea Morlacchi, illustrò in un discorso alla Camera di Commercio del 25 agosto 1944: «Se noi non facciamo la rivoluzione pacifica, il popolo farà la rivoluzione violenta. (…) L’opera sociale si fa in un unico modo: togliendo a chi ha molto per dare a chi ha troppo poco. È innegabile che ciò comporterà la reazione e la resistenza di quei signori che sono i peggiori nemici della propria felicità, perché per non dare un 30 per cento perderanno, tra alcuni anni o alcuni mesi, tutto quello che hanno e pure le orecchie». Un discorso non dissimile a quelli di Mussolini un paio di decenni prima. E un progetto interclassista che, ovviamente, tagliava le gambe alle aspirazioni insurrezionaliste dei movimenti comunisti e socialisti, che in quegli anni sognavano la rivoluzione sul modello bolscevico. Di qui l’odio profondo della sinistra per l’ideologia peronista, bollata di volta in volta come populista, filofascista e dittatoriale, che condurrà negli anni a venire a convergenze improbabili come l’adesione di comunisti e socialisti al fronte antiperonista sponsorizzato dall’ambasciatore statunitense Braden, oppure alla mancata condanna del golpe de 1976 da parte del partito comunista argentino, rigidamente filosovietico.

Il mattatoio degli anni Settanta
Pur descrivendo la parabola della lotta armata dal secondo dopoguerra agli anni Ottanta, il volume di Morlacchi dedica gran parte delle sue 220 pagine all’ERP-PRT, in particolare al suo fondatore Mario Santucho, ucciso in uno scontro a fuoco con i militari pochi mesi dopo il golpe Videla. Un movimento guerrigliero di estrazione trotskista e guevarista, legato a Cuba, che nei primi anni Settanta arrivò ad avere migliaia di militanti armati sulle montagne dell’Argentina settentrionale e infiltrati nelle fabbriche delle maggiori città del Paese. E che si rese protagonista di azioni clamorose e spettacolari come il sequestro (e l’uccisione) nel 1973 del direttore generale della Fiat Argentina, Oberdan Sallustro, fratello di un noto calciatore del Napoli; l’assalto a caserme dell’esercito come quella di Monte Chingolo (1975) e l’evasione di massa dal carcere di massima sicurezza di Rawson, in Patagonia. Ma anche, e su questo l’autore sorvola, di decine e decine di omicidi e attentati terroristici ai danni di magistrati, agenti di polizia, militari, sindacalisti e imprenditori falciati per strada o fatti saltare in aria con cariche esplosive. Oltre a un buon numero di passanti che non c’entravano nulla. Si pensi che nel decennio degli anni Settanta le vittime del terrorismo sono state più di 700, e se è vero che a fare più morti sono stati i Montoneros, anche l’ERP ha dato un contributo sostanzioso al bagno di sangue che ha aperto la strada alla giunta militare e agli orrori della “guerra sporca”.

*La linea del fuoco. L’Argentina da Peròn alla lotta armata – di Manolo Morlacchi (Mimesis, 220 pagine, 18 euro)

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Giorgio Ballario

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